Il 14 marzo il Congresso dei deputati spagnolo ha approvato la nuova Ley Orgánica de Amnistía per la normalizzazione istituzionale, politica e sociale in Catalogna, con 178 voti favorevoli e 172 contrari. L’approvazione della proposta di legge prevede la concessione dell’amnistia a tutte le persone coinvolte nel cosiddetto Procés, che, in seguito al referendum sull’indipendenza della Catalogna del 1° ottobre del 2017, portò alla condanna non solo numerosi membri del parlamento catalano (tra i quali Carles Puigdemont, attualmente in autoesilio in Belgio), ma anche un grande numero di manifestanti che presero parte agli eventi del 2017 e alle proteste del 2019.
La proposta di legge, dopo essere stata approvata e successivamente affossata il 30 gennaio al Congresso spagnolo dallo stesso partito indipendentista Junts, è stata riscritta con l’accordo del Partido Socialista Obrero Español, il partito indipendentista di sinistra Esquerra Republicana e lo stesso Junts per Catalunya. La nuova proposta include, tra le aventi diritto all’amnistia, non solo le persone che parteciparono all’organizzazione del referendum, ma anche tutte quelle condannate dal Tribunale Costituzionale per terrorismo. Difatti, l’accusa di terrorismo in Spagna differisce rispetto all’Unione Europea per alcune caratteristiche; dopo gli attentati a Charlie Hebdo del 2015, il governo spagnolo, con un accordo tra PP e PSOE, riformò il Codice penale, includendo all’interno dell’accusa per terrorismo ogni tipo di azione che destabilizzasse l’ordine pubblico. Con questa denominazione, rientrarono nell’accusa tutte le persone che parteciparono e organizzarono lo “tsunami democràtic”, una manifestazione di disobbedienza civile non violenta, che prese luogo nell’agosto del 2019 nell’aeroporto del Prat de Llobregat, per protestare contro le condanne del Procés.
Con questa legge, quindi, il governo spagnolo ha voluto gestire la questione catalana come «politica», stando alle parole del ministro della giustizia Félix Bolaños, adattandosi alla Direttiva Europea del 2017 che, nel trattamento di casi di terrorismo, si limita ad azioni specifiche, quali attentati, omicidi, sequestri o azioni che mettono in pericolo la vita umana. Inoltre, la legge include nell’amnistia tutte le persone condannate per malversazione, specificando come tutti le azioni e i finanziamenti del parlamento catalano finalizzati allo studio, all’organizzazione e all’effettiva realizzazione del referendum non presentino un caso di illecito amministrativo, escludendo invece, quelli indirizzati a interesse personale. Per ultimo, vengono estesi i termini entro i quali si applica la legge, che con la nuova proposta vanno dal 1° novembre 2011 al 13 novembre 2023. Dalle ore 12.00 si sono alternati gli interventi dei rappresentanti e delle rappresentanti dei partiti indipendentisti, di Sumar e del PSOE, che hanno condiviso la soddisfazione per la stesura della legge e le accuse reiterate di golpismo da parte di Santiago Abascal, rappresentante del partito di estrema destra Vox e di illegittimità da parte di Alberto Núñez Feijóo per i popolari.
Dopo l’approvazione alla Camera, la legge deve passare al Senato, dove è il Partido Popular a godere della maggioranza, avendo così la possibilità di applicare ammende o il veto sulla proposta. In caso ve ne fossero, questa dovrà essere modificata e nuovamente dibattuta nel Congresso. È su questo tema che il PP potrà rivelarsi determinante: il 13 marzo, infatti, il presidente del parlamento catalano Pere Aragonés ha sciolto le camere e ha dichiarato, per il 12 maggio, le elezioni anticipate. La Generalitat catalana non ha ottenuto la fiducia sui bilanci della comunità, in particolar modo a causa del voto contrario dei partiti della lista En Comú-Podem, rappresentati da Ada Colau, ex sindaca di Barcellona, in merito ad alcuni progetti immobiliari finalizzati alla creazione di infrastrutture per il turismo, catene e hotel. Le elezioni anticipate in Catalogna e il ritardo sulla legge d’amnistia del PP in Senato escluderebbero Carles Puigdemont da un’ipotetica candidatura alla presidenza del parlamento catalano, dopo lo scioglimento delle camere imposto nel 2017 dall’applicazione dell’articolo 155 da parte del governo spagnolo, all’epoca rappresentato da Mariano Rajoy. In ogni caso, l’attuale destabilizzazione politica in Catalogna si aggiunge ai numerosi problemi che sta vivendo la legislatura di Pedro Sánchez che, dopo lo scoppio del caso di corruzione “Koldo” interno al PSOE e il passaggio delle deputate di Podemos al gruppo misto, ora si vede costretto a rinunciare all’approvazione dei bilanci dello stato.
[di Armando Negro]