Allevamenti intensivi dove gli “scarti” vengono eliminati con pratiche violente, proliferazione di malattie curate da personale non specializzato, liquami di risulta scaricati all’aperto, inquinamento e persino rischi biologici, e il tutto mentre a Bruxelles i politici mentono contraddetti dalle loro stesse parole registrate in contesti diversi. È ciò che mostra Food for profit, il nuovo documentario frutto del lavoro investigativo, durato 5 anni, di Giulia Innocenzi e Pablo D’Ambrosi. Il docufilm inquadra – con telecamere nascoste e non – le criticità di un tema che unisce sensibilità etiche, preoccupazioni sanitarie e criticità ambientali: il cibo e la sua produzione. L’inchiesta mostra che i problemi non riguardano solo la gestione degli allevamenti intensivi, ma anche le istituzioni europee, le quali si renderebbero complici dirette ed indirette attraverso i collegamenti tra industria della carne, lobby e potere politico.
«Nel film ci concentriamo sui 400 miliardi di euro in 7 anni che, come Europa, destiniamo alla politica agricola comune, che dovrebbe aiutare gli agricoltori a sostenere il loro reddito. Quello che succede però con questi soldi, in realtà, è che la grande maggioranza va ai grandi gruppi industriali e agli allevamenti intensivi», ha dichiarato la giornalista Giulia Innocenzi, sottolineando che tali allevamenti vengono finanziati dalle tasse dei cittadini e che spesso tengono gli animali in condizioni pessime, sono causa di problemi ambientali tutt’altro che indifferenti e costituiscono un pericolo di future pandemie. Attraverso alcuni infiltrati, che sono riusciti a farsi assumere in Germania, Italia, Spagna e Polonia, sono state filmate alcune scene che mostrano quello che succede tutti i giorni all’interno di tali strutture. «Ogni volta che esce un’inchiesta l’industria risponde: sono casi singoli, avete trovato le mele marce. Noi invece con Food for profit vogliamo mostrare che questo è un sistema. Ed è un sistema finanziato con i soldi di noi contribuenti».
Poi le telecamere nascoste hanno viaggiato fino Bruxelles, dove un finto lobbista con telecamera nascosta ha provato a convincere i parlamentari ad approvare progetti controversi tra cui alcuni basati sul gene editing, una tecnica che altera il DNA degli animali per renderli più produttivi e ridurre i costi. Le proposte variavano da super-mucche che a stento si reggono in piedi a polli senza piume che farebbero così risparmiare tempo agli allevatori e persino a tubi da inserire nel retto delle vacche per trasformare gli escrementi in mangime. Tra le risposte ci sono approvazioni, risate e persino contraddizioni: un’eurodeputata chiave della commissione agricoltura, per esempio, nell’intervista accordata ha dichiarato che modelli di allevamento simili non vengono finanziati dalla Politica agricola comune (Pac) aggiungendo di non essere d’accordo «con nessuna attività che maltratti gli animali», ma a telecamere nascoste ha ammesso: «Non mi interessa la felicità del pollo, del coniglio o del gatto. Io li mangio comunque». Il documentario è già stato mostrato all’interno del Parlamento europeo e verrà proiettato in altre città italiane. L’elenco delle proiezioni è disponibile qui.
[di Roberto Demaio]
Non esiste un allevamento che preveda al contempo l’eliminazione di un animale e l’eticità dello stesso.
Credo che una piccola inversione di rotta la potremo costruire solo portando, come diceva de Andrè, in casa loro lo stesso disordine, lo stesso terrore!
…ottimo punto di vista.ci ragionerò su,sul come portare lo stesso disordine in casa loro
L’orrore che nasce anche dal delirio di onnipotenza, dall’idea di poter disporre di tutto purché sia soggiogato. E di conseguenza totalmente impreparati al sia pur minimo fallimento.