Dalla scoperta di stelle di neutroni dentro a supernove a minuscole galassie e nane brune che sfidano gli attuali modelli astronomici, il telescopio James Webb si è reso protagonista di una nuova scoperta che è arrivata persino a dividere gli astronomi. È il caso di TOI-270 d: un pianeta extrasolare che orbita attorno ad una nana rossa distante circa 73 anni luce dalla Terra e situata nella costellazione del Pittore. Dopo oltre quattro anni dal suo ritrovamento, avvenuto nel 2019, gli scienziati dell’Università di Cambridge hanno scoperto che l’esopianeta potrebbe essere costituito da una superficie interamente coperta da un oceano d’acqua con una temperatura che potrebbe superare i 100°C. Inoltre, l’orbita di TOI-270 d lo terrebbe “bloccato” con un lato perennemente rivolto verso la sua stella e l’altro in perenne oscurità, il che lo renderebbe comunque potenzialmente abitabile. I risultati della ricerca sono stati sottoposti a revisione paritaria e pubblicati su Astronomy and Astrophysics Letters ma sono stati contestati da un team di ricercatori canadesi che, nonostante abbiano trovato firme chimiche simili, sostengono che l’esopianeta sarebbe troppo caldo per ospitare un oceano di acqua liquida sulla superficie.
TOI-270 d fa parte del sistema stellare TOI-270, il quale è composto da una nana rossa di classe M e da tre pianeti. L’esopianeta ha una massa che è quasi 5 volte superiore a quella terrestre e impiega solo 11 giorni per completare un’orbita intorno alla sua stella. Si tratterebbe inoltre di un mondo “bloccato”, ovvero con un lato perennemente rivolto verso la sua stella e l’altro in totale oscurità, e di un “pianeta iceano” (dall’inglese “hycean”, unione delle parole hydrogen e ocean), cioè un corpo celeste abitabile interamente ricoperto da un oceano e da un’atmosfera che sarebbe in grado di ospitare la vita. La loro esistenza è stata ipotizzata da tre scienziati dell’Istituto di Astronomia dell’Università di Cambridge, tra cui uno che figura anche tra i coautori dello studio. Secondo i ricercatori, pianeti simili a Nettuno ma situati nella zona abitabile di un sistema solare potrebbero possedere una struttura interna differenziata costituita da un nucleo di ferro, un mantello di silicati, un profondo oceano d’acqua e infine un’atmosfera composta principalmente da idrogeno.
Secondo i ricercatori dell’Università di Cambridge, TOI-270 d potrebbe presentare idrogeno, vapore acqueo, metano e anidride carbonica nell’atmosfera, la quale si troverebbe al di sopra di un mondo acquatico esteso su tutta la superficie del pianeta. «La temperatura dell’oceano potrebbe superare i 100 gradi Celsius o più», ha affermato il prof. Nikku Madhusudhan, coautore della ricerca e uno tra gli scienziati che ipotizzano l’esistenza dei pianeti iceano. Ha poi aggiunto che ad alta pressione atmosferica un oceano così caldo potrebbe essere ancora liquido: «L’oceano sarebbe estremamente caldo durante il giorno. Il lato notturno potrebbe potenzialmente ospitare condizioni abitabili». Tuttavia, secondo gli scienziati ci sarebbe un’atmosfera opprimente, con una pressione decine o centinaia di volte superiore a quella della superficie terrestre, e acque che raggiungono profondità da decine a centinaia di chilometri. Le prove a supporto dei ricercatori si basano principalmente sull’assenza di ammoniaca, la quale dovrebbe essere presente naturalmente in un’atmosfera ricca di idrogeno ma, secondo il team inglese, si esaurirebbe completamente se al di sotto ci fosse un oceano.
Tali considerazioni sono state contestate da una squadra di ricercatori canadesi che ha effettuato ulteriori osservazioni e ne ha esposto i risultati in un articolo attualmente in preprint. Gli scienziati hanno rilevato le stesse sostanze chimiche captate dai colleghi inglesi, ma sostengono che il pianeta sarebbe troppo caldo – forse con temperature da 4.000°C – per presentare acqua liquida e sarebbe costituito invece una superficie rocciosa sormontata da un’atmosfera incredibilmente densa di idrogeno e vapore acqueo. Björn Benneke, professore dell’Università di Montreal e coautore dell’articolo in preprint, ha dichiarato che «la temperatura a nostro avviso è troppo calda perché l’acqua possa essere liquida», aggiungendo che si troverebbe in uno stato “supercritico” dove la distinzione tra liquido e gas diventa confusa. «È quasi come un fluido denso e caldo», ha sottolineato.
Tuttavia, entrambe le squadre hanno rilevato firme chimiche simili riguardanti diversi composti tra cui il solfuro di carbonio, il quale è legato a processo biologici. Tuttavia, il composto può essere prodotto anche da altre fonti e non è stata trovata traccia di un’altra molecola biosignificativa: il dimetil solfuro. «Non possiamo collegare il solfuro di carbonio all’attività biologica. In un’atmosfera ricca di idrogeno, è relativamente facile realizzarlo. Ma se saremo in grado di misurare questa molecola unica, è promettente che in futuro saremo in grado di misurare i pianeti abitabili. Dobbiamo essere estremamente attenti al modo in cui comunichiamo i risultati su questo tipo di oggetti. È facile per il pubblico credere che stiamo già trovando la vita», ha concluso Madhusudhan.
Sulla vicenda è intervenuto anche il dottor Jo Barstow, un astronomo della Open University non coinvolto in nessuno dei due paper scientifici, che ha dichiarato: «È davvero affascinante e bello che due team abbiano esaminato lo stesso set di dati e siano arrivati alla stessa composizione chimica. Gli spettri di questi piccoli pianeti con JWST sono davvero entusiasmanti perché si tratta di ambienti completamente nuovi per i quali non abbiamo equivalenti nel sistema solare».
[di Roberto Demaio]