domenica 22 Dicembre 2024

La Francia vuole introdurre una sovrattassa per limitare la moda usa e getta

Disincentivare la produzione e l’acquisto di capi di fast fashion a bassissimo costo non è cosa facile di questi tempi. Una missione impossibile, resa tale per via degli interessi delle multinazionali in questione, che non accennano minimamente a modificare di una virgola il loro sistema produttivo, ma anche dai consumatori, che sembra non riescano a fare a meno dell’acquisto di nuovi capi. Eppure qualche giorno fa l’Assemblea nazionale francese ha approvato una proposta per imporre una tassa ai produttori di moda veloce che rivendono i capi sul loro territorio, con l’obiettivo di scoraggiare l’acquisto e nello stesso tempo dare del filo da torcere a chi sta distruggendo il pianeta e calpestando le vite delle persone per preservare guadagni ed interessi privati.

La mossa rientra in un contesto di iniziative che la Francia ha intrapreso nel corso di questi anni per tentare di limitare i danni del sistema moda, proteggere l’industria tessile locale (che è in perdita) e nello stesso tempo educare ad un consumo più responsabile, come nel caso del bonus riparazione.

La proposta di un sovrapprezzo, presentata a febbraio, ha già ricevuto il supporto del governo; in seguito all’approvazione dell’assemblea, passerà poi al vaglio del Senato. Sono tre gli articoli principali di questo disegno di legge. Il primo prevede il rafforzamento dell’informazione sui danni ambientali del fast fashion, ma anche sulle possibilità di riutilizzo e riparazione di capi ed accessori. In concreto, sui siti dei rivenditori online, sarà obbligatorio inserire messaggi e dati in merito all’impatto produttivo e consigli su come far durare gli oggetti più a lungo.

Il secondo articolo entra nel merito della tassa, applicabile seguendo le indicazioni dell’EPR (Responsabilità estesa del produttore, quella norma europea che prevede che il produttore sia responsabile di tutto il ciclo di vita di ciò che immette sul mercato, dalla sua ideazione fino al suo smaltimento). I contributi versati dai produttori verranno calcolati in base alle emissioni di carbonio, all’impatto ambientale, valutando criteri di sostenibilità e riciclabilità, ma soprattutto tenendo conto del fatto che i capi in questione siano realmente prodotti seguendo il modello del fast fashion. L’imposta potrà crescere progressivamente, andando a raggiungere anche 10 euro in più per singolo capo.

Una tassa simile era già stata applicata al settore delle automobili, dove le sanzioni ecologiche possono raggiungere anche i 60.000 euro, andando ad impattare considerevolmente il prezzo di vendita del singolo veicolo. Un modo piuttosto deciso per invogliare i produttori a cambiare le proprie pratiche e modificare il comportamento di acquisto dei consumatori. In fin dei conti, chi fa orecchie da mercante senza farsi carico delle proprie responsabilità, pensando esclusivamente al proprio tornaconto, sarà costretto a pagare, fisicamente, per i danni ambientali perpetrati nel tempo.

Un modo per ripristinare gli equilibri del mercato, assicurando una concorrenza più onesta con tutte quelle aziende che, invece, si stanno adeguando (spesso a loro spese) alle norme ambientali francesi ed europee. Nella proposta si legge, inoltre, che gli introiti generati dalle sanzioni, saranno utilizzate per finanziare l’organizzazione ecologica del tessile: dalla raccolta alla cernita fino alla trasformazione dei prodotti usati, incentivare la ricerca e lo sviluppo, pagando premi alle aziende impegnate nell’eco-design, aumentare il bonus riparazione e finanziare campagne pubbliche sull’impatto ambientale e sulla prevenzione dei rifiuti nel settore.

Il terzo ed ultimo articolo si propone di vietare la pubblicità e prodotti fast fashion. Il brainwashing portato avanti da anni da tutto il settore moda, a colpi di tendenze e di “imperdibili must have”, è cresciuto in maniera esponenziale e rapidissima negli ultimi anni (complici anche nuovi mezzi di comunicazione e personaggi che tentano di vendere qualunque cosa ventiquattr’ore su ventiquattro). Valutando l’impatto della pubblicità sul comportamento di acquisto, le regolamentazioni arrivano puntuali per tutelare i consumatori, anche minorenni, dal martellamento costante di certe campagne. Anche questa proposta arriva in seguito alla legge “clima e resilienza” che ha vietato la pubblicità dei combustibili fossili, ma anche su quella che punisce le aziende che fanno chiaramente greenwashing; il tutto in un’ottica di protezione ambientale.

Una proposta completa e senza sconti che, se dovesse essere approvata, rappresenterebbe finalmente una presa di posizione concreta sull’argomento che si spera serva da apripista anche per gli altri paesi.

[di Marina Savarese]

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