Si è conclusa in terra curda la settimana del Newroz, la più importante festività del popolo che da secoli vive oppresso tra imperi e regimi autocratici. Il newroz (“nuovo giorno”) segna l’arrivo del capodanno e della primavera ed è dunque il simbolo per eccellenza di rinascita, resistenza e libertà, la stessa per cui i curdi continuano a lottare e a sfidare la repressione proveniente in particolar modo dalla Turchia. Quest’ultima conduce da anni un conflitto che alterna fasi a bassa e ad alta intensità contro i curdi che vivono all’interno dei propri confini, in Siria o in Iraq. Sul finire del millennio scorso Ankara ha vietato i festeggiamenti del Newroz, rispondendo a suon di massacri e arresti arbitrari, e oggi, nonostante il divieto decaduto, cerca di ostacolarli in tutti i modi. A dispetto delle piazze blindate, delle interdizioni e della violenza da parte della polizia turca, i curdi sono scesi in strada per festeggiare – fino alla celebrazione finale del 21 marzo ad Amed – lanciando un chiaro messaggio di resistenza.
Newroz rojbuna kurda ye#akrê pic.twitter.com/u7VgJHaEbv
— aware.barzani (@aware_barzani) March 20, 2024
Rojhilat, Bakur, Basur, Rojava, Istanbul sono solo alcuni dei luoghi in cui i curdi hanno festeggiato l’arrivo del capodanno e della primavera, riempiendo strade, piazze, vallate e montagne. A essere protagonista del Newroz è il rinnovamento, dunque risultano centrali l’elemento del fuoco e la sua valenza purificatrice. In strada si accendono falò, intorno ai quali si riuniscono donne, uomini e bambini tra canti e balli popolari. Ad Akre, piccola città del Kurdistan iracheno famosa proprio per i festeggiamenti del Newroz, migliaia di persone si sono riunite per l’usuale torciata lungo il pendio della montagna su cui sorge la città vecchia. Con il Newroz viene poi celebrato il mito che lo sottende, ossia la vittoria del fabbro Kawa contro il tiranno persiano che aveva sterminato i suoi nove figli.
Un marcato sentimento di riscatto e di libertà ha attraversato diverse città siriane, irachene, iraniane e turche, unendo il Kurdistan, la regione rivendicata dai curdi come la propria patria. Le varie istanze di autodeterminazione sono osteggiate, oggi come in passato, dalla Turchia che inseguendo uno slancio imperialista, teme le esperienze democratiche realizzate dai curdi (si pensi all’esperienza senza pari al mondo del confederalismo democratico portato avanti nel Rojava, la parte siriana del Kurdistan). La repressione non si è fermata durante la settimana del Newroz, anzi. Durante i festeggiamenti organizzati dall’HDK (Congresso Democratico dei Popoli), dal Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli e dal Movimento delle Donne Libere, la polizia turca ha arrestato decine di persone, sequestrando i simboli della tradizione curda, come gli abiti contenenti il rosso, il verde e il giallo, protagonisti nella bandiera del Kurdistan. Le azioni di Ankara si inseriscono in un più ampio quadro di repressione, volto a eradicare qualsiasi istanza di autodeterminazione dei curdi, che in Iraq e soprattutto in Siria si sono resi protagonisti di diverse iniziative di gestione autonoma e democratica.
«Vogliamo mettere in sicurezza il nostro confine con l’Iraq prima dell’estate e finire il lavoro anche in Siria. Pretendiamo che tutti nella regione rispettino la nostra strategia e il nostro bisogno di sicurezza. Al contrario potrebbero sorgere tensioni», ha dichiarato di recente il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Parole che si tradurranno in attacchi più intensi nei confronti del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), la principale organizzazione politica curda attiva tra Turchia e Iraq. L’escalation non smuoverà le agende della sedicente comunità internazionale dal momento che la NATO, per permettere l’ingresso di Finlandia e Svezia, ha sostanzialmente venduto la pelle dei curdi lanciando un messaggio distensivo nei confronti del governo Erdoğan. Ankara, dopo anni di tensione formale, troverà poi un alleato nel governo di Baghdad, con cui qualche giorno fa ha siglato un’intesa per combattere congiuntamente il PKK, definito una “minaccia alla sicurezza di entrambi i Paesi”. Per la prima volta dalla fondazione dell’organizzazione politica curda, avvenuta nel 1978, l’Iraq ha deciso di bollarla come organizzazione terroristica, allineandosi a Turchia, Stati Uniti e Unione europea.
[di Salvatore Toscano]
Complimenti. Lodevole e dovuto articolo, in un mondo della comunicazione dove non mi pare avere trovato alcuna traccia della notizia che riguarda un popolo intero, quello Curdo, perseguitato e senza patria. Sarebbe anche il caso di scrivere qualcosa sui Curdi Turchi e del loro partito HDP che aveva circa 60 parlamentari e terzo partito in Turchia, praticamene distrutto mettendo in prigione senza processo dirigenti, parlamentari, giornalisti e lo stesso presidente Selahattin Demirtas, un avvocato mite e sensibile rinchiuso in prigione dal 2016, ancora in attesa di processo.
I criminali guerrafondai sono proprio questi ultimi menzionati…altro che i curdi