Venerdì 22 marzo in occasione della 67° sessione della Commissione Stupefacenti delle Nazioni Unite (CND), è stata approvata una risoluzione che include esplicitamente la riduzione del danno tra le azioni utili a risolvere la crisi di overdose. Il testo, approvato con 38 voti a favore e 2 contrari (Russia e Cina), aveva come oggetto il problema dell’overdose, in particolare da oppioidi sintetici, e le risposte offerte in tal senso dalle politiche sulle droghe. La riduzione del danno è un metodo che utilizza un approccio non giudicante nei confronti di chi fa uso di sostanze psicotrope, che viene indicato come “consumatore” e non “tossicodipendente”: l’obiettivo non è quello di spingere la persona a interrompere il consumo di sostanze, ma di renderla consapevole dell’uso che ne fa. Leonardo Fiorentini, segretario del Forum Droghe, ha dichiarato che la risoluzione costituisce «un importante passo politico» e che «per salvare vite bisogna rendere disponibili dappertutto servizi di riduzione del danno».
La 67° sessione del CND si è tenuta a Vienna, sede stessa della Commissione, tra il 14 e il 22 marzo. Nella risoluzione approvata durante l’ultimo giorno di sedute, è possibile leggere come l’ONU incoraggi gli Stati membri a “esplorare approcci innovativi” per far fronte ai problemi sanitari derivanti da un uso non medico delle sostanze stupefacenti, tra i quali si annoverano per la prima volta nella storia “misure di riduzione del danno rivolte a prevenire e minimizzare le conseguenze sociali e di sanità pubblica avverse”. Nello specifico, tra le misure suggerite e quelle che gli Stati vengono “chiamati” ad attuare, figurano programmi di “prevenzione, trattamento, e supporto nel ricovero”, ma anche interventi pubblici di natura sanitaria come il trattamento farmacologico assistito, servizi per preservare e assistere la salute mentale, soprattutto nell’ambito “comportamentale” e dello “psicosociale”, e l’utilizzo di medicine per bloccare gli effetti degli stupefacenti. Tutte queste pratiche vanno messe in atto attraverso un miglioramento delle strutture e dell’assistenza tecnica, e, soprattutto, con la consapevolezza che una “strategia bilanciata sulla riduzione della domanda di droga” passi necessariamente da un ripensamento delle operazioni sociali che coinvolgono i consumatori.
Generalmente con “misure di riduzione del danno” si intende proprio questo. La ONG Harm Reduction International (HRI) definisce la riduzione del danno come quell’insieme di “politiche, programmi e pratiche che mirano a minimizzare gli impatti negativi sulla salute, sociali e legali dell’uso di droghe, delle politiche e delle leggi sulle droghe”; questa si fonda sul riconoscimento della necessità di “lavorare con le persone senza giudicare, forzare, discriminare, o imporre che smettano di assumere droghe come precondizione per il supporto”. Secondo HRI, insomma, il modo migliore per combattere la dipendenza dagli stupefacenti non sarebbe quello di portare avanti una fervida guerra contro il loro consumo, demonizzando e stigmatizzando chi ne fa uso, ma, al contrario, passerebbe dal riconoscimento della droga come fenomeno sociale che in quanto tale richiede un dialogo diretto con i consumatori e con coloro che ne fanno un uso dannoso, in modo tale da affrontare il problema a 360° gradi.
Con la risoluzione approvata il 22 marzo, il CND fa uno storico passo avanti nella lotta all’uso delle droghe, mettendo per la prima volta in discussione nero su bianco la campagna di “guerra alla droga” portata avanti in particolare negli Stati Uniti nella seconda metà del secolo scorso. Questa ha attuato strategie analoghe a quelle del periodo del proibizionismo statunitense, provando a estirpare il problema alla radice. Per quanto la guerra alla droga nella sua forma più cruda non sia ormai più in atto da anni, il concetto di combattere il fenomeno del consumo di stupefacenti contrastandone l’esistenza e il traffico è sempre stato alla base della linea ufficiale del CND. Questo nel corso dei decenni è stato messo in dubbio parecchie volte tanto sul piano delle discussioni interne, come faceva l’ex Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan, quanto sul piano legislativo dei singoli Paesi, per cui basterebbe pensare all’ondata di legalizzazione che ha coinvolto tra gli altri numerosi Stati degli USA. Mai però era stata formalmente approvata una risoluzione che proponesse pratiche diverse dal tentativo di reprimere il fenomeno. Dopo la risoluzione del 22 marzo, viene così confermato in maniera ufficiale quanto sottolineato il passato settembre dall’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite: il proibizionismo, lungi dall’essere l’unica soluzione possibile al contrasto alle droghe, ha fallito.
[di Dario Lucisano]
Che bella notizia!!! Continuate pure a drogarvi che gli stati vi sostengono a discapito di chi lavora onestamente e non si droga. Sapendo tutto quello che c’e dietro il traffico di droga e tutte le azioni malevole a cui porta drogarsi, mi sembra un ottima cosa da mettere in prima pagina e scusare il fenomeno come sociale, da praticare liberamente con li supporto dello stato che usa le tasse dei contribuenti onesti, per far prendere coscienza a chi si droga che non è in difetto, tanto poi se vuole smettere sarà super assistito dal SSN e tu che hai lavorato una vita, per fare una visita mesi di attesa, o paghi un altra volta. Proprio un bel traguardo democratico da paesi civilizzati governati da DROGATI che schifo……..
Le droghe si combattono col vino, che agisce come un vaccino e quindi non privo di pericoli a sua volta, non fosse così la religione Cristiana si baserebbe sul falso.