martedì 3 Dicembre 2024

Il caso Assange al bivio: cosa succederà ora?

Sembra un gesto sadico diretto contro Julian Assange, il giornalista ed editore australiano che gli Stati Uniti vogliono processare per aver rivelato documenti segretati. Prima l’Alta Corte britannica gli dà ragione per quanto riguarda tre delle nove obiezioni da lui sollevate contro la pretesa statunitense di estradarlo dal Regno Unito. Ma, poi, la Corte concede ai suoi avversari, gli avvocati londinesi ingaggiati dagli Stati Uniti, 21 giorni di tempo per invalidare quelle tre obiezioni, fornendo alla Corte le necessarie rassicurazioni. In pratica, con una mano si dà e con l’altra si toglie.

Specificamente, gli USA dovranno rassicurare i giudici su questi aspetti:

  • che Assange, cittadino australiano, avrà un giusto processo al pari di un cittadino statunitense (Julian aveva sollevato l’obiezione di una possibile disparità di trattamento basata sulla diversa cittadinanza).
  • che Assange avrà la possibilità di appellarsi al Primo Emendamento della Costituzione USA, che garantisce la libertà di parola (Julian non è cittadino statunitense; inoltre, verrà processato con l’Espionage Act che limita quella libertà).
  • che Assange non correrà il rischio di una sentenza di pena di morte (Julian aveva prospettato questa pericolosa possibilità in quanto è proibita da tutte le Convenzioni sull’estradizione).

Se gli USA forniranno queste tre rassicurazioni entro il 16 aprile – e nessuno dubita che lo faranno – e se, nell’udienza già fissata per il 20 maggio, la Corte le giudicherà attendibili, le tre obiezioni sollevate da Assange verranno respinte e il co-fondatore di WikiLeaks potrà essere estradato negli Stati Uniti immediatamente.

Quali sono le probabilità che le rassicurazioni statunitensi verranno considerate attendibili e quindi accettate?

Se giudichiamo dai casi analoghi recedenti, la loro accettazione sembra davvero scontata. Nel gennaio del 2021, infatti, in occasione del processo di primo grado intentato da Julian per invalidare la pretesa di estradizione statunitense, l’allora giudice Baraitser ha effettivamente rigettato quella pretesa a causa delle tremende condizioni di detenzione nelle prigioni di massima sicurezza oltre-atlantiche, così severe da far rischiare fortemente di portare un soggetto autistico come Julian al suicidio. Contrariata, la controparte statunitense ha quindi fornito alla Corte una rassicurazione che, qualora Assange fosse estradato e condannato, egli godrebbe di condizioni di detenzione tollerabili. Nel mese di dicembre 2021 l’Alta Corte ha accolto questa rassicurazione fornita dal Department of Justice e ha approvato l’estradizione di Julian.

In che cosa è consistita la rassicurazione fornita?

È consistita nella promessa di non incarcerare Julian in una prigione oltre-atlantica di massima sicurezza (che sono anche prigioni di massima durezza)… a meno che, detenuto in una carcere normale, Assange non abbia avuto qualche comportamento giudicato “ostile” dalle autorità penitenziarie, a loro insindacabile parere. In pratica, si tratta di una cosiddetta “rassicurazione” che dà praticamente carta bianca alle autorità penitenziarie. Eppure è stata accettata dall’Alta Corte britannica.
Ecco perché c’è motivo di temere che le rassicurazioni che forniranno gli USA all’Alta Corte entro il 16 aprile verranno accettate tutte quante, nonostante le poche garanzie reali che offriranno. E che, pertanto, la Corte ordinerà definitivamente, senza pensarci ulteriormente, la tanta temuta estradizione di Julian negli Stati Uniti.

Ma non è detto che vada così. I due giudici che dovranno pronunciarsi – Dame Victoria Sharp e Jeremy Johnson – hanno saputo opporsi in passato ad una richiesta di estradizione. L’anno scorso, per esempio, Sharp e Johnson si sono pronunciati contro l’estradizione negli Stati Uniti di un cittadino britannico accusato di frode in criptovalute, sostenendo che “era possibile perseguirlo nel Regno Unito”. Se Sharp e Johnson respingeranno le rassicurazioni fornite dal Department of Justice, sarà sicuramente una vittoria e potremo tirare un sospiro di sollievo.

Il caso di Julian si riaprirà e altri giudici saranno chiamati a ratificare definitivamente la legittimità delle obiezioni sollevate da Julian, seppellendo la richiesta di estradizione e spianando la strada alla sua liberazione. Ma rimane il fatto che, mentre la Corte delibera, Julian dovrà affrontare mesi (se non anni) di attesa nella sua minuscola cella di isolamento nel carcere di Belmarsh. Dopo cinque anni di queste condizioni, già la salute fisica e mentale di Julian è diventata sempre più precaria, al punto che egli non ha avuto le forze per assistere alle udienze del 20 e 21 febbraio, nemmeno per via telematica. Qualche mese fa, tossiva così forte che si è spezzato una vertebra. Nella sua Lettera al re Carlo, Julian rende con tinte fosche lo squallore di Belmarsh, talmente deprimente che porta al suicidio. È assolutamente insensato e ingiusto che Julian venga detenuto in queste condizioni tremende meramente a titolo di custodia cautelare.

Per il Gruppo di lavoro ONU sulla detenzione arbitraria, si tratta, infatti, di un chiaro abuso. Anche perché esiste l’istituto degli arresti domiciliari, che garantiscono contro i pericoli di fuga o di reiterazione e tuttavia consentono condizioni di vita assai più umane. Perché non viene applicato in questo caso?

È vero che Julian si è sottratto ai domiciliari in passato, quando si è rifugiato nell’ambasciata ecuadoriana per evitare, appunto, l’estradizione. Ma si tratta di più di cinque anni fa e dopo cinque anni, nella legislazione di molti paesi come l’Italia, si possono chiedere di nuovo i domiciliari pur essendovisi sottratti in passato.

Ecco dunque una iniziativa che gli attivisti pro-Assange potrebbero intraprendere nel caso di una riapertura del processo di Julian. Dopo essersi consultati con la sua famiglia e con i suoi avvocati, potrebbero lanciare una campagna per chiedere alle autorità britanniche di trasformare la detenzione di Julian a Belmarsh in un periodo di arresti domiciliari – con la moglie Stella e con i due figli – in una villa idonea per la durata del processo. In fondo, le autorità britanniche hanno concesso gli arresti domiciliari al sanguinario dittatore cileno Augusto Pinochet mentre decidevano in merito alla sua estradizione in Spagna – peraltro, domiciliari signorili in una villa di lusso con tanto di servitù. Sarebbe più giusto che, a godere di questo trattamento di favore, fosse chi, come Julian Assange, ha rivelato le uccisioni di massa – per prevenirne altre in futuro – piuttosto che chi, come Pinochet, le ha commesse.

[di Patrick Boylan – docente di teoria e pratica della traduzione all’Università Roma Tre, autore del libro Free Assange e co-fondatore del gruppo Free Assange Italia]

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