martedì 5 Novembre 2024

FURORE 2.0

Qualche volta non c’è bisogno di scrivere qualcosa di nuovo. Basta prendere le pagine giuste che esistono già. Furore, il grande romanzo-epopea di John Steinbeck, 1939, ci dà lo spunto per non perdere di vista i corsi e ricorsi della storia. Qui i contadini sono messi ko dall’arrivo prepotente della meccanizzazione in agricoltura e dalla conseguente spietata legge di mercato che li costringe a prestiti che non possono onorare. Così inevitabilmente arrivano i delegati dei proprietari terrieri e gli agenti delle banche a fare piazza pulita. Queste pagine, queste parole bisogna leggerle con una concentrazione religiosa, come venissero insieme dai campi lontani e dal cielo, portatrici di un senso epico, mitologico, ancestrale e perenne.

I proprietari dei fondi arrivavano sui loro fondi, o più spesso arrivava un delegato dei proprietari. Arrivavano a bordo di macchine coperte, e palpavano con le dita la terra arida, e a volte vi infilavano grossi succhielli di carotaggio per valutarne le condizioni. I mezzadri, sul limitare delle loro aie arse dal sole, guardavano inquieti le macchine coperte che attraversavano i campi. E alla fine i delegati dei proprietari arrivavano nelle aie e rimanevano seduti in macchina e parlavano dai finestrini. I mezzadri restavano per un po’ in piedi accanto alle macchine, poi si accoccolavano sui talloni e trovavano dei legnetti per tracciare linee sulla polvere.

Le donne si affacciavano sulla soglia di casa per guardare, e dietro di loro c’erano i bambini – bambini biondi come il mais, con gli occhi spalancati, un piede nudo sopra l’altro piede nudo, e le dita nervose. Le donne e i bambini guardavano i loro uomini parlare con i delegati dei proprietari. Tacevano.

Alcuni dei delegati dei proprietari erano gentili perché non gli andava di fare quello che dovevano fare, altri erano arrabbiati perché non gli andava di essere spietati, altri ancora erano indifferenti perché da tempo avevano capito che non si può essere proprietari se non si è indifferenti. E tutti quanti erano presi in qualcosa che non riuscivano a controllare. Alcuni di loro odiavano i numeri da cui dipendevano, altri erano impauriti, altri ancora adoravano i numeri perché gli davano rifugio dai pensieri e dai sentimenti. Se il proprietario del fondo era una banca o una società finanziaria, i delegati dicevano: La Banca – o la Società – ha bisogno… vuole… pretende… esige… come se la Banca – o la Società – fosse un mostro, dotato di pensieri e sentimenti, che li avesse soggiogati. Questi delegati non si accollavano le responsabilità delle banche o delle società, perché loro erano uomini e schiavi mentre le banche erano al tempo stesso macchine e padroni. Alcuni delegati provavano una certa fierezza nell’essere schiavi di padroni così insensibili e potenti. I delegati se ne stavano seduti in macchina e spiegavano. Vi rendete conto anche voi che la terra è povera. Lo sa Iddio se ci avete sgobbato abbastanza per rendervene conto.

I mezzadri accoccolati annuivano e riflettevano e disegnavano figure nella polvere, e sì, se ne rendevano conto, lo sa Iddio quanto se ne rendevano conto. Se solo non si fosse alzata la polvere. Se solo se ne fosse rimasta dov’era, forse le cose non si sarebbero messe così male.

Gli uomini seduti in macchina continuavano il loro ragionamento: Lo sapete che la terra diventa sempre più povera. Lo sapete cosa fa il cotone alla terra: la spreme, le succhia tutt’il sangue.

Gli uomini accoccolati annuivano – lo sapevano, lo sa Iddio quanto lo sapevano. Se solo avessero potuto ruotare le colture, magari sarebbero riusciti a ridare un po’ di sangue alla terra.

Già, ma è troppo tardi. E i delegati dei proprietari illustravano le motivazioni e le logiche di quel mostro che era più forte di loro. Un uomo può tenersi la terra finché ha di che mangiare e pagare le tasse; questo può farlo.

Sì, può farlo finché un giorno non gli va male un raccolto, e a quel punto deve farsi prestare i soldi dalla banca. Ma, vedete, una banca o una società questo non possono farlo, perché non sono creature che respirano aria, che mangiano carne. Respirano profitti; mangiano interessi sul denaro.

Se non lo fanno, muoiono esattamente come morireste voi senza aria, senza carne. È triste ma è così. Non ci si può fare niente.

Gli uomini accoccolati alzavano gli occhi per capire. Non potremmo provarci ancora? Magari la prossima annata sarà una buona annata. Lo sa Iddio quanto cotone potremmo fare l’anno prossimo. E con tutte queste guerre… lo sa Iddio di quanto salirà il prezzo del cotone. Col cotone non ci fanno anche gli esplosivi? E le uniformi? Basta che ci sono abbastanza guerre, e il prezzo del cotone salirà alle stelle. L’anno prossimo, magari. Alzavano lo sguardo, speranzosi.

Non possiamo basarci su un’eventualità. La banca… il mostro deve fare utili continuamente. Non può aspettare. Morirebbe. No, il profitto deve continuare. Se il mostro smette di crescere, muore. Non può restare com’è.

Dita morbide cominciavano a tamburellare sul bordo dei finestrini, e dita dure si stringevano sui legnetti che disegnavano inquieti. Sulle soglie assolate delle case dei mezzadri, le donne sospiravano e cambiavano piede, così quello che prima era sotto adesso stava sopra, con le dita sempre inquiete. I cani venivano ad annusare le macchine dei proprietari e pisciavano su tutt’e quattro le ruote, una dopo l’altra. E i polli stavano sdraiati sull’aia soleggiata, strofinandosi nella polvere come per lavarsi le piume. Nelle piccole stie, i maiali grufolavano perplessi tra i resti fangosi del pastone.

Gli uomini accoccolati abbassavano di nuovo lo sguardo. Cosa volete che facciamo? Non possiamo ridurci la quota di raccolto… siamo già allo stremo. I bambini hanno sempre fame. Non abbiamo di che vestirci decorosamente, solo stracci. Se i vicini non fossero nelle stesse condizioni, ci vergogneremmo di farci vedere alle prediche.

E alla fine i delegati dei proprietari arrivavano al punto. La mezzadria non può più funzionare. Un uomo con un trattore può prendere il posto di dodici o quattordici famiglie. Gli si dà un salario e si prende tutto il raccolto. Dobbiamo farlo. Non ci fa piacere farlo. Ma il mostro è malato. Al mostro è successo qualcosa.

Ma così ucciderete la terra con tutto il cotone.

Lo sappiamo. Dobbiamo sbrigarci a prendere il cotone prima che la terra muoia. Poi venderemo la terra. All’Est ci sono tante famiglie che vorrebbero possedere un pezzo di terra.

Gli uomini accoccolati alzavano gli occhi, allarmati.

Ma cosa sarà di noi? Come faremo per mangiare?

Dovrete lasciare la terra. Gli aratri verranno a spianare la vostra aia.

A quel punto gli uomini accoccolati si alzavano in piedi, furibondi. Mio nonno ha preso questa terra e ha dovuto uccidere gli indiani e cacciarli via. E mio padre è nato qui, e ha liberato questa terra dalla gramigna e dai serpenti. Poi c’è stata una brutta annata e ha dovuto farsi prestare un po’ di soldi. E noi siamo nati qui. Lì, sulla soglia: quelli sono i nostri figli, nati qui. E mio padre ha dovuto farsi prestare altri soldi. Già allora la terra era della banca, ma ci hanno permesso di restare qui e di tenere un po’ di quello che coltivavamo.

Lo sappiamo… sappiamo tutto. Non siamo noi, è la banca. Una banca non è come un uomo. E manco uno che possiede cinquantamila acri è come un uomo. È questo il mostro.

Già, gridavano i mezzadri, ma questa terra è nostra. L’abbiamo misurata e l’abbiamo dissodata. Su questa terra siamo nati, su questa terra ci siamo fatti uccidere, su questa terra siamo morti. Anche se non serve più a niente, è ancora nostra. Ecco cosa la rende nostra: esserci nati, lavorarci, morirci. È questo a darcene il possesso, non un pezzo di carta con sopra dei numeri.

Ci dispiace. Non siamo noi. È il mostro. Una banca non è come un uomo.

Sì, ma la banca è fatta di uomini.

No, qui vi sbagliate… vi sbagliate di grosso. La banca è qualcosa di diverso dagli uomini. Tant’è vero che ogni uomo che lavora per una banca odia profondamente quello che la banca fa, e tuttavia la banca lo fa ugualmente. Credetemi, la banca è più degli uomini. È il mostro. Gli uomini la creano, ma non possono controllarla.

[…] Il trattorista diceva: Un tizio m’ha detto che la banca piglia ordini dall’Est. E gli ordini erano: “O quella proprietà fa profitti o vi chiudiamo.”

Ma dove finisce questa catena? A chi possiamo sparare? Non mi va di morire di fame senza ammazzare l’uomo che mi fa morire di fame.

Non lo so. Forse non c’è nessuno da ammazzare. Forse non c’entrano gli uomini. Forse, come hai detto tu, è la proprietà la causa di tutto. Io comunque t’ho detto gli ordini che ho.

Ci devo pensare, diceva il mezzadro. Tutti quanti ci dobbiamo pensare. C’è per forza un modo per fermare questa cosa. Non è come i fulmini o i terremoti. Questa è una cattiveria fatta dagli uomini, e le cattiverie fatte dagli uomini si possono cambiare, perdio!

[di Gian Paolo Caprettini]

L'Indipendente non riceve alcun contributo pubblico né ospita alcuna pubblicità, quindi si sostiene esclusivamente grazie agli abbonati e alle donazioni dei lettori. Non abbiamo né vogliamo avere alcun legame con grandi aziende, multinazionali e partiti politici. E sarà sempre così perché questa è l’unica possibilità, secondo noi, per fare giornalismo libero e imparziale. Un’informazione – finalmente – senza padroni.

Ti è piaciuto questo articolo? Pensi sia importante che notizie e informazioni come queste vengano pubblicate e lette da sempre più persone? Sostieni il nostro lavoro con una donazione. Grazie.

Articoli correlati

Iscriviti a The Week
la nostra newsletter settimanale gratuita

Guarda una versione di "The Week" prima di iscriverti e valuta se può interessarti ricevere settimanalmente la nostra newsletter

Ultimi

Articoli nella stessa categoria