I giovani non hanno torto, i giovani non hanno ragione. I giovani sono giovani, hanno ‘la storia nel sangue’, avrebbe detto Jorge L. Borges con una delle sue eloquenti espressioni. I giovani forse non sanno quello che vogliono ma sanno bene quello che non vogliono e vivono nella sfacciata pretesa che quello che desiderano e si aspettano vada bene a tutti.
Dobbiamo sentirci, in effetti, tutti giovani, stare tutti attenti a quanto succede, a non farci sopraffare dalle abitudini, dagli atteggiamenti che lentamente erodono i nostri sogni e i nostri risvegli, che ci rendono immuni ai cambiamenti.
L’avvicendarsi di ordine e disordine assomiglia all’allestimento impeccabile dei tavoli di un ristorante che poi si riempie di cibo, di voci, di movimenti e gesti, di commenti, di gusti, di sensazioni e poi lascia i suoi resti e, quando va bene, la sua gioia e il suo piacere. Ma anche i suoi sprechi e qualcosa che non è piaciuto e che si è rotto.
Viviamo nell’alternarsi continuo, anche naturale, di ordine e disordine, nel tempo ciclico del respiro, nell’avvicendarsi di urli e sussurri, del vento e della quiete, eppure siamo impreparati quando altri come noi si vogliono fare sentire, si mettono in marcia e formano ondate di dissenso, alterano il paesaggio dell’identico.
Quando si formano i cortei la società si divide in due, chi ne fa parte e chi ne è rimasto fuori. E inevitabilmente scattano le intolleranze e il fastidio. Ogni giorno tuttavia avvertiamo il bisogno di farci sentire, vorremmo fare parte del corteo immaginario di chi la pensa come noi, pretendiamo un consenso o come minimo un ascolto.
Ogni corteo è la rappresentazione di qualcosa, di un dissenso e di una repressione. Ma ogni corteo rischia di scomparire dietro la conta dei feriti e dei danni, rischia di cancellare le ragioni che lo hanno fatto esistere, di offuscarsi dietro la logica dell’ordine pubblico e del disordine da contenere.
Ogni forma di dissenso invece esprime delle verità, dei bisogni, delle mancanze, una critica potente, una voglia di segnare altre strade, di imporre altre scelte, di sottrarsi alla logica di chi domina invece di governare. I cortei urlano perché qualcuno deve ascoltare, esaltano il disordine, producono danni sul palcoscenico di una realtà che vorrebbero cambiare.
I cortei tuttavia non possono non sbagliare. Producono eccedenza, rischi, hanno bisogno di una disciplina. Devono seguire un copione, hanno una loro forma spettacolare. Ma hanno sempre margini di improvvisazione.
Chi governa invece non pensa mai di sbagliare. Chi è al comando non lo prende nemmeno in considerazione. Chi ordina prevede che si sbagli sempre e soltanto chi riceve i suoi ordini.
Invece è dagli errori che si impara, sosteneva Karl Raimund Popper, filosofo della scienza. Popper aveva proprio ragione. Anche se lui si riferiva al metodo scientifico e non alla politica, agli esperimenti e non alle decisioni.
Chi governa esercitando la repressione è come uno scienziato che nega o altera i risultati di qualche operazione, chi governa utilizzando la forza pubblica contro i dissenzienti è inevitabilmente lo stesso che chiude un occhio su quelli che vanno come dei pazzi in autostrada, che sceglie strani percorsi giudiziari per non condannare personaggi influenti, che trascura i controlli necessari alla salute pubblica.
Tutto ciò avviene perché il disordine è inevitabile, perché fa parte della libertà, richiede intelligenza, una intelligenza del limite, una percezione di ciò che si può tentare e di ciò che va evitato.
Il disordine è alleato della tolleranza, ti obbliga a escogitare soluzioni, a evitare di esasperare. Ti insegna a rimanere attento e anche ad abbandonarti, a cambiare e a lasciar correre.
L’ ordine è necessario perché nell’ordine si misurano i risultati, si tirano le somme, si esercita una logica. E si riparte seguendo una rotta, magari un’altra rotta, immaginando tanti destini.
[di Gian Paolo Caprettini]
È vero, la società è piramidale ma a me pare che il vertice sia disgiunto dal resto e lo voglia influenzare anche senza farne parte. Alla indegnità di una élite qual è il rimedio?
Credo che tutto sia nato dal caso perché qualunque Creatore seguirebbe qualche regola e quindi creerebbe alcune cose, ma non tutte.
Quindi l’Universo è nato dal caso e quindi è uno degli infiniti Attrattori che sorgono spontaneamente in conseguenza del caos.
Come ne dimostra l’esistenza la matematica qualunque sia la direzione che un Attrattore prende, quindi qualunque direzione temporale, il caos crea all’interno di qualunque Attrattore sufficentemente grande, degli Strani Attrattori che hanno natura Frattale e quindi esisteranno con tutte le possibili dimensioni in numero e quantità.
L’Umanità non percepisce questi Strani Attrattori perché ha preso delle brutte strade e una di queste, forse la peggiore è il costruire le società sull’esempio delle Piramidi.
Le Piramidi vanno benissimo per costruire con le pietre perché naturalmente si pongono su una della superficie grandi che poi con facilità sostengono i vertici.
La storia dimostra che invece, quando una società si forma a Piramide naturalmente si pone a poggiare su un vertice che poi non può mantenere l’equilibrio e tutta la struttura sociale diventa la più instabile delle strutture possibili, da questo i divieti, la fine delle innovazioni e tasse su tutto e tutti, per rendere tutto immobile cercando di salvare l’impossibile.
Quando imparerete a seguire la natura creatrice costruendo società su base di rapporti plurimi paritari e possibilmente ad un solo o pochi piani cosicché siano resilienti e gli uomini possano creare continuamente più novità di quante cose vecchie fa morire l’Entropia?