Una «battaglia contro la vendita al gruppo Angelucci dell’AGI». È questo che ha spinto i giornalisti dell’AGI (Agenzia Giornalistica Italia) a proclamare cinque giorni di sciopero, culminati con un presidio davanti al Pantheon a Roma, alla presenza di Pier Luigi Bersani. Il malcontento riguarda le trattative per l’acquisto dell’agenzia di stampa, la seconda in Italia, da parte di Antonio Angelucci, figura chiave delle cliniche private e deputato della Lega, che ha creato una rete mediatica sempre più ampia. Essendo già proprietario di tre giornali di centrodestra (Libero, Il Giornale, Il Tempo), il timore dei redattori e del centrosinistra è che la possibile acquisizione possa influenzare la linea editoriale e la produzione giornalistica dell’AGI, che per sua natura dovrebbe essere, invece, «imparziale e autonoma da condizionamenti politici».
Sebbene Angelucci non sia il primo parlamentare a possedere dei giornali, avere un’agenzia di stampa è un’altra cosa, in virtù dell’influenza che essa può avere su quello che poi pubblicano i giornali. Sono proprio le agenzie a filtrare e scegliere la gerarchia delle notizie da dare e quali valorizzare e, in virtù della loro autorevolezza e del fenomeno dell’apertura cancelli dell’informazione, i giornali fanno molto affidamento ai loro lanci. Quanti più media mainstream che si trovano al vertice riprenderanno un lancio di un’agenzia di stampa, tanto più forte e d’impatto sarà la notizia per il grande pubblico.
Alle agenzie di stampa è richiesta, pertanto, la massima imparzialità e uno stile asciutto, in modo che poi le singole redazioni possano decidere se e come riprendere le notizie e il taglio, lo stile o l’interpretazione da dare a esse. A garanzia di questa presunta indipendenza, la principale agenzia di stampa italiana, l’Ansa, è di proprietà di una cooperativa composta da 23 editori delle principali testate italiane. Questa presunta imparzialità naturalmente vale solo in teoria, perché, come abbiamo visto spesso proprio dalle colonne della rubrica Anti fakenews, nella pratica i risultati possono variare e deragliare rispetto ai proclami sbandierati.
La vicenda dell’interesse di Angelucci per l’acquisizione di AGI ha destato l’attenzione di molti giornali (in particolare gli attacchi dei quotidiani del rivale Gruppo GEDI), con il PD e i Cinque Stelle sul piede di guerra. Proprio una delegazione del Partito Democratico all’Eurocamera a Bruxelles ha sottoposto la trattativa per l’acquisizione dell’AGI alle istituzioni europee, con una lettera indirizzata alla Vicepresidente della Commissione Ue e commissaria ai Valori e alla Trasparenza, Věra Jourová, in modo da «chiarire quali azioni intende intraprendere in caso di mancato rispetto dell’indipendenza editoriale dell’Agenzia» e «della legge europea sulla libertà dei media».
Negli ultimi giorni, è spuntato anche l’interesse per l’acquisizione di AGI da parte di Mondadori, gruppo editoriale che fa capo a Marina Berlusconi, attualmente sostenitrice e finanziatrice del terzo partito che con FdI e Lega compone la maggioranza di governo. Come nel famoso gioco della talpa, anche in questo caso rispunta il nome di Angelucci: la famiglia Berlusconi è in affari con lui e, dopo avergli ceduto il 70% delle azioni e il controllo de Il Giornale, è rimasta all’interno del quotidiano come socio di minoranza.
Fin qui si può comprendere il malumore di giornalisti e del centrosinistra per il pressing di Angelucci su AGI sul pluralismo, l’indipendenza editoriale e la libertà di espressione. È bene, però, evidenziare, che una situazione opaca esisteva già prima e stracciarsi le vesti ora appare quantomeno ipocrita. L’AGI è, infatti, di proprietà di ENI, la maggiore azienda dell’energia in Italia e una delle più grandi al mondo. È irreale pensare a ENI come a un editore senza interessi al di fuori dell’informazione. L’azionista di maggioranza di ENI è il Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ne ha il controllo in forza della partecipazione detenuta sia direttamente sia attraverso Cassa Depositi e Prestiti SpA (CDP SpA). Proprio il ministro delle Finanze Giorgetti al question time alla Camera sulle trattative in corso, ha ammesso che «L’ENI sta valutando la manifestazione di interesse», ma ha anche ricordato un’evidenza che sta sfuggendo alla maggioranza dei commentatori: «Che una società partecipata dello Stato possieda un’agenzia di stampa è questione delicata, perché questo potrebbe limitarne la libertà».
Risulta, pertanto, curiosa la reazione isterica di media e politica alle trattative in corso, dato che è difficile sostenere che l’ENI sia avulsa da interessi e condizionamenti politici, che possono riverberarsi nella linea editoriale dell’agenzia stessa, sebbene i giornalisti dell’AGI difendano ENI, sottolineando che «ha sempre garantito autonomia e indipendenza» all’agenzia. I fatti, però, non sembrano collimare con le buone intenzioni.
È bene ricordare, infatti, che ENI ha da sempre una forte presenza su quasi tutti i giornali e media nazionali perché compra moltissima pubblicità. Un caso su tutti, quello de La Verità che mostra come le multinazionali fossili sovvenzionino con importanti sponsorizzazioni anche la vulgata in apparenza indipendente che nega il cambiamento climatico. ENI sembra poi beneficiare di una certa “indulgenza” quando ci sono notizie e controversie che la riguardano, come il cosiddetto “Caso Congo” – il dossier in merito alle “relazioni pericolose” tra ENI e la Repubblica del Congo, finite sotto la lente di ingrandimento delle magistratura – di cui si fatica, però, a trovare traccia non solo su AGI ma sui quotidiani italiani. Vi sono anche noti conflitti di interessi, come quelli che riguardano il progetto del giacimento di gas Coral South Flng per lo sviluppo delle risorse scoperte al largo del Mozambico. Un investimento da 4,7 miliardi di dollari che beneficia del supporto finanziario della compagnia assicurativa controllata dal nostro ministero dell’Economia Sace Spa, il cui presidente del CdA è Filippo Giansante, che è anche membro del Consiglio di amministrazione di ENI. Anche in questo caso, i lanci di AGI riguardano i progetti, gli investimenti e l’esperienza positiva in Mozambico, ma non si sfiora la questione del conflitto di interessi. E che dire, infine, della licenza ottenuta da Israele per saccheggiare il petrolio nelle zone marittime della Striscia di Gaza, all’interno della zona G, al 62% palestinese? La notizia è stata semplicemente ignorata da AGI e “bucata” da molti quotidiani. Che AGI non fosse quel fortino di pluralismo e indipendenza dell’informazione e che, anzi, possa aver subito qualche pressione da parte della maggioranza lo dimostra anche la vicenda dell’ex direttore Mario Sechi: quando l’anno scorso passò a fare il capo ufficio stampa della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, mantenne secondo alcuni una certa influenza sulla produzione di notizie dell’agenzia e sul suo orientamento editoriale: secondo il FQ, « Il nuovo capo ufficio stampa di Meloni alza il telefono spesso per “consigliare” il lavoro dell’ex redazione». Era stato Sechi a spingere alla direzione dell’AGI Rita Lofano, che era sua vice e braccio destro a Palazzo Chigi. Nel frattempo, Sechi è passato a fare il direttore di Libero, sempre di Angelucci. E qua il cerchio si chiude, mostrando come la stampa nel Belpaese soffra di un (mal)celato assoggettamento alle pressioni politiche e del libero mercato. Citando il personaggio di Ed Hutcheson, interpretato da Humphrey Bogart in L’ultima minaccia, «È la stampa bellezza, la stampa, e tu non ci puoi far niente, niente!».
[di Enrica Perucchietti]
Avete concentrato bene nel titolo: La Barzelletta. Ormai mi rifiuto di dare credito a qualunque notizia se non ho fatto prima verifiche ed il più delle volte le trovo comunque distorte dal mainstream assoggettato . Per cui questa mi sembra l’ultima barzelletta cui attaccarsi per far finta di ripulirsi la faccia.