In un servizio andato in onda sabato 6 aprile, il Tg di La7 – diretto da Enrico Mentana, fondatore di Open, da 3 anni partner italiano di Facebook per la “lotta alla disinformazione” – ha in pochi secondi sciorinato una serie di fake news su uno degli episodi più oscuri della recente storia repubblicana: l’arresto del capo di Cosa Nostra Totò Riina. Nello specifico, il pezzo riguardava la candidatura nella lista di Cateno De Luca alle europee di Sergio De Caprio, alias “Capitano Ultimo”, l’uomo che 31 anni fa mise le manette al padrino di Corleone. Un arresto seguito dalla mancata perquisizione del covo di Riina e dalla pressoché immediata interruzione della sua sorveglianza, successivamente oggetto di un processo che, pur assolvendo gli imputati – tra cui proprio De Caprio – le ha pienamente confermate. Eppure, tali risultanze sono state completamente travisate dal servizio televisivo, in cui si è arrivati a dire che la “presunta” mancata perquisizione sarebbe stata “smentita” dai processi.
Il servizio, firmato dai giornalisti Simone Costa e Ros Guari, parte da un dato di cronaca, ovvero l’ufficialità della candidatura di De Caprio nella lista “Fronte della Libertà” di Cateno De Luca per le prossime elezioni europee al Teatro Esquilino di Roma, condita dallo scenografico gesto di Ultimo, il quale, dopo 31 anni di uscite pubbliche con il volto coperto dal passamontagna, ha deciso di abbassarlo e mostrare la sua faccia. Il servizio ha quindi ripercorso in maniera a dir poco oleografica la carriera di Ultimo, menzionando peraltro “film, libri e serie tv” che “ne hanno fatto un’icona della lotta alle mafie” e il suo impegno politico come assessore regionale alla tutela dell’Ambiente in Calabria tra il 2020 e il 2021 su nomina di Jole Santelli, allora governatrice di centro-destra. Il punto nodale della carriera di De Caprio è l’arresto del numero uno di Cosa Nostra Totò Riina, avvenuto il 15 gennaio del 1993, quando guidava la squadra CrimOr, avendo come diretto superiore il vicecomandante del ROS Mario Mori. E proprio su questo punto, nell’arco di pochi secondi, il Tg di La7 ha consegnato ai telespettatori una ricostruzione dei fatti che fa a botte con quanto è stato ormai ampiamente “storicizzato”. Il servizio dice infatti che Ultimo diventò una “figura divisiva” proprio “a seguito di quell’operazione, sulle modalità dell’arresto e sulla mancata perquisizione del covo, smentita poi dalle sentenze che lo hanno assolto”. Una frase che devia completamente dalla realtà dei fatti, sancita non soltanto da quanto attestato da una sentenza divenuta definitiva, ma anche da quanto raccontato dagli stessi personaggi finiti a processo per favoreggiamento alla mafia – appunto, De Caprio e Mori –, infine assolti per mancanza di dolo con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. Gli stessi giudici che assolsero Ultimo e il generale Mario Mori, in riferimento a quanto avvenne in quel gennaio 1993, parlarono infatti espressamente di una “erronea valutazione degli spazi di intervento” da parte degli imputati e di “responsabilità disciplinari”, sancendo che “l’omessa perquisizione della casa” (pienamente confermata, altro che “presunta” o “smentita”, come racconta La7) in cui Riina abitava e “l’abbandono del sito sino ad allora sorvegliato” hanno “comportato il rischio di devianza delle indagini”.
I due ufficiali del ROS erano infatti finiti alla sbarra non per la mancata perquisizione del covo di Riina – soluzione di cui proprio De Caprio si fece portatore davanti ai magistrati (riuscendo a convincerli), affermando che non perquisire subito il covo avrebbe potuto comportare vantaggi in vista di nuovi sviluppi investigativi su chi copriva la latitanza del padrino – bensì per aver deciso, all’insaputa totale della Procura di Palermo, di disattivare, verso le ore 16 dello stesso giorno in cui il “capo dei capi” venne arrestato, la sorveglianza dell’entrata del comprensorio in cui sorgeva la villa in cui quest’ultimo viveva con i suoi familiari. Rispetto a tale scelta, la sentenza assolutoria ha spiegato che “l’omissione della comunicazione all’Autorità Giudiziaria della decisione, adottata dal cap. De Caprio nel tardo pomeriggio del 15 gennaio stesso, di non riattivare il servizio il giorno seguente, e poi tutti i giorni che seguirono, è stata spiegata dal col. Mario Mori, nella nota del 18.2.93, con lo ‘spazio di autonomia decisionale consentito‘ nell’ambito del quale il De Caprio credeva di potersi muovere”, ma che ciò “non era e non poteva essere, alla luce della disciplina ex art. 55 e 348 c.p.p. delle attività di polizia giudiziaria”, poiché, “fino a quando il Pubblico Ministero non abbia assunto la direzione delle indagini, la polizia giudiziaria può compiere, in piena discrezionalità, tutte le attività investigative ritenute necessarie che non siano precluse dalla legge ai suoi poteri; dopo essa ha il dovere di compiere gli atti specificatamente designati e tutte le attività che, anche nell’ambito delle direttive impartite, sono necessarie per accertare i reati ovvero sono richieste dagli elementi successivamente emersi”. La Procura scoprì solo due settimane dopo la cattura di Riina che la sorveglianza era stata disattivata dal ROS, ordinando dunque la perquisizione del covo, che il 2 febbraio venne trovato completamente vuoto. Di tutto questo, però, il Tg di La7 non ha fatto alcuna menzione.
[di Stefano Baudino]
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