giovedì 21 Novembre 2024

La corsa degli USA per accaparrarsi le risorse africane e competere con la Cina

Un recente rapporto dell’Istituto per la Pace degli Stati Uniti (USIP) dal titolo “Perché i minerali critici dell’Africa sono fondamentali per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti” ha messo in luce che “La sicurezza economica e nazionale degli Stati Uniti dipende dalla garanzia di un approvvigionamento affidabile di minerali critici, anche dall’Africa” e per questo Washington deve rafforzare i legami commerciali e diplomatici con le nazioni africane soprattutto per ridurre la dipendenza dalla Cina per il rifornimento di questi materiali, essenziali per la transizione energetica, la produzione di veicoli elettrici e l’industria della difesa. Gli USA dipendono quasi interamente da nazioni straniere, principalmente da Pechino, per i minerali chiave come cobalto, litio, nichel, grafite e manganese: da qui la volontà di smarcarsi dal loro rivale geopolitico per l’approvvigionamento strategico di risorse fondamentali per l’economia statunitense. Tuttavia, il rapporto rileva che le compagnie occidentali sono in ritardo rispetto a quelle cinesi nello sfruttamento di queste risorse: così, mentre Washington dà il via alla corsa per ridurre il divario con il gigante asiatico, l’Africa continua ad essere al centro di una lotta e di una strategia d’influenza e di sfruttamento da parte delle grandi super potenze straniere.

Considerati i ritardi rispetto a Cina e altre nazioni come quelle del Medio Oriente, il piano del gruppo di studio statunitense è quello di rafforzare la diplomazia commerciale con le nazioni del Continente nero, tra cui la Repubblica Democratica del Congo, primo fornitore di cobalto al mondo, e lo Zambia, secondo produttore di rame dell’Africa. Secondo il rapporto, infatti, per contrastare il vantaggio di Pechino nel continente, sarebbe necessario mettere in atto “una diplomazia commerciale più vigorosa con un occhio attento alla costruzione di partenariati critici per i minerali in Africa”. L’International Development Finance Corporation a febbraio ha fatto sapere che vorrebbe aumentare il finanziamento di progetti nella regione per contribuire a ridurre il rischio d’investimento in determinati Paesi come il Congo, che alcuni investitori percepiscono ancora come ad alto rischio. Mentre una parte dei finanziamenti è destinata a progetti minerari, un’altra parte andrà a finanziare progetti infrastrutturali, come strade e impianti energetici, così da ridurre gli ostacoli agli investimenti che frenano il settore privato.  Al contrario delle compagnie occidentali, i minatori cinesi hanno rafforzato la loro presenza in Congo e stanno ampliando gli investimenti in tutta l’Africa. Secondo l’USIP, gli Stati Uniti “semplicemente non sono alla pari, o addirittura vicini, nella competizione con la Cina” rispetto agli investimenti critici nei minerali e alla diplomazia in Africa e devono quindi cambiare la loro strategia.

Oltre a investire in questi Paesi, mobilitando il settore privato per rafforzare le infrastrutture locali, il rapporto dell’istituto americano suggerisce 13 raccomandazioni per promuovere i partenariati USA-Africa, tra cui sviluppare rapidamente e interamente il Memorandum d’Intesa (MOU) tra gli Stati Uniti, la Repubblica Democratica del Congo (RDC) e lo Zambia, che potrebbe aiutare a guidare gli investitori privati ​​statunitensi lungo la catena di approvvigionamento dei metalli per batterie, e investire nella diplomazia commerciale, riaprendo ad esempio il consolato a Lubumbashi, chiuso negli anni Novanta dopo la fine della Guerra Fredda, e aumentando “la presenza fisica di funzionari diplomatici e commerciali nei centri minerari”. Per quanto riguarda le infrastrutture, la relazione mette in evidenza la necessità di strade, ferrovie e ponti e sottolinea che gli Stati Uniti sono intervenuti per sostenere il Corridoio di Lobito, un collegamento ferroviario dalla cintura di rame dell’Africa centrale che è fondamentale per l’esportazione di metalli attraverso il porto di Lobito in Angola.

Il gruppo di studio prescrive di “diversificare la propria catena di approvvigionamento di minerali critici, soprattutto lontano dalla Cina” per una questione di sicurezza nazionale e afferma che “occorrerà un grande impegno affinché gli Stati Uniti diventino un attore serio nel settore minerario”. Secondo gli autori del rapporto la Cina avrebbe una posizione dominante come fornitore di molti materiali critici e questa posizione “non sarà ribaltata dall’oggi al domani”. Gli Stati Uniti si dovrebbero quindi concentrare maggiormente sui minerali essenziali per l’Africa, “ma i progressi volti a stabilire una significativa presenza mineraria statunitense richiederanno tempo. E la Cina rimarrà comunque un attore importante in Africa”.

È in corso quindi una competizione tra potenze per spartirsi e sfruttare le risorse africane che vede in vantaggio Cina e Russia: il rapporto, infatti, si scaglia anche contro il Gruppo Wagner, accusato di operare esclusivamente per arricchirsi “sostenendo governi autoritari e sfruttatori con servizi di sicurezza, senza alcun beneficio per il popolo di una nazione”. In questa competizione, Washington ha ancora molta strada da fare, in quanto negli ultimi anni ha perso progressivamente la sua presa sul Continente e sebbene la Cina resterà predominante, gli Stati Uniti dovrebbero riuscire a creare relazioni reciprocamente vantaggiose con i partner africani, in quanto “gli interessi economici e di difesa nazionale degli Stati Uniti lo giustificano”, conclude il rapporto. La lotta per il primato globale si gioca, dunque, anche in Africa e passa dal controllo e dalla disponibilità di risorse chiave, la cui estrazione implica spesso anche lo sfruttamento della popolazione locale.

[di Giorgia Audiello]

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2 Commenti

  1. Questi la parola etica e libertà dei popoli non la conoscono proprio , per loro il mondo è un limone da spremere per la loro supremazia che ha reso questo mondo invivibile in modo umano. Come si sterminano gli Indiani l’hanno imparato dagli albori e così continuano. Esistono loro ed il resto del mondo fuck it, come è già stato detto per l’Europa.

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