Le Università devono sottrarsi al rating. Da quando si sono messe a seguire l’idea della competizione come se fossero dominate dal marketing è cominciato il delirio ossessivo della sfida, della classifica, dei piani alti.
Le Università hanno smesso di essere centri di elaborazione, di discussione, di avanguardia, di riflessione, di lotta ideale, e si sono trasformate in pseudo aziende non all’altezza dei compiti, ovviamente producendo di conseguenza pletore di disoccupati.
Universitas studiorum. Che senso ha avuto battersi perché le Università non fossero centri di preparazione di pochi per il potere di élites, che senso ha avuto aprire le porte a tutti e nello stesso tempo riconoscere i veri meriti cercando di rendere questi due principi non sempre contraddittori. Che senso ha avuto fare sì che ciascun centro di studi si caratterizzasse con una precisa identità, che rispondesse alle domande di sapere e di svelamento di verità che tutti i giovani provano come essenziali.
Che senso ha avuto spiegare e capire insieme che determinate scelte politiche ed economiche, certi orizzonti di ricerca ecc. sono sbagliati o pericolosi. E che altri invece meritano di essere messi alla prova. Che magari alcune decisioni sono produttive oggi ma finiscono col danneggiare chi verrà dopo di noi. E insegnare, provare a tracciare percorsi, fissando e riconoscendo ostacoli, ipotizzando soluzioni, calcoli, proiezioni, leggi ecc. Che senso hanno avuto il metodo sperimentale, il contraddittorio dei metodi, l’esercizio della critica.
Tutti punti di domanda annullati dall’immagine di una Università pubblica che non vuole più essere un baluardo ma che è stata messa a caccia di finanziatori, prigioniera di statistiche e proiezioni. L’ Università ridotta a generatrice di start up come se ogni volta bisognasse ricominciare da capo, farsi ascoltare ed essere convincenti nel chiedere un mutuo per scelte ritenute rischiose. Mettendo in gioco garanti e garanzie delle più varie provenienze.
E l’eccellenza? Questa parola traditrice che impone misure , che non ammette sconfitte, che vede rivali dappertutto. Io ho in mente i miei Maestri, dentro e fuori l’Università. A pensarli tutti insieme, avrebbero litigato in continuazione, ma distribuiti lungo la mia formazione hanno prodotto un continuum di suggestioni, prove, esami e dialoghi, scoperte, suggestioni, attrazioni e simpatie ma anche avversioni, necessarie per poter decidere in un modo o nell’altro.
E il ruolo degli studenti che non è mai stato davvero partecipe delle scelte ma suggestionato da una democrazia debole, da una compartecipazione troppo formale, e anche artificiosa. Facendo l’errore di pensare che gli studenti si battano sempre per problemi che risultano non all’ordine del giorno fissato dagli Atenei.
Tutto questo ce lo chiediamo oggi quando una illustre famiglia, credendo che le Università siano a sua disposizione come dei bravi obbedienti operai, come delle domestiche pazienti, facciano esattamente quanto si aspettano i padroni di casa, cioè, pardon, del mondo. Forse ‘poveri ma liberi’ o ‘liberi ma poveri’, a seconda dell’umore prevalente, potrebbe essere la risposta giusta. A patto ovviamente che chi governa sappia rischiare e meritarsi consenso nei momenti duri del poco e del no.
[di Gian Paolo Caprettini]
Infatti le migliori università si trovano in Russia e in Cina, altro che Europa…
Le Università devono inseguire i Rating e assumere in tutto il Mondo come le squadre di Calcio avendo dei Mecenati che le sostengono oltre allo Stato.