giovedì 12 Dicembre 2024

Laboratorio Palestina: come Israele esporta la tecnologia dell’occupazione [libro]

I Territori Occupati palestinesi sono da sempre il laboratorio di prova preferito da Israele per testare armi e strumenti di controllo, che vengono poi rivenduti al resto del mondo. Attraverso la pubblicazione di un’ampia documentazione, in parte inedita, il giornalista d’inchiesta Antony Loewenstein indaga in questo libro proprio su questa realtà, denunciando anche l’appoggio di Israele ad alcuni dei regimi più feroci dell’ultimo secolo, dal Cile di Pinochet alla Romania di Ceaușescu. Insignito nel 2023 del Walkley Book Award, il più prestigioso premio giornalistico australiano, Laboratorio Palestina (Fazi Editore, 336 pagine) è ora finalmente disponibile anche in Italia.

Prefazione (di Moni Ovadia)

Negli ultimi venticinque anni della mia vita ho ricevuto molte richieste perché scrivessi prefazioni a svariati libri. Ho quasi sempre accettato di farlo nella convinzione di poter dare un piccolo contributo alla circolazione di opere che ritenevo lo meritassero. Ma poche volte l’ho fatto con totale adesione al valore dei saggi che introducevo con le mie riflessioni come faccio per Laboratorio Palestina di Antony Loewenstein. E la prima ragione me la dà l’autore stesso con l’epigrafe che ha apposto sotto il titolo: «In solidarietà con i palestinesi e gli israeliani che combattono per un futuro giusto». 

La mia formazione ebraica e marxista mi ha sempre portato a scegliere come mia gente gli oppressi, gli sfruttati, i diseredati. Ho sempre sentito una naturale solidarietà per il popolo palestinese, ma solo negli ultimi quattro decenni ho preso coscienza di ciò che è ed è sempre stato il sionismo: un progetto colonialista di impianto etnonazionalista che ha sempre mirato a cancellare l’identità palestinese. Lo slogan con cui il sionismo si presentò al mondo fu programmatico: «Una terra senza popolo per un popolo senza terra». Ma in quella terra, la Palestina mandataria, un popolo c’era. Coerentemente, il primo atto dell’appena costituito “Stato degli ebrei” (definizione di Theodor Herzl) fu la “Nakba”, l’espulsione violenta di 750.000 palestinesi dalle loro case, dalle loro terre, dai loro ulivi, dalle loro topografie esistenziali fisiche ed emotive con la distruzione di quasi 500 villaggi. Quei palestinesi finirono nei campi profughi della Striscia di Gaza e quella fu una pulizia etnica compiuta dal governo laburista con a capo David Ben-Gurion, padre della patria israeliana.

Nel mondo quell’esordio fu ammantato dalla hasbarah, la micidiale propaganda israeliana, e dalla rete delle menzogne vittimistiche e intimidatorie che quasi nessuno osava penetrare, perché quegli ebrei venivano dall’immane catastrofe della Shoah, di cui però i palestinesi non avevano la benché minima responsabilità. I governi laburisti portarono avanti il progetto sionista con una certa classe “socialista”, ma dopo la guerra dei sei giorni, e soprattutto dopo la guerra del Kippur, la destra della grande Israele prese il potere rendendo evidente quello che sarebbe accaduto e che accadde dopo le parentesi di Rabin e di Barak: il sionismo revisionista della destra ultrareazionaria prese il potere fino alle sue estreme conseguenze, fino a Netanyahu, che a mio parere incarna l’anima profonda del sionismo, con tutta la sua luttuosa messe di occupazioni, colonizzazioni, brutalità sistematiche, arresti arbitrari, bombardamenti contro i civili più inermi, espropriazioni, apartheid, leggi razziste.

Oggi l’opera di Antony Loewenstein, ebreo australiano nipote di profughi ebrei che lasciarono la Germania per sfuggire alle persecuzioni naziste, illumina un aspetto parallelo consustanziale della pratica sionista: la ripulsa dei grandi valori etici, spirituali e universalisti dell’ebraismo per imboccare il cammino idolatrico della forza, della prepotenza, di un nazionalismo fanatico, dell’idolatria della terra.
I governi sionisti scelgono la cultura delle armi più distruttive, delle più sofisticate tecnologie militari e di spionaggio sperimentate nel laboratorio Palestina per dominare, opprimere e terrorizzare il popolo più solo del mondo e sterminare migliaia di donne e bambini, i più fragili, quell’umanità indifesa che i profeti di Israele incitano a proteggere combattendo al loro fianco.

I governi israeliani del laboratorio Palestina hanno messo in piedi un’industria, un colossale business, vendendo le tecnologie del dominio, dell’oppressione e del controllo ai peggiori tagliagole, Stati canaglia, democrature e sedicenti democrazie. In questi termini i governi israeliani hanno foraggiato i peggiori regimi dell’ultimo cinquantennio, dal regime dell’apartheid sudafricano, alle dittature sudamericane come in Cile, alle forze genocidarie degli hutu contro i tutsi in Ruanda.

Questo ci racconta Loewenstein con il suo saggio che vede la luce nel momento più opportuno come monito agli israeliani a liberarsi del loro fascismo per evitare di macchiarsi del crimine di indifferenza verso quello che si rifiutano di sentire chiamare genocidio ma che è oltre ogni dubbio un etnocidio. Il monito è anche rivolto agli ebrei della diaspora perché ritrovino la loro indipendenza e la loro onestà intellettuale. L’esilio è la dimensione principe dell’ebraismo, perché esso è germinato nella libertà dell’esilio e ha dato il meglio di sé nella libertà dai confini. Anche la Terra Promessa dovrebbe essere terra dell’esilio dove imparare a vivere da straniero tra gli stranieri.

[Prefazione di Moni Ovadia al libro Laboratorio Palestina. Come Israele esporta la tecnologia dell’occupazione in tutto il mondo di Antony Loewenstein, Fazi Editore]

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