Si è ufficialmente concluso il G7 Ambiente, Energia e Clima di Venaria Reale, alle porte di Torino, con la firma dei Paesi più industrializzati del mondo – e dunque più lontani dal raggiungimento di obiettivi di natura ambientale – di un documento finale in cui, tra le altre cose, si manifesta addirittura l’impegno di “eliminare progressivamente la generazione di energia a carbone” entro il 2035. Un’intenzione che, specie alla luce delle performance tutt’altro che encomiabili degli ultimi anni da parte degli attori in gioco sulla questione ambientale, profuma di farsa, e che viene formalizzata nel contesto di un evento andato in scena in un clima di forte repressione, come abitualmente avviene quando vanno in scena proteste e contestazioni. Durante le mobilitazioni, infatti, hanno avuto luogo a più riprese scontri tra la polizia e i manifestanti – respinti con idranti, lacrimogeni e manganelli –, che hanno provocato diversi feriti.
Approfondendo le risultanze del G7 alla luce dell’attuale stato delle cose, si possono ben discernere gli slogan politico-mediatici che hanno accompagnato il summit e gli impegni concretamente assunti dai rappresentanti dei Paesi coinvolti. Nel documento firmato dai ministri riunitisi al G7, ribattezzato “Carta di Venaria”, si legge infatti testualmente: “Ci impegniamo […] a eliminare gradualmente l’attuale produzione di energia da carbone nei nostri sistemi energetici durante la prima metà del 2030 o in una tempistica coerente con il mantenimento di un limite di aumento della temperatura di 1,5°C a portata di mano, in linea con i percorsi net-zero dei paesi”. Una clausola, quest’ultima, passata in sordina, ma tutt’altro che secondaria, che spianerà la strada a Giappone e Germania – i Paesi più restii a intraprendere azioni concrete su questo versante, come dimostra il fatto che nel 2023 hanno ricavato rispettivamente il 30% e il 26% dell’energia elettrica proprio dal carbone – per l’allungamenti dei tempi. A questo proposito, giova ricordare quanto appena attestato dall’istituto di scienza e politica climatica Climate Analytics, che ha evidenziato come “nessuno dei membri del G7” sia “sulla buona strada per raggiungere i propri obiettivi di riduzione delle emissioni” – riduzione fissata a un valore compreso tra il 19 e il 33% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019 -, che “non sono ancora collettivamente allineati a 1,5°C”. Tra gli altri obiettivi, la Carta menziona anche l’accelerazione dell’attuazione del “Piano in cinque punti per la sicurezza dei minerali critici”, l’istituzione di una Coalizione del G7 per l’acqua finalizzata ad affrontare la crisi idrica globale, una transizione giusta verso l’energia pulita nei paesi in via di sviluppo e l’avvio del nucleare di nuova generazione.
È però impossibile parlare del G7 di Venaria senza soffermarsi sulle grandi proteste dei gruppi ambientalisti che l’hanno segnato, che – per l’ennesima volta – sono state soffocate da una vigorosa azione repressiva da parte delle forze dell’ordine. Le mobilitazioni avevano avuto inizio nei giorni precedenti all’inizio del meeting. Tutto è partito sabato 27 aprile con le tensioni nei pressi del cantiere di San Didero, in Val di Susa, tra il Movimento No TAV e le forze dell’ordine, che hanno bloccato l’autostrada e fatto ingente uso di lacrimogeni e idranti. Il giorno dopo, un migliaio di persone hanno rimpinguato un corteo che ha marciato per le strade di Venaria, occupando anche la tangenziale, bloccando per breve tempo il traffico e fermandosi poi in piazza Vittorio Veneto, dove è stato realizzato un falò con la bandiera americana e le gigantografie dei leader del G7. Alcuni membri di uno dei gruppi in prima linea nelle proteste, Extinction Rebellion, lunedì hanno messo in atto un’azione dimostrativa, salendo sul tetto del dipartimento universitario di Biologia che si affaccia su piazza Carlo Emanuele II (meglio nota come Piazza Carlina), dove sorge uno degli hotel che ospitava le delegazioni che hanno partecipato al G7. Prima di essere portati via di peso dalla polizia, gli attivisti hanno esposto uno striscione con la scritta “The king is nake, G7 is a scam” (“Il re è nudo, il G7 è una presa in giro”). In serata, a Torino si sono verificati forti disordini tra i collettivi studenteschi in protesta e le forze dell’ordine, che per non fare procedere i manifestanti piazza Carlina ha utilizzato idranti, manganelli e lacrimogeni. Mentre si contano alcuni agenti contusi, il bilancio dei collettivi parla di una decina di feriti, tra cui alcuni minorenni, e uno di loro ricoverato per una frattura al naso dopo essere stato colpito da un lacrimogeno. Dovrà essere operato.
Per quanto attiene alle politiche del nostro Paese, il tradimento degli impegni ambientali è già un dato di fatto. In barba a quanto promesso nel 2021 in occasione della 26esima Conferenza delle parti sul clima (Cop26) di Glasgow, nel gennaio 2023 l’Italia ha infatti messo nero su bianco l’impegno che la vedrà continuare a erogare sussidi pubblici al comparto dei combustibili fossili. Il documento, reso pubblico il 20 marzo dello scorso anno sui portali online della coalizione internazionale Export finance for future (E3F), di cui fa parte anche l’Italia, sancisce infatti che il governo guidato da Giorgia Meloni proseguirà almeno fino al 2028 a finanziare progetti concernenti estrazione e trasporto di carbone, petrolio e gas all’estero. Il ruolo cardine è del SACE, ente assicuratore controllato dal ministero dell’Economia e primo finanziatore a livello europeo (sesto a livello globale) per il sostegno pubblico alle fonti fossili, che tra il 2016 e il 2021 ha emesso garanzie per più di 13,7 miliardi di euro verso tali settori. Nei primi sei mesi del 2023, l’Italia ha investito 1,2 miliardi di dollari di sussidi pubblici per i combustibili fossili, una somma così cospicua da collocarla seconda al mondo, dietro soltanto dall’investimento da 1,5 miliardi di dollari degli Stati Uniti.
[di Stefano Baudino]