Un’imponente esercitazione navale è appena iniziata nel Mar Mediterraneo: Mare Aperto 2024 è il nome della manovra militare che coinvolge 9.500 soldati da 22 nazioni, 11 delle quali fanno parte della NATO, e che si concluderà il 27 maggio. Quattro settimane di addestramento in un vasto specchio d’acqua, dal Mar Ionio alle coste della Provenza, inglobando Sicilia e Corsica, ma il cui epicentro è la Sardegna, terra ormai da tempo militarizzata e al centro delle esercitazioni atlantiche. La particolarità di tale esercitazione, che si svolge mentre in tutta Europa sono in corso vaste manovre ed esercizi militari, le quali coinvolgono la popolazione civile, è la partecipazione di diverse Università italiane, confermando quanto le istituzioni scolastiche si stiano sempre di più militarizzando, come denunciato dai movimenti studenteschi.
Come spiegato dal ministero della Difesa, Mare Aperto 2024 è una vasta esercitazione navale che coinvolge 9.500 soldati di 22 diverse nazioni, 11 delle quali appartenenti alla NATO, la cui pianificazione e conduzione è stata affidata al Comando in Capo della Squadra Navale della Marina Militare italiana, capitanata dall’Ammiraglio di squadra Aurelio De Carolis. In Italia, sono ben 53 i quadranti di mare, terra e aria interdetti per tutto il tempo dell’esercitazione, tra Puglia, Calabria, Sicilia e, soprattutto, Sardegna. In una conferenza stampa, l’Ammiraglio ha spiegato le finalità dell’esercitazione: «Potremo mettere alla prova capacità operative integrate restando interconnessi attraverso le infrastrutture degli innovativi domini cyber e spazio». Durante l’esercitazione saranno schierati navi, aeromobili, sommergibili e droni marini, oltre ad una consistente presenza di reparti anfibi, sia della Brigata Marina San Marco sia delle marine di Spagna e Francia nonché del corpo dei Marines statunitensi, così come anche gli incursori e i subacquei del COMSUBIN. In ambito interforze e interagenzia, la Mare Aperto 2024 vedrà la presenza di unità di Esercito, Aeronautica, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza, oltre a mezzi aeronavali della Guardia Costiera. Ma la vera particolarità di questo esercizio militare è la presenza del personale civile proveniente da diversi istituti universitari, centri di ricerca e organizzazioni del comparto marittimo, della Difesa e di altri dicasteri.
Nel corso dell’esercitazione saranno curati anche gli aspetti di supporto alla popolazione civile in caso di calamità naturali e, in tale ambito, verranno condotte alcune attività addestrative nel porto di Cagliari con il coinvolgimento delle autorità e delle organizzazioni locali, della Protezione Civile Italiana, dell’Ispettorato Nazionale del Corpo Militare Volontario della Croce Rossa Italiana, delle Infermiere Volontarie della Croce Rossa Italiana e del Corpo Italiano di soccorso Ordine di Malta. A bordo di nave Cavour ci saranno anche rappresentanti del Centro Alti Studi per la Difesa, il massimo organo di formazione degli ufficiali delle Forze Armate italiane, del Ce.S.I. (Centro Studi Internazionali), del Centro di Geopolitica e Strategia Marittima (CESMAR). Nell’esercitazione sono inoltre coinvolti anche 65 universitari, tra studenti e docenti accompagnatori, rappresentanti di 13 università italiane che si integreranno all’interno degli staff imbarcati, in funzione del loro percorso di studi. «Il coinvolgimento degli studenti, in un rinsaldato rapporto ormai pluriennale, evidenzia il costante impegno della Marina Militare nel promuovere la cultura del mare quale elemento principale per la crescita e la prosperità dell’Italia», si legge sul sito della Marina militare. Le istituzioni universitarie coinvolte risultano essere: Università di Bari, Alma Mater Studiorum Bologna, Università di Genova, Università di Trieste, Università Statale Milano, Università Cattolica Milano, Politecnico di Milano, Iulm di Milano, Università Federico II Napoli, Sant’Anna di Pisa, Università La Sapienza di Roma, Luiss di Roma, Università della Tuscia.
Sul sito di quest’ultima, nella sezione dedicata alla richiesta di partecipazione inviata agli studenti, nella sezione “obiettivi”, possiamo leggere: «Queste esercitazioni avranno come teatro il Mediterraneo centrale e vedranno la partecipazione di unità navali della marina Militare italiana e francese e forze di alcuni Paesi della NATO, che si cimenteranno in scenari realistici su diversi temi afferenti alle seguenti aree: Tutela dell’ambiente e del patrimonio, Protezione civile, Mediazione culturale e politica, Difesa cyber, Pubblica informazione ed a operare in ambienti sottoposti a contaminazione di agenti chimici, biologici, radiologici e nucleari. Gli studenti dei suddetti corsi di laurea dovranno svolgere attività nell’ambito della Pubblica informazione, a supporto dei Comandanti dei Gruppi navali che si fronteggeranno nello scenario delineato».
Risulta difficile capire come un imponente esercitazione militare, con lo schieramento di centinaia di mezzi, possa essere inquadrata nell’ambito della “Tutela dell’ambiente e del patrimonio, Protezione civile, Mediazione culturale e politica”. È inverosimile che esercizi di guerra possano avere a che fare con tali settori dell’educazione e dell’istruzione, anzi. Proprio le attività militari comportano un notevole impatto ambientale, come sanno bene proprio i cittadini della Sardegna, poligono a cielo aperto, isola martoriata dalle attività militari e dalla militarizzazione. Cervellotico anche interpretare come un’esercitazione militare – prevalente marina – possa avere a che fare con ciò che svolge la protezione civile oltre che con la mediazione culturale e politica. Questo è però totalmente in linea con quanto sta avvenendo in tutta Europa, dove vaste esercitazioni NATO si stanno svolgendo con il coinvolgimento della popolazione civile.
Ma questo non sorprende, visto che ormai da anni procede in maniera spedita la militarizzazione della società civile, istituzioni scolastiche comprese. Allo stesso tempo, collettivi e professori hanno protestato contro l’avanzamento degli accordi di cooperazione e ricerca industriale, scientifica e tecnologica tra le proprie facoltà e i vari ministeri e industrie del settore bellico, in disaccordo con la cultura della guerra all’interno del sistema educativo e formativo.
[di Michele Manfrin]
Io mi chiedo, perché nessuno parla mai anche delle “banche armate”: se tutti quelli che hanno a cuore la pace e contro le armi non mettessero i propri soldi in tali istituti forse si toglierebbe forza e linfa vitale a questo mercato delle armi e della morte e sarebbe un deterrente a che sempre meno banche fossero invogliate a queste attività (transazioni bancarie legate al commercio delle armi).
Io continuo a chiedermi senza aver mai avuto risposta plausbile, come stati siddetti sovrani , possano accettare senza fiatare, anzi nascondendo, lo scempio che viene fatto delle proprie acque territoriali, di una terra preziosa come la Sardegna , da parte della Nato. Ricordo che anche lo scorso anno ci fu lo stesso problema passato quasi sotto solenzio. Dunque il risparmio energetico va bene solo quando si tratta di deprezzare le proprietà immobiliari degli italiani con l’agenda 2030 . Per non parlare dell’inquinamento attribuito ai mezzi di trasporto a benzina o deasel. Va bene la decarbonizzazione per le aziende europee per risparmio della CO2 . Ma l’inquinamento di questi dementi patentati , quello non crea nessun problema all’ambiente? Adesso evidentemente non basta più l’inquinamento ambientale che producono serve anche l’inquinamento mentale rivolto alla industria bellica. Ma quali sono queste università che si piegano a tale spreco , e cosa fa il ministero competente? Una cosa è chiara smettiamo di parlare di stato sovrano e parliamo di stato militarmente epoliticamente occupato.
Guerrafondai di merda…
Almeno un giornale in Italia che non scrive sotto dettatura, bravi.