sabato 21 Dicembre 2024

Israele chiude Al Jazeera, l’unico media che raccontava la guerra a Gaza

Il governo israeliano ha approvato all’unanimità la chiusura di Al Jazeera, l’emittente “colpevole” di aver continuato a raccontare la guerra in corso a Gaza con propri corrispondenti sul campo. L’ordine del governo di Tel Aviv, firmato dal Ministro delle Comunicazioni, prevede la chiusura delle trasmissioni dell’emittente in territorio israeliano per 45 giorni, prorogabili al termine della scadenza. Secondo quanto riportato da Al Jazeera stessa i soldati israeliani avrebbero inoltre fatto irruzione nella sede israeliana dell’emittente, sequestrando computer e apparecchiature. L’attività del canale qatariota cesserà la sua attività in Israele 28 anni dopo la sua fondazione. Si attende ora la possibile reazione del Qatar, Paese attivo nei tentativi di mediazione tra Israele ed Hamas. Dal 7 ottobre sono circa 140 i giornalisti uccisi dai bombardamenti israeliani, e la gran parte di essi erano reporter di Al Jazeera.

La decisione di chiudere definitivamente Al Jazeera è stata annunciata ieri da un trionfale Benjamin Netanyahu, che ha definito la messa al bando del giornale come una mossa per «espellere il portavoce di Hamas dal nostro Paese». Stando a quanto comunica la stessa emittente, l’operazione sarebbe stata lanciata domenica 5 maggio e avrebbe visto la polizia fare «irruzione nei locali di Al Jazeera nella Gerusalemme Est occupata» mentre intanto «i fornitori di servizi satellitari e via cavo hanno messo fuori onda» i suoi canali di trasmissione. Come descritto dallo stesso Ministro delle Comunicazioni israeliano Shlomo Karhi, l’irruzione farebbe parte di una più ampia cornice operativa, in cui le forze dell’ordine hanno sequestrato l’intera apparecchiatura dell’emittente qatariota. Nello specifico Al Jazeera parla di «apparecchiature per l’editing e il routing, telecamere, microfoni, server e laptop, nonché apparecchiature di trasmissione wireless e alcuni telefoni cellulari».

La chiusura di Al Jazeera era in cantiere da tempo, e rientra all’interno della campagna di guerra ai giornalisti che Israele porta avanti su più fronti sin dall’inizio dell’escalation del 7 ottobre. Uno dei terreni su cui Tel Aviv sta conducendo la propria personale battaglia ai servizi di informazione si sta giocando proprio sul terreno giuridico e della legalità, e trova la sua esemplare manifestazione nella legge redatta e passata in Parlamento il passato lunedì 1 aprile, sulla base della quale è stata chiusa la stessa Al Jazeera. Nello specifico, secondo la nuova “legge bavaglio“, se il Primo Ministro ritiene che un servizio di comunicazione straniero possa causare danni alla sicurezza dello Stato, egli, in coordinazione con il Governo o con il Gabinetto di Sicurezza Politica, può dare il consenso al Ministro delle Comunicazioni per bloccare le sue attività all’interno del Paese. Superato un breve iter burocratico, il medesimo Ministro può rilasciare una istruttoria per la chiusura del canale di informazione interessato, che rimarrà in vigore fino a 45 giorni, con l’opzione di venire estesa.

Altro fronte su cui Israele sta portando avanti la guerra ai giornalisti è proprio quello strettamente bellico. Come riporta la stessa Al Jazeera, dall’inizio dell’operazione Spade di Ferro (l’attuale operazione militare a Gaza), in territorio palestinese sono stati uccisi più di 140 giornalisti arabi. La portata di questi numeri risulta quasi senza precedenti, visto che solo a inizio anno erano già morti 109 giornalisti sul suolo di Gaza, dato che, dopo la guerra in Iraq, costituisce il secondo numero più alto di vittime dei media in un conflitto in termini assoluti, e il maggiore in un periodo di tempo così breve: né la guerra in Vietnam coi suoi 63 morti, né la Seconda Guerra Mondiale con le sue 69 vittime sono infatti riuscite a raggiungere numeri di tale grandezza.

Come sottolinea il comunicato di denuncia di Al Jazeera, la chiusura dell’emittente potrebbe incrinare i rapporti con il Qatar, Paese d’origine del canale panarabico che sta giocando un ruolo importante nei negoziati di pace con Hamas, e ora si deve attendere la sua reazione. Questa “reazione”, però, dovrebbe arrivare anche dai tanti sedicenti paladini della libertà di stampa, che a ora non hanno ancora detto una parola sull’operazione di censura che ha avuto luogo in Israele. Questa presa di tempo nell’esprimere anche solo solidarietà nei confronti di Al Jazeera, accompagnata dalla timidezza più volte mostrata dalle dichiarazioni di condanna alla guerra ai giornalisti che Tel Aviv perpetra da mesi, non fanno che sottolineare il generale atteggiamento di “doppiopesismo” del blocco Occidentale quando si tratta di Paesi “amici” come Israele. Basterebbe a tal proposito pensare alla rapidità e alla forza con la quale arrivano le risposte alle azioni russe, o ancora, se si vuole allargare il campo, al generale silenzio che cala sul mondo quando si tratta di fare partecipare rappresentanti israeliani a manifestazioni globali come le Olimpiadi, che si sviluppa in parallelo proprio a una ferma condanna ed esclusione degli omologhi russi e bielorussi. Al di là delle particolari considerazioni di sostanza, vi è qui quella che pare una autentica contraddizione di forma: la libertà di stampa, il rispetto dei diritti umani, e la conformità delle proprie azioni con il diritto internazionale sono punti cardine della società contemporanea, ma paiono spesso essere minati da non troppo velati conflitti di interessi.

[di Dario Lucisano]

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