mercoledì 25 Dicembre 2024

Gaza: contro le proteste il Viminale non sa cosa fare, quindi agita il solito “allarme infiltrati”

La cosiddetta “intifada studentesca” procede senza sosta, moltiplicando in tutti gli atenei i campeggi e le manifestazioni di protesta in solidarietà del popolo palestinese. Una situazione di fronte alla quale – ben lungi dall’accettare anche solo l’ipotesi di valutare le richieste degli studenti, che chiedono innanzitutto la fine dei progetti di ricerca in collaborazione con le università israeliane – il governo non sa cosa fare. La strategia fino ad oggi era parsa quella di attendere che le proteste si esaurissero da sole, ma questo non sta avvenendo, con le “acampade” di protesta che anzi si stanno moltiplicando. Quindi ieri il ministero dell’Interno ha tenuto un incontro tra il Comitato Nazionale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica e il vicepresidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI), con lo scopo di decidere come risolvere la questione. Dalla nota pubblicata dallo stesso ministero guidato da Matteo Piantedosi non emerge nessuna decisione, se non il consueto allarme che ammonisce sul rischio di «possibili infiltrazioni di dissidenti violenti». Eventualità che non si è verificata in nessuna protesta fino ad oggi e che, presentata in assenza di qualsiasi indizio a supporto, sembra al solito essere messa sul tavolo come “jolly” per giustificare ogni possibile azione repressiva del prossimo futuro.

L’incontro del Comitato con il vertice del CRUI, lanciato qualche giorno fa, era rivolto a delineare una condotta generale di gestione delle sempre più diffuse iniziative a sostegno della popolazione di Gaza e a denuncia del coinvolgimento del nostro Paese nel genocidio dei palestinesi. Da quanto emerge nei tanti giri di parole della nota, il vertice sembra essersi risolto in un nulla di fatto, e parrebbe che Ministero dell’Interno e università vogliano portare avanti la linea semi-garantista avuta finora nei confronti delle occupazioni, senza dunque optare direttamente per lo sgombero. Sembrerebbe tuttavia restare aperta la possibilità di interventi, che emergerebbe in primo luogo dalla eccessiva vaghezza dei contenuti della nota, e, successivamente, dal classico riferimento al pericolo di infiltrazioni di soggetti estranei nelle manifestazioni «al solo scopo di strumentalizzare il dissenso». Se dovesse succedere qualcosa, insomma, ci sarebbe qualcuno a cui dare la colpa.

La ribattezzata “intifada studentesca” va avanti da settimane, e ha ormai assunto i connotati di un movimento globale. In Italia il primo “campo di solidarietà” è spuntato a Bologna, in data 5 maggio, e successivamente ne sono arrivati altri due anche a Roma e a Napoli. A queste università si sono aggiunte rapidamente quelle di Palermo, Cosenza, Padova, Torino, Milano, e Venezia, e molte altre starebbero programmando di unirsi. Nella maggior parte dei casi, gli studenti di tali atenei portano avanti le rivendicazioni dei Giovani Palestinesi, e chiedono che le università e il governo italiano denuncino il genocidio in corso a Gaza e si operino per boicottare il sistema accademico di Tel Aviv, favorendo invece l’integrazione e i progetti di scambio con le omologhe istituzioni palestinesi. In generale, nel nostro Paese, la “mobilitazione dei saperi” va avanti sin dalla metà di novembre. Poco dopo la metà di marzo, a Torino c’è stato il primo caso di approvazione di una mozione che sospende la partecipazione di una università al bando MAECI per la collaborazione con le università israeliane, e qualche giorno dopo tale soluzione è stata approvata anche dalla Normale di Pisa, cui studenti si sono raccontati a L’Indipendente. Nel mondo, dopo le proteste studentesche statunitensi analoghi campi sono sorti in ogni angolo del pianeta, arrivando in Canada, Messico, Australia, e Medioriente. Anche l’Europa sta venendo particolarmente colpita da questa nuova ondata di contestazioni, e sono sorti campi nel Regno Unito, in Francia, in Spagna, in Germania e in numerosissimi altri Paesi del vecchio continente.

[di Dario Lucisano]

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2 Commenti

  1. Mi piacerebbe che la CRUI si comportasse come la sua omologa spagnola che pochi giorni fa ha accolto le richieste degli studenti di interrompere i rapporti con le università israeliane . Certo che questo è troppo da chiedere ad un paese in cui lo stato ha demandato ai sovvenzionamenti privati il bilancio delle Università, come dimostra la lettera minatoria della sig.ra Rotschild al Senato accademico della Sapienza e la presenza di 65 membri ,tra studenti e docenti, su una nave ammiraglia durante l’ennesima esercitazione NATO sui nostri mari e sulla disgraziata Sardegna. Le università dovrebbero essere le sedi preposte non solo all’apprendimento di alto livello, ma anche alla libertà culturale e mentale , sicuramente anche attraverso il libero scambio internazionale , che non sia condizionante dal punto di vista economico ,altrimenti diventano le sedi preposte alla divulgazione del pensiero unico. Agli studenti consiglierei di allargare il target della protesta dalla sola difesa dei palestinesi alla presa di psizione contro qualunque guerra che rischia di coinvolgerli in prima persona. La scarsa risposta a questo importantissimo articolo di cui Piantedosi e questo governo sono solo personaggi miseri, di rileivo solo perchè hanno il coltello dalla parte del manico attualmente, mi fa pensare che quello che succede nelle Università Italiane non sia compreso ancora come un pericolo che va ben aldilà della protesta degli studenti.

  2. Come già scritto, se manifestassero a favore dei Palestinesi contestando Biden, Netanyahu, Meloni, Macron etc. Direi bravi, così non cambia niente: Si appoggia sempre la collettività e si contrasta sempre solo singoli individui, lasciamo i pensionati illetterati alla Di Pietro che indagano i partiti andare all’altro mondo.

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