- L'INDIPENDENTE - https://www.lindipendente.online -

Gaza: contro le proteste il Viminale non sa cosa fare, quindi agita il solito “allarme infiltrati”

La cosiddetta “intifada studentesca” procede senza sosta, moltiplicando in tutti gli atenei i campeggi e le manifestazioni di protesta in solidarietà del popolo palestinese. Una situazione di fronte alla quale – ben lungi dall’accettare anche solo l’ipotesi di valutare le richieste degli studenti, che chiedono innanzitutto la fine dei progetti di ricerca in collaborazione con le università israeliane – il governo non sa cosa fare. La strategia fino ad oggi era parsa quella di attendere che le proteste si esaurissero da sole, ma questo non sta avvenendo, con le “acampade” di protesta che anzi si stanno moltiplicando. Quindi ieri il ministero dell’Interno ha tenuto un incontro tra il Comitato Nazionale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica e il vicepresidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI), con lo scopo di decidere come risolvere la questione. Dalla nota [1] pubblicata dallo stesso ministero guidato da Matteo Piantedosi non emerge nessuna decisione, se non il consueto allarme che ammonisce sul rischio di «possibili infiltrazioni di dissidenti violenti». Eventualità che non si è verificata in nessuna protesta fino ad oggi e che, presentata in assenza di qualsiasi indizio a supporto, sembra al solito essere messa sul tavolo come “jolly” per giustificare ogni possibile azione repressiva del prossimo futuro.

L’incontro del Comitato con il vertice del CRUI, lanciato [2] qualche giorno fa, era rivolto a delineare una condotta generale di gestione delle sempre più diffuse iniziative a sostegno della popolazione di Gaza e a denuncia del coinvolgimento del nostro Paese nel genocidio dei palestinesi. Da quanto emerge nei tanti giri di parole della nota, il vertice sembra essersi risolto in un nulla di fatto, e parrebbe che Ministero dell’Interno e università vogliano portare avanti la linea semi-garantista avuta finora nei confronti delle occupazioni, senza dunque optare direttamente per lo sgombero. Sembrerebbe tuttavia restare aperta la possibilità di interventi, che emergerebbe in primo luogo dalla eccessiva vaghezza dei contenuti della nota, e, successivamente, dal classico riferimento al pericolo di infiltrazioni di soggetti estranei nelle manifestazioni «al solo scopo di strumentalizzare il dissenso». Se dovesse succedere qualcosa, insomma, ci sarebbe qualcuno a cui dare la colpa.

La ribattezzata “intifada studentesca” va avanti da settimane, e ha ormai assunto i connotati di un movimento globale [3]. In Italia il primo “campo di solidarietà” è spuntato a Bologna, in data 5 maggio, e successivamente ne sono arrivati altri due anche a Roma e a Napoli. A queste università si sono aggiunte rapidamente quelle di Palermo, Cosenza, Padova, Torino, Milano, e Venezia, e molte altre starebbero programmando di unirsi. Nella maggior parte dei casi, gli studenti di tali atenei portano avanti le rivendicazioni [4] dei Giovani Palestinesi, e chiedono che le università e il governo italiano denuncino il genocidio in corso a Gaza e si operino per boicottare il sistema accademico di Tel Aviv, favorendo invece l’integrazione e i progetti di scambio con le omologhe istituzioni palestinesi. In generale, nel nostro Paese, la “mobilitazione dei saperi” va avanti sin dalla metà di novembre [5]. Poco dopo la metà di marzo, a Torino [6] c’è stato il primo caso di approvazione di una mozione che sospende la partecipazione di una università al bando MAECI per la collaborazione con le università israeliane, e qualche giorno dopo tale soluzione è stata approvata anche dalla Normale di Pisa [7], cui studenti si sono raccontati a L’Indipendente [8]. Nel mondo, dopo le proteste studentesche statunitensi [9] analoghi campi sono sorti in ogni angolo del pianeta, arrivando in Canada, Messico, Australia, e Medioriente. Anche l’Europa sta venendo particolarmente colpita da questa nuova ondata di contestazioni, e sono sorti campi nel Regno Unito, in Francia, in Spagna, in Germania e in numerosissimi altri Paesi del vecchio continente.

[di Dario Lucisano]