giovedì 21 Novembre 2024

I Paesi europei stanno ritrattando Shengen con il pretesto della guerra

Aumenta sempre di più il numero di Paesi che sta sospendendo in via temporanea l’accordo di Schengen per reintrodurre e aumentare i controlli al confine, tanto che a oggi si contano 11 sospensioni temporanee attive varate da 8 diversi Stati europei. Nella maggior parte dei casi le motivazioni dietro le sospensioni sono sempre le stesse: a causa delle guerre in Ucraina e in Medioriente la situazione di tensione avrebbe generato un clima allarmante, che avrebbe così spinto i Paesi ad aumentare i controlli al confine, sospendendo il trattato internazionale. Domenica 12 maggio, la lista di sospensioni è stata aggiornata con la proroga del potenziamento dei confini di Austria, Danimarca, Germania, Norvegia e Svezia, scaduti il giorno precedente. L’Italia, dal canto suo ha sospeso Schengen per controllare meglio i confini con la Slovenia, in quello che sembrerebbe un atteggiamento di generale strumentalizzazione delle tensioni per rafforzare i confini interni a favore di una svolta politica conservatrice.

La lista dei confini in cui è stato temporaneamente sospeso il trattato di Schengen è consultabile in forma aggiornata sul sito della Commissione Europea. Qui, l’istituzione comunitaria spiega molto brevemente motivazioni e basi di natura legale su cui ruoterebbero le temporanee ritrattazioni dei controlli sui confini interessati, fornendo anche le date di inizio e fine di ciascuna misura. In totale da novembre 2023 sono state varate circa 40 sospensioni (proroghe incluse), e a oggi i Paesi attivamente coinvolti sono 8: Austria, Danimarca, Francia, Germania, Norvegia, Slovenia, Svezia e Italia. Tra di essi, l’Austria risulta certamente uno dei Paese più chiusi di tutti: degli otto Paesi che confinano con Vienna, infatti, essa stessa ha chiuso i confini con quattro di essi (Repubblica Ceca, Slovenia, Ungheria e Slovacchia), mentre la Germania li ha chiusi con lei per ben due volte. Anche i confini norvegesi risulterebbero particolarmente sotto osservazione, avendo Oslo rinsaldato i controlli dei propri porti, in parallelo alla chiusura dei confini interni (non risulta chiaro quali) da parte della Svezia. Come la Svezia, pure Francia e Danimarca starebbero considerando l’idea di aumentare i controlli interni, misura che nel Paese scandinavo si aggiungerebbe a quella di indurimento della sorveglianza sul confine con la Germania. La stessa Germania, oltre che con quelli austriaci, ha rafforzato i controlli anche sui confini con Polonia, Repubblica Ceca e Svizzera; le misure della Slovenia, invece, riguarderebbero i limiti con Repubblica Ceca e Ungheria. Chiude la lista l’Italia, che da gennaio ha ratificato il controllo dei confini con la Slovenia attivo da ottobre, che interessa oltre 50 località di confine.

Le basi legali dietro a tali misure sono fornite dallo stesso accordo di Schengen, in quanto esso prevede la reintroduzione dei controlli ai confini di fronte a “serie minacce alla politica pubblica o alla sicurezza interna”. In teoria, simili iniziative dovrebbero servire da “ultima spiaggia”, e soprattutto sarebbero tenute a “rispettare il principio della proporzionalità”. Le misure hanno tempi limitati in base alle istanze di esigenza, ma possono venire prorogate fino a un totale di 2 mesi (di 20 giorni in 20 giorni) quando si tratta di “casi che richiedono un’azione immediata” e fino a 6 mesi (di 30 giorni in 30 giorni) nei “casi prevedibili” come gli eventi sportivi; sono poi previsti casi in cui “circostanze eccezionali” mettono a rischio l’intero funzionamento del patto. Le motivazioni che hanno spinto i vari Paesi a chiedere la reintroduzione dei controlli sui propri confini sono diverse, ma riguardano nella pressoché totalità dei casi le guerre in Russia e in Medioriente, che secondo i Paesi richiedenti causerebbero un incremento nelle richieste di asilo dei migranti e una minaccia all’ordine e alla sicurezza pubblici.

Il fatto che tutte le misure abbiano una scadenza che va ben oltre i trenta giorni, e che la maggior parte di esse sia stata prorogata per mesi rende parecchio dubbio il carattere emergenziale delle iniziative – che visto il periodo di validità non possono che rientrare nella categoria dei “casi eccezionali”. Dopo tutto, il fatto che da un lato si ritenga che l’arrivo di migranti dal Medioriente metta a rischio l’intera area Schengen, mentre intanto non si prende una presa di posizione netta nella condanna del genocidio nei confronti dei palestinesi, sembrerebbe configurare il rafforzamento della sorveglianza sui confini come una mossa di natura più strettamente politica. Il continuo appellarsi a rischi di attacchi terroristici di matrice islamica e a potenziali infiltrazioni russe – quando il blocco NATO sta portando avanti quella che sembrerebbe una “guerra per procura” contro la medesima Russia – parrebbe in tal senso suggerire una velata volontà di iniziare un processo di chiusura dei confini con la scusa della guerra, ipotesi che troverebbe conferma dalla nuova legge sui migranti dell’UE, o dal sistema di esternalizzazione delle richieste di asilo in Albania disegnato dall’Italia e da altri Paesi europei.

[di Dario Lucisano]

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