domenica 22 Dicembre 2024

Come può cambiare la politica di Teheran dopo la morte del presidente Raisi

La morte del presidente della Repubblica islamica dell’Iran Ebrahim Raisi, in seguito allo schianto dell’elicottero su cui viaggiava il 19 maggio, è destinata a incidere sugli equilibri politici interni del Paese persiano, anche se, al momento, non sono previsti cambiamenti radicali nella sua politica estera. La scomparsa di Raisi – insieme a quella del ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian e degli altri passeggeri – ha suscitato il cordoglio della popolazione iraniana, ma anche la reazione dei capi di governo internazionali che hanno seguito l’accaduto e ora osservano con attenzione le possibili ripercussioni che può avere sul piano geopolitico la dipartita di Raisi. Il Consiglio strategico per le relazioni estere iraniano ha già reso noto che «il percorso della politica estera non cambierà» e che seguirà lo stesso orientamento sotto la guida dell’Autorità suprema di Teheran, Ali Khamenei. Se da un lato, dunque, non si prevedono cambiamenti radicali sul piano geopolitico, dall’altro, a risultare più a rischio potrebbero essere gli equilibri interni della nazione, a causa della lotta per le posizioni dirigenziali che, secondo alcuni analisti internazionali, inevitabilmente si verificherà. Ora, infatti, il potere passerà temporaneamente al vicepresidente Muhammad Mukhbar, ma entro i prossimi 50 giorni dovranno essere indette nuove elezioni. In questo contesto, «il compito dell’attuale leadership sarà quello di prevenire qualsiasi segno di destabilizzazione della situazione. Ciò non sarà così facile da fare, data una certa agitazione», ha dichiarato a un organo di stampa russo il professore del Dipartimento di Studi Regionali Internazionali della Facoltà di Economia mondiale e Affari internazionali, Andrej Baklanov. Sono stati numerosi i messaggi di cordoglio da parte dei capi politici in tutto il mondo, da quelli europei, agli alleati più stretti di Teheran come Russia e Cina, passando per le monarchie del Golfo.

Importante attore degli equilibri mediorientali, l’Iran è noto per essere un acerrimo avversario di Israele e degli Stati Uniti, oltre che il principale sostenitore dei movimenti di resistenza sciiti regionali in Libano, Siria, Iraq e Yemen, un ruolo intrapreso con determinazione anche da Raisi, tanto che gli Hezbollah libanesi lo hanno omaggiato definendolo il «protettore dei movimenti di resistenza».  Sostenitore della rivoluzione islamica e delle istanze khomeiniste sin dalla prima ora (1979), di formazione giuridica (è stato presidente della Corte suprema iraniana dal 2019 al 2021), Raisi – a partire dallo scorso 7 ottobre – si è schierato con forza a fianco del popolo palestinese e contro «il regime sionista», affermando che quest’ultimo «ha commesso oppressione contro il popolo palestinese per 75 anni». «Prima di tutto dobbiamo espellere gli usurpatori, in secondo luogo dobbiamo far pagare loro il prezzo di tutti i danni che hanno creato e in terzo luogo dobbiamo consegnare alla giustizia l’oppressore e l’usurpatore», ha detto. Dopo anni di guerra ombra tra Tel Aviv e Teheran, le tensioni hanno raggiunto l’apice ad aprile quando, in seguito a un attacco all’ambasciata iraniana in Siria da parte di Israele, la Repubblica islamica ha risposto lanciando centinaia di droni e missili balistici nel territorio dello Stato ebraico. Un attacco che Israele è riuscito in parte a neutralizzare solo con l’aiuto dei suoi alleati, tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Giordania. Lo Stato persiano, tuttavia, non ha un’importanza solo regionale, bensì globale, considerate la sue alleanze internazionali, in particolare con la Russia e i buoni rapporti che intrattiene con la Cina. Sia il presidente cinese che quello russo hanno espresso il loro rammarico per la dipartita del loro omonimo iraniano e non sono mancate parole di elogio: il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha detto che il presidente iraniano Ebrahim Raisi e il suo ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian erano «veri amici» della Russia. Il presidente cinese, Xi Jinping, invece, ha definito la morte del presidente iraniano Ebrahim Raisi come «una grande perdita per la sua gente».

Per quanto riguarda il piano della politica estera, secondo l’analista Baklanov, «L’equilibrio delle forze non può cambiare radicalmente a causa della partenza di uno dei leader più anziani». Tuttavia, ciò potrebbe far rallentare il piano di ridurre le tensioni nei rapporti tra Iran da un lato, Israele e Stati Uniti, dall’altro. I contatti per ridurre le tensioni potrebbero «rallentare a causa dell’aumento della tensione nel Paese, che inevitabilmente si verificherà. In questi periodi [le autorità] cercano di non aggiungere all’agenda eventi importanti e possibilmente risonanti in politica estera», ha aggiunto. Il vuoto causato dalla morte di Raisi, inoltre, rischia di destabilizzare ulteriormente la politica interna della nazione persiana, già alle prese con una parziale crisi di consenso interna che ha raggiunto il suo apice con le proteste innescate dalla morte di Masha Amini. Questo è uno dei motivi che potrebbe portare ad un sempre maggiore rafforzamento dell’asse tra la Guida Suprema – Khamenei – e i Guardiani della Rivoluzione, l’apparato militare dell’Iran, nel tentativo di evitare un’eventuale delegittimazione dello Stato islamico. Già dal 2020, ossia dall’uccisione del generale Qasem Soleimani, il potere è sempre più concentrato nelle mani dei militari. Inoltre, Raisi era considerato un possibile successore dell’anziano ayatollah Khamenei e la sua morte lascia scoperta la successione rendendo più fragile il sistema di potere iraniano. Ciò significa che nei prossimi cinquanta giorni, la nazione persiana dovrà lavorare alacremente per stabilizzare il fronte interno, presupposto fondamentale anche per quanto riguarda la politica estera, rispetto alla quale non si prevedono – almeno per ora – radicali sconvolgimenti delle posizioni assunte finora dalla Repubblica islamica.

[di Giorgia Audiello]

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3 Commenti

  1. Giusto equilibrare e frenare l’imperialismo USA e il massacro israeliano a Gaza, ma è importante ricordare che questi capi di stato non sono dei santi. Non dimentichiamo la vicenda, l’omicidio di stato della studentessa Masha Amini e le esecuzioni sommarie di migliaia di persone avvenute nel 1988 a causa delle quali Raisi si era meritato l’appellativo di Macellaio di Teheran. Da da questo articolo il defunto presidente sembra quasi un rispettabile presidente, anzi quasi un eroe.

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