Palestina, diritti, crisi climatica e molto altro: sono questi i motivi che stanno spingendo decine di migliaia di giovani a occupare le piazze e le strade, in Italia e in tutto il mondo. Un’ondata di proteste che non accenna a fermarsi, con tutta probabilità la più vigorosa dalla stagione del ’68. In questo nuovo numero del Monthly Report, il mensile de L’Indipendente nel quale trattiamo tematiche di particolare rilevanza che riteniamo non sufficientemente approfondite nella comunicazione mainstream, abbiamo sondato quali siano le ragioni che spingono gli studenti a lottare contro un sistema che ritengono ingiusto e che va per questo cambiato, scendendo in piazza e occupando le università.
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L’editoriale del nuovo numero: Il ritorno della resistenza studentesca nelle piazze
La rabbia degli studenti è tornata a scuotere le piazze. Tanto da guadagnarsi un posto sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo e da attirare l’attenzione di capi di Stato e politica. I giovani chiedono la fine della guerra in Palestina, ma non solo. Pretendono la cessazione delle politiche imperialiste e ipocrite dei loro governi e la fine dei rapporti tra la scuola e le istituzioni guerrafondaie. Dal Canada al Kuwait, quasi ogni Stato del mondo è stato travolto da questa ondata, che ha il suo fulcro nelle proteste statunitensi. Qui, nonostante la repressione, gli arresti, la pubblica gogna e la violenza poliziesca, le occupazioni delle università non accennano a fermarsi. Una cosa che non si vedeva dal 1968, dalle proteste contro la guerra in Vietnam. E se è vero che è stata l’ondata di rabbia nei campus degli Stati Uniti a contagiare il resto del mondo, è anche vero che gli studenti italiani sono stati tra i primi a scendere in piazza contro il massacro dei civili a Gaza, dimostrando una coscienza politica che stride con quella definizione di “generazione TikTok”, pelandrona e un po’ spersa, che viene spesso affibbiata loro da politici e giornali. Lo mettono nero su bianco gli studenti della Scuola Normale di Pisa, in una lettera che abbiamo pubblicato per intero all’interno di questo Monthly Report: i nostri studi non sono separati dal mondo. Una formazione che non contempli prese di posizione, slegata dalla realtà, è manchevole e pericolosa.
I primi passi verso la riconquista della scena politica sono stati mossi all’indomani della pandemia, quando i liceali, in particolare, hanno cercato di dare una scossa a un ordine sociale immobilizzato da lockdown e restrizioni. E se all’inizio le rivendicazioni si sono mosse timidamente, hanno presto acquisito sostanza e forza. Nel corso dell’“autunno caldo” del 2022 le piazze italiane si sono riempite di giovani e giovanissimi che, sfidando le ultime restrizioni pandemiche, hanno cercato di riportare l’attenzione delle istituzioni sui bisogni della loro generazione, chiedendo maggiori investimenti nella formazione, nell’istruzione e nella salute mentale di una generazione che aveva trascorso in lockdown gli anni dello sviluppo. Insieme a queste vi erano l’opposizione alla militarizzazione della scuola, la protesta contro lo stato degli edifici, che in Italia cadono letteralmente a pezzi (tra il 2022 e il 2023 sono stati registrati ben 85 crolli all’interno degli istituti scolastici), contro l’alternanza scuola-lavoro. Le ondate, piccole e grandi, sono state tante e sono arrivate a mettere in discussione l’ideologia stessa alla base dell’istituzione scolastica sotto l’attuale governo, ovvero quella del merito, che mette i giovani gli uni contro gli altri alimentando la competizione e le diseguaglianze. E quando è iniziato il massacro a Gaza, gli studenti di ogni parte del mondo hanno scelto di non rimanere in silenzio.
Unendo i punti in questo universo di rivendicazioni, i giovani sono arrivati a mettere in discussione buona parte dell’organizzazione sociale, politica ed economica, tanto della scuola quanto del Paese. A mancare, forse, è ora una forza che tenga insieme tutti i tasselli, in grado di incanalare le varie rivendicazioni e avere la forza di imporre dei cambiamenti. La storia ci insegna che questa eventualità è tutt’altro che impensabile. L’enorme movimento del ’68 esplose in maniera analoga. Nata inizialmente come opposizione alla guerra in Vietnam, la mobilitazione inglobò presto altri tipi di rivendicazioni, trasformandosi in un movimento di portata globale che riuscì a imporre dei cambiamenti nella società e nella storia. E la storia, come sappiamo, tende a ripetersi.
L’indice del nuovo numero
- Il ritorno delle lotte studentesche sulla scena italiana
- Viva gli studenti!
- Il contagio della protesta: le università tornano protagoniste in tutto l’Occidente
- “La nostra lotta contro il genocidio”: lettera degli studenti della Normale di Pisa
- Perché il bando MAECI ha profondamente a che fare con l’occupazione israeliana
- Scuola e università vanno alla guerra
- Casa, tasse e borse di studio: la battaglia degli studenti per il diritto allo studio
- La causa ecologista nelle università che puzzano sempre più di petrolio
- La battaglia transfemminista è una questione molto più complessa di come viene raccontata
- Dialogo tra i movimenti di ieri e quelli di oggi
Il mensile, in formato PDF, può essere acquistato (o direttamente scaricato dagli abbonati) a questo link: https://www.lindipendente.online/monthly-report/
Il sig. Slossel ha perfettamente ragione. Io mi auguro che questi ragazzi di cui condivido in pieno la protesta, di cui la mattanza in Palestina è solo l’emblema del degrado occidentale sotto scacco delle lobbies economiche-finanziarie, si ricordino di mostrare la loro protesta anche nelle prossime elezioni europee andando a votare e punendo tutti i partiti che con le loro azioni passate e presenti hanno prodotto , sottaciuto, assecondato questo delirio socio-politico. L’astensionismo fa il gioco di chi manovra nell’ombra , come hanno già dimostrato le elezioni nazionali. Il parlamento europeo è solo un fantoccio e noi ricchi epuloni ne manteniamo addirittura due , il vero potere ce l’ha la commissione europea che non ha elezione diretta e si vede benissimo da chi è manovrata . Non servirà a nulla ma anche questo è un forte segno di dissenso tangibile.
Da ex attivista settantottino concordo pienamente con le proteste ed a distanza di anni vedo che le criticità sono aumentate esponenzialmente: meno pace e crisi climatica mettono in serio pericolo il futuro di tutti!