giovedì 21 Novembre 2024

Taiwan, migliaia in piazza contro la “legge filocinese”

Ieri a Taiwan migliaia di persone si sono riversate nelle strade attorno al Parlamento per protestare contro una proposta di legge considerata “filocinese”, volta a dare ai legislatori un maggior controllo sul governo. I due partiti di opposizione che hanno proposto la nuova normativa – il Kuomintang (KMT) e il Partito popolare di Taiwan (TPP) – si sono uniti contro il partito al potere, il Mínjìndǎng, ossia il Partito Progressista Democratico (DPP), per approvare la legge e sono accusati dai manifestanti di lavorare di concerto con la Cina contro la democrazia. In questo contesto, emerge la debolezza del partito di maggioranza guidato da Lai Ching-Te che ha vinto le elezioni lo scorso gennaio, insediandosi lunedì scorso al governo: se da un lato, infatti, la Cina lo accusa di essere un “separatista” per via delle sue posizioni pro-Occidente, dall’altro, il suo partito (il DPP) ha perso la maggioranza, in quanto i due gruppi di opposizione hanno abbastanza seggi in Parlamento per superare quelli del Mínjìndǎng. Una larga parte dei taiwanesi osteggia la legge in questione che, nello specifico, prevede che i legislatori possano punire i funzionari responsabili di oltraggio al Parlamento attraverso il rilascio di dichiarazioni mendaci o «nascondendo informazioni», espressione che, secondo il DPP, non sarebbe chiara. Per questo, migliaia di persone e alcuni esponenti del partito di governo sono scese in piazza con cartelli e striscioni per protestare e sono apparsi tra la folla anche dei girasoli, simbolo di un movimento che dieci anni fa ha portato centinaia di studenti a occupare il Parlamento di Taipei per protestare contro i patti commerciali con la Cina.

A causa della controversa proposta di legge, tensioni e veri e propri scontri fisici si sono registrati la scorsa settimana all’interno del Parlamento dell’isola, dove i deputati si sono accalcati attorno al posto dell’oratore, saltando sui tavoli e aggredendosi uno con l’altro. I deputati di tutti e tre i partiti sono stati coinvolti nei disordini. Venerdì scorso, i rappresentanti del DPP indossavano fasce con la scritta “La democrazia è morta” e hanno chiesto più discussioni sulla proposta di legge, accusando i partiti di opposizione di imporre la propria linea senza il normale iter di consultazione in quello che definiscono un «abuso di potere incostituzionale». «Sul palco dell’oratore oggi non c’è il KMT o il TPP. C’è Xi Jinping», ha detto alla Camera Ker Chien-ming, capogruppo del DPP, riferendosi al presidente cinese. Da parte sua, il KMT ha accusato il DPP di «diffondere voci e dipingerle di rosso», riferendosi ai colori del Partito Comunista cinese, nel tentativo di soffocare le riforme. «Speriamo che il governo possa accettare il controllo del popolo e dei legislatori, che sono i rappresentanti del popolo. Non diciamo che stiamo svendendo il nostro Paese solo perché stiamo cercando di approvare la legge sulla riforma della Camera», ha detto la parlamentare del KMT Jessica Chen.

I disordini in aula sono arrivati direttamente a ridosso della cerimonia di insediamento del nuovo presidente di Taiwan, svoltasi lunedì, durante la quale – nel suo discorso – Lai Ching-Te ha chiesto alla Cina di porre fine alle sue minacce politiche e militari per perseguire la via della pace: «Voglio anche esortare la Cina a smettere di intimidire Taiwan politicamente e militarmente e ad assumersi la responsabilità globale con Taiwan di lavorare duramente per mantenere la pace e la stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan e nella regione, per garantire che il mondo non abbia paura che scoppi la guerra», ha detto. Dal canto suo, l’Ufficio cinese per gli affari di Taiwan ha definito la situazione nello Stretto di Taiwan «complicata e cupa», affermando che «l’indipendenza di Taiwan è incompatibile con la pace nello Stretto di Taiwan». Alla cerimonia erano presenti anche ex funzionari statunitensi inviati dall’amministrazione Biden, oltre ai rappresentanti di Giappone, Germania e Canada e capi di alcuni dei dodici paesi che mantengono ancora legami diplomatici formali con Taiwan. Il segretario di Stato americano Antony Blinken si è congratulato con Lai, dicendo che gli Stati Uniti non vedono l’ora di lavorare con lui «per promuovere i nostri interessi e valori condivisi, approfondire le nostre relazioni non ufficiali di lunga data e mantenere la pace e la stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan».

La Repubblica di Cina – nome ufficiale di Taiwan – è il perno attorno a cui ruota lo scontro tra Stati Uniti e Cina per il controllo dell’Indo-Pacifico, considerata la sua posizione strategica nella regione. Le tensioni e le divisioni interne alla politica dell’isola di Formosa non fanno altro, dunque, che destabilizzare una situazione già fortemente precaria, con il rischio che la questione di Taiwan diventi ancora più facilmente strumentalizzabile da entrambe le parti, generando divisione e incertezza tra la società civile e la politica e inaugurando quindi un corso turbolento per il nuovo governo e il neo insediato presidente.

[di Giorgia Audiello]

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