domenica 22 Dicembre 2024

Gaza: Israele intensifica l’offensiva impedendo il rifornimento degli aiuti umanitari

L’esercito israeliano ha lanciato la scorsa notte una delle offensive più intense sulla città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, costringendo centinaia di migliaia di persone ad abbandonare quello che è stato un rifugio per circa la metà dei 2,3 milioni di abitanti dell’enclave costiera. L’offensiva di Rafah fa parte di un più ampio attacco su tutta la Striscia, che martedì ha coinvolto anche la città di Jabalia – nel nord dell’enclave – dove è stato colpito il pronto soccorso dell’ospedale Kamal Adwan e distrutte le aree residenziali con bombardamenti di carri armati e aerei. Le forze israeliane hanno attaccato anche Jenin, nella Cisgiordania occupata, uccidendo 12 palestinesi in un raid di due giorni. Gli assalti simultanei alle estremità settentrionali e meridionali della Striscia hanno bloccato l’arrivo e la distribuzione degli aiuti umanitari, peggiorando le condizioni di estrema penuria alimentare presenti già da molti mesi nel territorio assediato. L’UNRWA, la principale agenzia delle Nazioni Unite a Gaza ha comunicato martedì di avere sospeso le distribuzioni di cibo a causa della mancanza di rifornimenti e dell’insicurezza. Nel frattempo, cresce l’isolamento internazionale di Israele, in seguito al riconoscimento dello Stato di Palestina da parte di Spagna, Irlanda e Norvegia. La notizia è stata definita «oscena» da un portavoce del governo israeliano e ha trovato anche la disapprovazione di Washington. Tuttavia, a livello di immagine e di consenso internazionale, lo Stato ebraico sta subendo una grave perdita di legittimità, aggravata dal fatto che deve ora affrontare la decisione del procuratore della Corte penale internazionale di richiedere che vengano emessi mandati d’arresto per il primo ministro Netanyahu e il ministro degli Esteri Yoav Gallant.

Nonostante pendano gravi accuse sui suoi maggiori esponenti, il governo dello Stato ebraico non ha esitato a intensificare le offensive su Rafah nella notte tra il 22 e il 23 maggio: secondo la testimonianza di un residente che ha chiesto di restare anonimo, «Non c’è stato alcun arresto del fuoco israeliano per tutta la notte, da parte di droni, elicotteri, aerei da guerra e carri armati». Lo stesso ha aggiunto che i carri armati sono avanzati limitatamente verso sud-est «sotto il fuoco pesante tutta la notte». Secondo le ultime informazioni, i carri armati hanno anche conquistato nuove posizioni più a ovest lungo la recinzione del confine meridionale con l’Egitto, e ora sono di stanza ai margini del quartiere di Yibna, nel centro di Rafah. Israele afferma di non avere altra scelta se non quella di attaccare la città per sgominare gli ultimi quattro battaglioni di militanti di Hamas ancora presenti. In un recente resoconto della sua campagna militare l’esercito israeliano ha affermato di aver smantellato «circa 70 obiettivi terroristici» in tutta la Striscia di Gaza, inclusi complessi militari, siti di deposito di armi, lanciamissili e posti di osservazione. Tuttavia, nonostante quanto dichiarato da Tel Aviv, i combattenti di Hamas sono ancora ben radicati nell’enclave: secondo dati dell’intelligence statunitense citati da Politico, Hamas è stato in grado di resistere alle operazioni israeliane nella Striscia di Gaza reclutando «migliaia di persone negli ultimi mesi». Inoltre, la medesima fonte ha riferito che il 65% dei tunnel del Movimento di resistenza palestinese sono «intatti». Il rapporto sarebbe coerente con la valutazione aggiornata ieri dell’Institute for the Study of War, secondo cui Hamas mantiene unità efficaci in diverse aree della Striscia di Gaza, nonostante i continui sforzi di sgombero israeliani.

A pagare le conseguenze maggiori, più che i militanti della sigla palestinese, sono i civili: gli attacchi aerei hanno ucciso tre bambini in una casa a Khan Younis e almeno cinque persone, tra cui tre bambini, in una casa a Rafah, mentre alcuni residenti hanno riferito di essere stati costretti a fuggire dalla città di Khuzaa, a est di Khan Yunis, dopo che le truppe israeliane avevano iniziato un’incursione sul confine orientale del territorio, demolendo con i bulldozer la recinzione di confine. Allo stesso tempo, l’UNHCR ha dovuto sospendere la sua attività di assistenza umanitaria a causa della pericolosità della situazione e della mancanza di rifornimenti. L’agenzia ha comunicato su X che solo sette dei suoi 24 centri erano operativi e che non aveva ricevuto forniture mediche negli ultimi dieci giorni a causa di «chiusure/interruzioni» ai valichi di Rafah e Kerem Shalom verso Gaza. Allo stesso tempo, gli aiuti giunti al molo temporaneo costruito dall’esercito statunitense davanti alla costa della Striscia di Gaza non sono stati distribuiti, secondo quanto riferito in conferenza stampa dal generale Patrick S. Ryder, portavoce del Pentagono. La situazione umanitaria, dunque, è sempre più grave, acuita dal fatto che l’esercito israeliano continua a colpire gli ospedali, due dei quali nei pressi di Jabalia: «Questi sono gli unici due ospedali funzionanti rimasti nel nord di Gaza», ha detto il direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus. «Garantire la loro capacità di fornire servizi sanitari è fondamentale».

Parallelamente al piano umanitario/militare, emerge l’instabilità del governo israeliano, stretto, da un lato, dalle proteste dei cittadini per come ha gestito la questione degli ostaggi e, dall’altro, dall’opposizione che cavalca il sempre più accentuato isolamento internazionale di Tel Aviv. Proprio ieri, il capo dell’opposizione Yair Lapid ha esortato Netanyahu ad accettare la Palestina come Stato a determinate condizioni e garanzie, affermando altresì che «Questo non accadrà con questo governo. Dobbiamo mandarlo a casa e formarne uno efficace». Nonostante il calo dei consensi, il governo di Netanyahu – composto in prevalenza da ministri nazionalisti ortodossi – non ha intenzione di retrocedere dal bombardare e assediare Gaza, rendendo così irreversibile la già gravissima crisi umanitaria.

[di Giorgia Audiello]

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5 Commenti

  1. Grande tristezza per quello che sta succedendo in Palestina…unico spiraglio di luce: le prese di posizione degli studenti di tutto il mondo riguardo a questa storia che dimostrano una maggiore presa di coscienza da parte delle prossime generazioni….

  2. Affermo già da mesi, nonostante molti quotidiani occidentali di “Regime” affermano che in Europa, le Destre stanno “pericolosamente” ottenendo più consensi…
    Delle nuove generazioni, chi crederà ancora all’autocommiserazione dei Sionisti, Ebrei e Giudei circa la Shoah, allorché il Regime israeliano oggi dimostra il suo totale odio verso le altre popolazioni. Rammentiamoci l’obiettivo di Hitler, che non era errato circa la sua opposizione al potere plutocratico USA, creato da uomini di finanza ebrei, i quali hanno finanziato la seconda guerra mondiale, inclusa la creazione di forni crematori in Germania.
    Potrebbero, pur ignorando questo episodio storico, le nuove generazioni dimenticare l’eccidio di Israele dei Palestinesi indifesi?
    Non credo. Inoltre, il “giorno della memoria” israeliano sarà confutato dalla maggioranza delle popolazioni del mondo che riterrano tale data come la memoria del tentativo dello sterminio dei Palestinesi, vergognosamente assecondato dal silenzio – vedasi compartecipazione con armamenti agli israeliani – di molti paesi occidentali.

  3. Sono decenni che si assiste allo stesso strazio o peggio: i palestinesi vessati in ogni modo, derubati di case e terre ed incarcerati con i più assurdi motivi dì quando in quando tentano qualche disperata rivolta, vedasi le varie intifada organizzate che poi Israele usa a pretesto per compiere dei sanguinari massacri…in media per ogni morto israeliano devono farne tra i cinquanta ed i cento!

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