martedì 24 Dicembre 2024

La Lega vuole mandare in carcere chi protesta contro le grandi opere

La Lega vuole alzare fino a 25 anni di carcere la pena per chi protesta in modo “minaccioso o violento” contro le grandi opere infrastrutturali. È quanto si apprende dalla Commissione Giustizia e Affari costituzionali della Camera dei Deputati, dove nelle ultime ore è stato depositato un emendamento – firmato dal deputato del Carroccio Igori Iezzi – in cui si propone di introdurre aggravanti ai reati di resistenza, violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o a un corpo dello Stato. All’interno del testo è inoltre presente una norma in cui si afferma che chi ostacola l’accesso ai cancelli delle fabbriche – mettendo in atto i cosiddetti picchetti – deve essere sempre considerato responsabile di violenza privata. A denunciare il blitz leghista è stato Angelo Bonelli, leader dei Verdi, che ha espressamente parlato di un atto “autoritario e repressivo” nei confronti di chi “protesta contro il ponte sullo stretto di Messina”. Tale mannaia potrebbe ovviamente abbattersi anche sulle proteste contro la TAV, la Diga di Genova o i rigassificatori.

Nello specifico, l’emendamento di Iezzi punta all’introduzione di un nuovo comma all’articolo 339 del codice penale, in cui è presente la lista delle circostanze aggravanti dei reati di resistenza, violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o a un corpo dello Stato. Al momento, nel primo comma si legge che le pene, che di base possono arrivare a sette anni, “sono aumentate” nel caso in cui “la violenza o la minaccia è commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico”. In base al secondo comma, “se la violenza o la minaccia è commessa da più di cinque persone riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da più di dieci persone, pur senza uso di armi”, le pene si alzano da un minimo di tre anni a un massimo di 15. Nella proposta di modifica di Iezzi si aggiunge un’altra aggravante, in cui si dice che “se la violenza o minaccia è commessa al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica, la pena è aumentata da un terzo a due terzi”. Dunque, se tale norma verrà effettivamente approvata, chi si troverà a protestare in gruppo contro un’opera pubblica con manifestazioni simboliche che saranno reputate “minacciose o violente” rischierà fino a 25 anni di carcere. «La Lega vuole mandare in carcere chi protesta contro il ponte sullo Stretto di Messina. È la conferma della svolta autoritaria e repressiva nei confronti di chi dissente dalle folli politiche di questo governo», ha dichiarato Bonelli, aggiungendo: «Per chi protesta, è prevista una pena tripla rispetto alla corruzione e ad altri reati gravi come la rapina. Siamo in una vera emergenza democratica. La Lega, che con il suo ministro Salvini ha affidato lavori per oltre 15 miliardi di euro senza gara pubblica, come il ponte sullo stretto di Messina e la diga foranea di Genova, e che non ha accolto le contestazioni di irregolarità dell’Autorità nazionale anticorruzione sulle procedure adottate dal ministero delle infrastrutture, vuole mandare in carcere chi protesta!».

Ma non è tutto. L’emendamento avanzato dal Carroccio intende stringere anche le maglie delle proteste sindacali. Se infatti il testo andasse ufficialmente in porto, sarebbero considerati sempre responsabili di violenza privata – reato punito fino a 4 anni di detenzione – gli autori dei cosiddetti picchetti, ovvero i lavoratori che si schierano all’entrata dell’aziende in occasione di scioperi e proteste per impedire l’ingresso ai locali. Alla base vi sarebbe un’interpretazione restrittiva della fattispecie di reato all’articolo 610 del codice penale, che punisce “chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa”, in cui sarebbe ricompresa anche la condotta di persone che “impediscano l’entrata o l’uscita da uno spazio aziendale ostruendone il transito con la sola interposizione dei propri corpi e la resistenza attiva o passiva opposta a chi intenda passare”, non costituendo “esimente o scriminante il fatto che il detto comportamento sia tenuto per sostenere un’azione di sciopero”.

Il pacchetto sicurezza è stato varato lo scorso novembre dal governo Meloni ed è ora in discussione alla commissione Affari Costituzionali della Camera. Nel testo è stata prevista l’introduzione di nuovi reati nel codice penale, insieme a forti inasprimenti di pena e maggiori garanzie per le forze dell’ordine. Tra le misure più salienti, il provvedimento ha delineato pene estremamente severe per chi pianifica o partecipa a rivolte all’interno delle carceri e nei Cpr –, colpendo anche chi le aizza dall’esterno – nonché chi prende parte a blocchi stradali o ferroviari. Il provvedimento ha previsto invece numerose tutele per i membri delle forze dell’ordine, con la più vigorosa repressione delle aggressioni ai loro danni e la possibilità di detenere armi private anche quando non sono in servizio. Un testo che si inserisce a pieno titolo – in combinato disposto con varie strette previste negli scorsi mesi, tra cui spiccano quelle all’indirizzo di gruppi ambientalisti e anarchici –, in una scia normativa lapalissianamente indirizzata a criminalizzare e reprimere con durezza un ampio ventaglio di forme di dissenso.

[di Stefano Baudino]

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