Gli studenti mentre studiano si incazzano. Strano, sembra quasi una malattia. Il virus era stato messo in circolazione nel 1968 ma sembrava sconfitto. I sovietici allora avevano invaso la Cecoslovacchia schiantando la cosiddetta Primavera di Praga, con gli studenti inermi che si mettevano contro i carri armati, gli Usa lanciavano offensive, tanto devastanti quanto inconcludenti in Vietnam, per arginare il comunismo, e intanto dovevano fronteggiare il movimento studentesco a casa loro, mentre Mao Zedong in Cina guidava la Rivoluzione Culturale, con gli studenti, sue Guardie Rosse, che giustiziavano gli oppositori.
Gli studenti in Europa non erano d’accordo sulle scelte politiche e mettevano in discussione metodi e contenuti dei propri programmi di studio. A parte le ideologie, sentivano il bisogno di attaccare il potere nelle sue varie forme. Contestavano, come si diceva allora, la naturalizzazione delle scelte delle forze dominanti, la irreversibilità delle decisioni. E i guasti del capitalismo. E gli studenti di oggi? Ci vorrebbe un vaccino per farli studiare senza che si facciano domande, come alla scuola guida con l’accompagnatore esperto che bonariamente spiega di stare attenti. Perché l’Università nel frattempo è diventata un’azienda e bisogna lavorare e produrre senza farsi tante domande, dando le regole per scontate.
Gli studenti hanno provato a zappare sotto la guida del ministro illuminato ma vangano peggio dei contadini, non riempiono correttamente le cassette di pomodori. Si fanno venire delle idee, merce pericolosa se esci dalla traccia dei manuali, dal flusso delle informazioni, dai dettami del mercato, dagli obblighi delle alleanze internazionali, dalle rappresentazioni mediatiche martellanti a senso unico.
L’immigrato riempie le cassette, lo studente si applica negli studi e nei progetti, il portiere sta in porta, lo chef sta in cucina, il chirurgo in sala operatoria, il taxista sul taxi, il morto nella bara. Non si discute, le cose stanno così, ora e sempre. I cortei invece rompono gli schemi e non solo quelli, e dunque è l’ora di finirla.
Se urlano slogan fascisti prendiamoli come dei Testimoni di Geova a congresso, come dei tifosi che festeggiano, come una sagra di paese, se invece attaccano le decisioni dei governi e parteggiano per l’indipendenza della Palestina e magari sono per la pace in Europa allora li dobbiamo fermare.
Se poi gli studenti pongono anche in discussione le grandi scuole di pensiero, i metodi scientifici, i risultati innegabili delle nuove tendenze. Se si fanno domande ed elaborano teorie e visioni alternative. Eh, no! Lo studente deve dare risposte, le uniche richieste ed accettabili, non altre. E così, dopo molti anni di quasi silenzio, gli studenti si sono messi un’altra volta di traverso. Credo siano i venti di guerra a svegliarli. Ieri il Vietnam, oggi la Palestina.
Mi rendo conto, ci vorrebbe un’analisi molto accurata. Oggi mi limito a dire che picchiare duro, fare del male a dei giovani non può essere un’idea dei poliziotti ma di qualcuno che dà ordini, che dà rappresentazioni sbagliate, che vuole a tutti i costi compiacere le élites mostrando i pugni con chi non si allinea.
Si costruiscono missili pagati con il denaro di tutti e bisogna tacere, anzi esserne fieri. Perché ? Per fare paura, per mostrare i muscoli davanti al toro, per fare body building patriottico, perché ?! Bisogna davvero alimentare l’odio per contare qualcosa, cercare pretesti, provocare spiegando che prima o poi bisogna difendersi, come se la nostra gloriosa Costituzione, ideata, scritta e decisa da un competente gruppo di limpide menti, di varie ideologie, fosse una illusione. Finché non ci aggredisce realmente qualcuno noi dovremmo sparare soltanto verità, alimentare magari illusioni ma praticare giustizia anche se va contro qualche interesse. Perché è tipico della giustizia colpire interessi.
Noi vediamo i poveretti che hanno invaso le strade delle grandi città in tutta Europa, una percentuale crescente di persone e famiglie che fanno fatica da metà mese in avanti, i furti e i taccheggi che dilagano, la sanità pubblica che arranca. Eppure, non si deve nemmeno immaginare che esistano scelte sbagliate da parte dei governi.
E quindi dovete manganellare gli studenti, urlare addosso a loro che devono andare a zappare, che sono nemici, che non conoscono i limiti, che sono un pericolo per la democrazia.
Sì, Pasolini scriveva che i poliziotti sono figli di poveri, che sono i figli di papà a spaccare le vetrine. Ricordo, allora questa era una provocazione che aveva i suoi fondamenti. Ma aldilà delle forze dell’ordine e dei manifestanti ci sono gli ordini che vengono dall’alto.
Gli studenti del ’68 erano amici dei Vietcong, quelli del 2024 sono amici dei Palestinesi. Niente di strano. Gli Usa continuano a fare gli evangelizzatori della democrazia ma devono cambiare rotta se vogliono ancora contare qualcosa, perché non ha senso paragonare Putin a Hitler quando i nazisti veri proliferano a casa nostra e delirano cavalcando il bisogno di trovare colpevoli, di applicare l’odio come forma di potere.
Studenti dunque sempre, perché lo studio non è soltanto applicazione di teorie ma sogno e bisogno di altre verità, di altre condizioni e orizzonti di vita. Di nuove immaginazioni. They have a dream, “We have a dream”. L’ autore di queste parole, Martin Luther King fu ucciso proprio nel 1968 ma l’esistenza dei sogni, anche in politica e nella vita civile, continua ad esserne la condizione irrinunciabile.
[di Gian Paolo Caprettini]
Ti ringrazio Beppe. Essere studenti, sentirsi studenti vuol dire anche non avere paura di sbagliarsi
Grazie G.P.C.
Un altro lume nel buio della violenza finanziata come sempre con dollari a prestito, un prestito salato. Salatissimo perché oltre agli interessi si ripaga con la libertà che è diventata o ritornata ad essere sogno e utopia. E questi (sogno e utopia) sono proprio la ricchezza degli studenti che studiano davvero, degli ex studenti e di quelli che sono studenti a vita perché se si vuole capire qualcosa bisogna studiare. Sempre!