Il Tar del Veneto si è pronunciato ieri sulla grave contaminazione da Pfas nelle province di Vicenza, Padova e Verona. Lo ha fatto sancendo che anche il colosso giapponese Mitsubishi Corporation – che alla fine degli anni Ottanta costituì la Miteni, di cui ha detenuto nel corso degli anni tra il 49 e il 90% del capitale sociale – dovrà sobbarcarsi i costi per la bonifica dei veleni disseminati nei pressi dell’ex Miteni di Trissino (Vicenza). In base a quanto emerso da rilevazioni e accertamenti, infatti, nel giudizio amministrativo di primo grado i giudici hanno inquadrato come responsabili dell’inquinamento tutte le società che si sono susseguite nel controllo dello stabilimento vicentino. Nel 2009 Miteni era stata ceduta alla Ici e poi, cinque anni dopo lo scoppio dello scandalo PFAS, avvenuto nel 2013, è stata dichiarata fallita.
Sebbene Mitsubishi si sia opposta con una serie di argomenti, tra cui l’attribuzione alla Miteni di “autonome scelte e strategie imprenditoriali”, l’assenza di “limiti legali di concentrazione dei Pfoa, dei Pase dei Btf” e la mancata considerazione del “contributo causale di altri soggetti presenti nel distretto industriale”, i giudici del TAR hanno evidenziato la “sussistenza di un’unità sostanziale dell’impresa” fra Mitsubishi e Miteni, attraverso una “condivisione delle medesime persone fisiche nelle cariche societarie”. In aggiunta, i giudici hanno censurato la vendita dell’azienda a Ici “per la somma simbolica di 1 euro, premurandosi di escludere la garanzia del venditore in merito ad eventuali criticità ambientali”, parlando di “un comportamento gravemente omissivo nei confronti degli Enti competenti, impedendo di fatto di avviare il procedimento di messa in sicurezza e/o di bonifica che la normativa applicabile riconduce sotto il controllo delle Autorità pubbliche, procedimento che con un ragionevole grado di certezza avrebbe permesso sin da allora di eliminare, o quantomeno di limitare efficacemente gli effetti pregiudizievoli dell’inquinamento in atto, incidenti sull’ambiente e sulla salute di migliaia di persone”. A proposito dei PFAS, i giudici sottolineano che si tratta di “composti da tempo sotto l’attenzione della comunità scientifica internazionale, e delle autorità di protezione ambientale”, poiché “sospettati di effetti dannosi sulla salute umana”, tra cui “alti livelli di colesterolo ed acido urico nel sangue, nonché una possibile correlazione con taluni tipi di cancro al fegato, al rene, al testicolo e alla tiroide”.
Nel frattempo, si attende che arrivi a sentenza il processo penale istruito sullo scandalo PFAS in Veneto, che vede dirigenti della Miteni e delle società a essa legate accusati a vario titolo di avvelenamento di acque, inquinamento ambientale, disastro innominato aggravato e bancarotta fraudolenta. La vicenda processuale ha avuto origine dalla scoperta, nel 2013, del grave inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche di una vasta falda acquifera che avrebbe coinvolto 350mila cittadini nelle aree di Vicenza, Verona e Padova. Su spinta delle associazioni ambientaliste, tra il 2015 e il 2016 è partita una rilevazione a campione nei comuni interessati che ha evidenziato valori elevati di Pfas nel sangue dei residenti: così, nel marzo 2018, il governo dichiarò lo stato di emergenza con il divieto di consumo di acqua potabile e l’istituzione di una zona rossa in 30 comuni. Un nuovo studio condotto da scienziati dell’Università degli studi di Padova, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Enviromental Health, ha calcolato che proprio all’interno di questa area rossa, tra il 1985 e il 2018, si è verificato un aumento di mortalità per malattie cardiovascolari e malattie neoplastiche maligne.
I Pfas sono un gruppo che raccoglie oltre 10.000 molecole sintetiche non presenti in natura, utilizzate in vari processi industriali per la fabbricazione di prodotti come le padelle antiaderenti o qualche imballaggio alimentare. Essendo molecole fortemente stabili, esse non vengono degradate brevemente nell’ambiente e sono state definite “inquinanti eterni”. L’esposizione ai Pfas è stata associata a problemi alla tiroide, diabete, danni al fegato e al sistema immunitario, cancro al rene e ai testicoli e ad impatti negativi sulla fertilità e da novembre 2023 le sostanze sono state riconosciute anche come cancerogene.
[di Stefano Baudino]