domenica 30 Giugno 2024

La lobby della carne avrebbe sabotato un terzo delle politiche ecologiche europee

L’industria degli allevamenti intensivi, seguendo gli insegnamenti delle compagnie fossili, ha fatto pressioni significative affinché le politiche climatiche dell’UE venissero indebolite. Ad oggi, già un terzo delle misure europee per la riduzione delle emissioni è stato compromesso dal settore. A renderlo noto, un rapporto del gruppo di esperti indipendente InfluenceMap, il quale ha esaminato le campagne di lobbying condotte presso l’UE negli ultimi tre anni da 10 compagnie e 5 associazioni di categoria afferenti all’industria della carne e dei prodotti caseari. Il focus è stato in particolare su 6 politiche ecologiche cardine, come la direttiva sulle emissioni industriali o la strategia Farm to Fork. Le aziende coinvolte nell’allevamento e nella produzione di carne – quali Arla, Danish Crown, Tonnies group, FrieslandCampina, Vion food group – hanno nello specifico promosso le posizioni più critiche e influenti. Il rapporto ha suggerito inoltre che alcuni colossi dell’industria della carne si sono serviti delle rispettive associazioni di categoria per portare avanti i loro interessi, proteggendosi così da polemiche indesiderate.

La nuova analisi di InfluenceMap ha quindi messo in luce una campagna concertata dell’industria della carne e dei prodotti lattiero-caseari volta a ostacolare gli sforzi politici per affrontare l’impatto climatico del settore. Una vera e propria strategia che ha influenzato in modo significativo le politiche ambientali dell’UE relative alla produzione e al consumo di carne e latticini. Il rapporto, in particolare, ha esaminato il coinvolgimento delle aziende e delle relative associazioni di categoria in merito alle politiche dell’UE volte a ridurre le emissioni climalteranti in linea con il Rapporto speciale 2019 del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC). Secondo l’analisi, i giganti dei beni di consumo, come Unilever e Nestlé, hanno in questo caso mostrato un impegno più positivo nei confronti delle politiche dell’UE rispetto ai produttori di carne e latticini come Arla e Danish Crown. Inoltre, è emerso che le associazioni di categoria che rappresentano queste aziende sono state fortemente coinvolte in queste azioni di lobbying, spesso allineandosi con le posizioni più contrarie assunte dalle aziende produttrici di alimenti. Nel complesso, i produttori di carne e latticini, insieme alle loro associazioni industriali, hanno impiegato tattiche simili a quelle utilizzate dall’industria dei combustibili fossili per ostacolare le politiche climatiche. Queste tattiche comprendono la costruzione di una narrativa strategica e un impegno politico dettagliato. Entrambi i settori hanno infatti utilizzato argomentazioni fuorvianti nella loro comunicazione pubblica per seminare dubbi e minare la necessità di affrontare le emissioni di gas serra. Tra le principali tattiche, figura il tentativo di allontanare il settore dalle responsabilità in termini di crisi climatica, negando la necessità di un cambio di dieta, sminuendo l’impatto delle emissioni ed enfatizzando i loro miglioramenti in termini di efficienza. Al contempo, il settore ha lavorato per far risaltare l’importanza degli allevamenti per la società, esaltandone i benefici in termini economici, di salute e di sicurezza alimentare.

Nel complesso, il documento indica che gli sforzi dell’industria sono riusciti in gran parte a indebolire le principali politiche climatiche rivolte al settore nell’UE. Tra il 2020 e il 2023, l’intensa pressione delle aziende ha infatti portato a un significativo indebolimento di un terzo delle politiche esaminate, con la metà di esse che sembra essersi del tutto bloccata a causa dell’opposizione delle aziende e delle associazioni di settore. Tra le politiche interessate figurano il Quadro per i sistemi alimentari sostenibili, una pietra miliare della strategia Farm to Fork, e la revisione della Direttiva sulle emissioni industriali che regola le emissioni inquinanti delle grandi aziende europee. Come se non bastasse, il lobbying dell’industria della carne e dei prodotti lattiero-caseari ha influenzato anche la posizione del partito politico conservatore europeo sulle politiche relative alla transizione della dieta e alle emissioni del settore agricolo. Tra il 2022 e il 2023, l’opposizione del Partito Popolare Europeo a politiche chiave e alla riduzione delle emissioni di gas serra del settore ha infatti rispecchiato la narrativa promossa dai produttori di carne e latticini e dalle loro associazioni industriali. Un allineamento che, verosimilmente, ha influenzato anche l’approccio del Partito alle elezioni europee del 2024.

[di Simone Valeri]

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1 commento

  1. È vero è innegabile il clima cambia. Stamani 1 giugno mi sono svegliata ancora col piumone addosso e non vivo a Livigno ma in provincia di Bari e adesso, 6,40 del 1 giugno, sta piovendo. L’immutabilità ed il mantenimento di un clima sono da sempre impossibili. Ce lo dicono gli studi glaciologici sui carotaggi antartartici per esempio, o da quelli dendrologici su alberi caduti, con anelli concentrici di crescita mutevoli, ma senza andare troppo lontano, ci sono stati molti cambiamenti negli ultimi due secoli, diciamo dal periodo napoleonico di piccola entità, con periodi più freddi vedi anni 70 del novecento, e periodi più caldi come gli anni 40 e 80. Molte previsioni catastrofiste, come atolli sommersi, città a bagnomaria dove si sarebbe dovuto girare in canoa, ghiacciai artici scomparsi da decenni, si sono rivelati bufale a conti fatti dopo 70 anni quasi dalla loro enunciazione. Il clima cambia, ma ciò non vuole dire necessariamente disastri. I dinosauri erano di quelle dimensioni perché la vegetazione era molto più rigogliosa di oggi a fronte di temperature molto più alte, con maggiori precipitazioni ed un tasso di CO2 sicuramente maggiore per la fotosintesi. Il clima cambia e dobbiamo farcene una ragione, anzi adottare dei cambiamenti utili a questa nuova condizione, non certo pensare che si possa fermare con stupidi provvedimenti tipo auto elettriche i cui materiali sono fonte di disboscamento e manovalanza senza diritti magari di minore età, o efficientando edifici che sono centinaia di milioni e graverebbero come macigni sulla testa di poveri contribuenti già terribilmente tartassati. Altresì non si può pensare che facendo retromarcia si torni indietro. La fisica ci dice che indietro o allo stato iniziale si torna forse in un esperimento, ma se sposti la tua auto indietro ti stai solo muovendo nello spazio-tempo in una nuova direzionebnon tornando in quella originaria, e altrettanto dicasi per le condizioni meteorologiche che non sono palline da spostare su un abaco mentre pensiamo di essere dei piccoli geni; le variabili che influiscono sul clima sono tante e troppe al punto da non consentirci di emettere previsioni che si discostino dalle settimanali che pure spesso vengono corrette in corso d’opera, figuriamoci su un periodo stagionale o climatico, ed è proprio questa carenza di dati a determinare la fallacia dei modelli previsionali, non in quanto matematicamente insolubili, ma perché stante il 70% di superficie marina, a cui aggiungere aree spopolate, come il pack artico e antartartico, deserti vari e zone montane poco accessibili, finiscono per mancare di numerosi elementi per cui le stesse alla fine danno esiti grossolani validi per aree circoscritte e molto limitati temporalmente, altro che clima.

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