Dopo un dominio politico durato ininterrottamente dalla fine dell’apartheid e dalle prime elezioni democratiche del 1994, il partito fondato da Nelson Mandela (African National Congress – ANC) ha perso la maggioranza assoluta e dovrà cercare alleanze parlamentari per governare. I voti raccolti dal partito si sono infatti fermati al 40%, in un brusco crollo dal 57,5% di appena 5 anni fa. A pesare sull’elettorato l’arretramento del Paese nella redistribuzione sociale della ricchezza e la crescente disoccupazione. Exploit, invece, per il partito dell’ex Presidente Jacob Zuma, che fu Capo di Stato proprio alla guida dell’ANC, e che era precedentemente stato dichiarato “incandidabile” dalla Corte Costituzionale sudafricana a causa di una passata condanna. Nonostante non dovrebbero verificarsi cambi di rotta troppo bruschi, le elezioni segnano anche una possibile svolta geopolitica visto che non risulta ancora chiaro con chi l’ANC si alleerà per formare una nuova maggioranza governativa. Il Sudafrica è infatti il Paese più avanzato dell’Africa meridionale, nonché uno dei membri fondatori dei Brics insieme a Brasile, Russia, India e Cina.
Elezioni in Sudafrica: affluenza e risultati
Le elezioni in Sudafrica si sono tenute in data 29 maggio, e già solo guardando i dati sull’affluenza riflettono la assoluta crisi politica e sociale che investe il Paese da anni: ai seggi di mercoledì si sono infatti presentati solo il 58,64% degli aventi diritto, contro il 66% di cinque anni fa. Dal 1994, data delle prime elezioni dal termine del regime di apartheid, si è infatti passati dal picco di affluenza dell’89,3% nel 1999, al dato pubblicato nelle ultime ore, che risulta il più basso di sempre. Generalmente parlando, è almeno dallo stesso 1999 che la affluenza al voto in Sudafrica vive una tendenza al ribasso: nelle due tornate successive a quello stesso anno, infatti, il numero dei votanti è calato di 12 punti, rimanendo all’incirca stabile per due giri di boa; le elezioni del 2014 hanno visto invece un calo più considerevole, pari a poco meno del 4%, e nel giro degli ultimi dieci anni, gli aventi diritto andati a votare sono diminuiti in proporzione di poco meno del 15%.
Alle elezioni, dietro all’ANC con il 40,18% è arrivato il partito liberista, principale portavoce degli interessi della popolazione bianca ed ex colonizzatrice, Alleanza Democratica con il 21,81%. Il suo risultato appare relativamente simile a quello degli anni precedenti. A cambiare le carte in tavola è stato piuttosto l’MK dell’ex Presidente Zuma, che nella sua primissima tornata elettorale ha ottenuto il 14,58% dei voti. Esso si presenta come un partito antisistema dalle istanze radicali, che accusa l’ANC di avere perso quella stessa radicalità del passato: il medesimo nome del partito “Lancia della Nazione” richiama quello del vecchio braccio armato dell’ANC ai tempi della lotta di liberazione, e si fa portatore dello spirito rivoluzionario del fu movimento di Mandela, incarnandone i principi di modificazione della società. Al di là dei fattori esterni quali la presenza di Zuma, tuttavia, l’origine effettiva della disfatta dell’ANC va cercata nella profonda crisi sociale economica e lavorative che stringe il Paese dalla sua stessa rinascita nel 1994.
La crisi del Sudafrica oggi
A trent’anni dalla fine del brutale regime di segregazione razziale conosciuto come apartheid, il Sudafrica risulta infatti ancora oggi un Paese dalle forze disuguaglianze sociali ed economiche, che vengono alimentate da una sempre più incombente crisi strutturale e dei servizi. In Sudafrica, infatti, non sono rari i guasti alle linee elettriche, che spesso portano a causare blackout di varia portata, problemi ingigantiti dalla imminente crisi energetica che investe il Paese. Problematica risulta anche la fornitura della rete idrica, che a detta dell’ultimo rapporto del World Economic Forum si posizionerebbe quinta nella classifica dei rischi del Paese. La forte crisi infrastrutturale non risulta che un riflesso della depressione economica che affligge il Paese. Secondo vari rapporti della Banca Mondiale e del WEF, infatti, lo Stato sarebbe sull’orlo dell’implosione. L’anno scorso lo stesso World Economic Forum ha inserito al primo posto nella classifica dei rischi proprio la possibilità di collasso, e al secondo l’ingente crisi di debito. Quest’anno la situazione pare essere migliorata e si parla di semplice «fragilità».
I problemi economici sono causa diretta della dilagante crisi lavorativa che investe il Paese. Secondo l’ultimo report dell’ufficio statistico nazionale sudafricano, il 32,1% delle persone in età lavorativa figurerebbe disoccupata, e la maggior parte di esse sarebbe proprio nera. Al di là del tasso di occupazione, anche la differenza di reddito sarebbe ingente, a testimonianza che dopo il 1994 nonostante sia stata risolta la crisi civile, quella sociale rimane ancora incombente. In generale, secondo la Banca Mondiale, il Sudafrica vivrebbe nell’area più diseguale del pianeta, specialmente sul fronte economico e lavorativo. A tale crisi si aggiunge, inoltre, quella dei migranti: nonostante i suoi innumerevoli problemi, il Sudafrica è infatti un punto di riferimento importante per tutti i Paesi dell’Africa meridionale, tanto che secondo l’Organizzazione Internazionale per la Migrazione «il Sudafrica è la meta preferita per varie categorie di migranti», e per tale motivo vive una serie di problemi legati al fenomeno, quali l’arrivo di migranti irregolari, problemi di gestione dei confini, e analoghe problematiche relative alla gestione dei flussi e all’accoglienza. Di fronte a questo quadro generale, non può che emergere un ultimo, ma non per questo meno importante problema: quello della criminalità. I dati che riportano episodi di microcriminalità sono infatti in costante aumento, e vari rapporti mettono la criminalità organizzata in cima alla lista dei problemi del Paese. Il Sudafrica è inoltre uno dei Paesi con il tasso di omicidi più alto al mondo, pari, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite sui crimini e sulle droghe, a oltre 41 persone su 100.000.
Possibili alleanze conseguenze del risultato
Vista la crisi dilagante e gli evidenti problemi irrisolti, un calo dell’ANC era prevedibile. Ora tuttavia non figura altrettanto facile da prevedere il futuro del Paese tanto sul fonte interno quanto su quello esterno. In questo momento non risulta ancora chiaro con chi l’ANC possa formare una possibile maggioranza di governo. Il fronte di Alleanza Democratica parrebbe da escludersi per gli ovvi contrasti tra le idee politiche dei seguaci di Mandela e quelle dei discendenti degli ex colonizzatori, mentre le intenzioni di Zuma dopo l’inaspettato successo sono ancora una nebulosa difficile da decifrare. Possibile una apertura verso i marxisti dell’Economic Freedom Fighters (EFF), che da sempre condividono le stesse posizioni dell’ANC con una postura tuttavia più radicale; messi insieme però potrebbero non bastare per formare una maggioranza solida, e dovrebbero aprirsi a un terzo micropartito, che in questo scenario potrebbe fare la differenza.
Sulla base degli alleati che l’ANC sceglierà per formare il nuovo governo, poggia il futuro del Paese nello scacchiere internazionale: il Sudafrica, infatti, nonostante i suoi enormi problemi economici, è il principale leader della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale, nonché uno dei Paesi più importanti dell’Unione Africana. Pretoria è anche uno degli Stati fondatori dell’unione dei BRICS che, per quanto si presenti come una mera alleanza economica, sta tramutandosi di fatto in una alleanza internazionale che raggruppa i Paesi che sfidano l’egemonia globale statunitense. Lo stesso Sudafrica dell’ANC non ha mai condannato Putin per le azioni in Ucraina, rifiutandosi di lanciare sanzioni nei confronti della Russia, posizione avversa dai più europeisti oppositori di Alleanza Democratica, e in questo momento è il Paese trainante nella causa di genocidio intentata contro Israele alla Corte Internazionale di Giustizia. Se dovesse allearsi con EEF, tali posizioni non muterebbero di direzione, ma anzi verrebbero confermate con maggior forza, proprio in virtù della maggiore radicalità del movimento di stampo marxista-leninista di minoranza.
[di Dario Lucisano]
Al netto dell’importanza strategica di azioni politiche internazionali quali quelle portate avanti dal Sudafrica sul conflitto Russia-Ucraina e su Israele, che condivido appieno, resta la differenza (come evidenzia l’articolo) tra “crisi civile” e “crisi sociale”: si “concedono” alcuni diritti civili, ma mantenendo lo status quo economico-sociale.sembra che oggi, nel mondo attuale, le più ottimistiche possibilità di cambiamento siano queste. E anche l’unica (non banale, per carità) differenza tra socialdemocrazie e governi di destra e centro destra.
Un capitolo della “Shok doctrine” di Naomi Klein e’ dedicato al Sudafrica all’epoca della fine dell’apartheid. Naomi Klein descrive le due tendenze che segnarono il cambiamento nella amministrazione del Paese. In uno stesso edificio erano a parte riunite le forze politiche che elaboravano la nuova costituzione ponendo l’accento sui diritti democratici l’uguaglianza nel diritto di voto, la liberta’ di associazione, ecc. Nell’altra ala dell’edificio erano riuniti i Chicago boys con i responsabili dell’economia che programmavano l’organizzazione della produzione secondo i criteri del neoliberismo cosi’ come avevano precedentemente attuato nel Cile di Pinochet.
La crisi attuale ha evidentemente origine in questa divisione dei ruoli. I neri sono liberi di votare, di riunirsi, di criticare, ecc.: tutte belle cose. Ma la direzione dell’economia e quindi le decisioni su cosa produrre, sui salari, sull’assistenza sociale, sanita’, pensioni, ecc. e’ nelle mani dei capitalisti e dei loro tecnocrati.