lunedì 22 Luglio 2024

Arresti e bombe sui campi: nel silenzio globale la Turchia aggrava la repressione dei curdi

Prima gli attacchi alle centrali elettriche, poi gli attacchi di artiglieria e di mortaio e i roghi di centinaia di ettari di terreni agricoli: la Turchia sta cercando in ogni modo di destabilizzare le zone a nord-est della Siria, in corrispondenza della regione del Rojava, dove il prossimo 11 giugno avrebbero dovuto svolgersi le elezioni municipali. Si tratta di un evento di portata storica, trattandosi delle prime elezioni dal 2017, ovvero da quando l’Amministrazione Autonoma Democratica della Siria Settentrionale (DAANES) si è espansa geograficamente a seguito della sconfitta dell’ISIS. Il rischio, per la Turchia, è che queste elezioni possano confermare, tramite un processo democratico, il controllo delle Forze Democratiche Siriane a maggioranza curda nella zona, ostacolando di fatto il tentativo di Ankara di prendere il controllo del Rojava. Tuttavia, nonostante la portata dell’evento e della repressione turca, la stampa e la politica internazionale continuano a non voler guardare quanto sta accadendo e a ignorare il doppio standard di Erdogan, che da un lato si schiera (a parole) contro il genocidio in Palestina e dall’altro porta avanti un disegno politico del tutto simile a quello israeliano, differente nei numeri ma non nella sostanza.

A partire da maggio, gli attacchi delle forze turche nelle zone lungo il confine nordorientale tra Siria e Turchia si sono fatti sempre più frequenti e violenti. Secondo quanto riferito dal gruppo di attivisti RiseUp4Rojava, il 18 maggio i villaggi nella zona di Shehba, a nord di Aleppo, sono stati oggetto di attacchi di artigleria, che hanno causato il ferimento grave di due ragazzini. Il 23 maggio, le truppe di Ankara hanno scaricato oltre 200 proiettili di artiglieria su una dozzina di villaggi nella zona di Minbic, causando morti e feriti gravi. Lo scorso 31 maggio, quattro combattenti delle Forze Democratiche Siriane (SDF) sono rimasti uccisi nel corso di un attacco con droni, mentre 11 civili sono stati feriti. In aggiunta a ciò, centinaia di ettari di campi coltivati e decine di migliaia di alberi di ulivo sono stati dati alle fiamme (azione considerata crimine di guerra dal diritto internazionale, ma usata dalla Turchia da anni), causando una grave minaccia al sostentamento di una regione che dipende in larga parte dall’agricoltura.

Salih Muslim, co-leader del Partito di Unione Democratica curdo, ha definito gli attacchi della Turchia come un tentativo di sabotare le elezioni e ha dichiarato che «il nostro popolo andrà alle urne senza fare un passo indietro ed eleggerà i propri rappresentanti con la propria volontà». Le elezioni sono infatti il primo evento di questo genere da lungo tempo nel nordest della Siria, motivo per il quale la Turchia è tanto determinata a impedire che abbiano luogo. «Le elezioni si svolgeranno in un ambiente democratico e trasparente. Inoltre si stanno attuando i requisiti del Contratto Sociale. Pertanto nessun gruppo ha il diritto di dire nulla sulle elezioni» ha dichiarato Muslim. Il Contratto Sociale (o Carta del Rojava) è una carta giuridica valida per l’intera società curda, un modello senza precedenti nel Medio Oriente, che intende costruire una società libera da autoritarismo, militarismo e ingerenze religiose nella vita civile dei cittadini, pur garantendo il rispetto di ogni cultura.

La data per andare alle urne era stato fissata per il prossimo 11 giugno ma, alla luce della situaizone attuale, i partiti politici hanno esercitato pressioni sulla Commissione elettorale, al fine di ottenere un rinvio e poter garantire elezioni democratiche. La nuova data è stata fissata per il prossimo agosto. Le elezioni, previste per tutte le regioni della Siria nord-orientale controllate dalle SDF, sono le prime dal 2017, quando l’Amministrazione Autonoma Democratica della Siria Settentrionale (DAANES) si espanse geograficamente dopo la sconfitta dell’ISIS. L’Alta Commissione Elettorale ha riferito che sono in corsa oltre 5 mila candidati per le elezioni dei co-sindaci e dei consigli in oltre 134 municipalità, con più due milioni e mezzo di aventi diritto al voto sparsi in 7 province. La portata dell’evento ha attirato l’attenzione di diversi attori esterni, in primis della Turchia, che si oppone all’amministrazione locale e che teme che queste elezioni possano di fatto legittimare lo status quo nella regione. Secondo il leader del Partito del Movimento Nazionalista (MHP), Devlet Bahceli, alleato politico di Erdogan, queste elezioni sono «un tentativo di dividere la Siria con la scusa della democrazia» e dichiarato che Turchia e governo siriano dovrebbero coordinarsi per distruggere le SDF e DAANES. Bahceli ha anche criticato il supporto statunitense alle SDF considerandolo sintomo di una grave minaccia alla sicurezza della Turchia, chiedendo a Washington di ritirare immediatamente le sue forze dalla Siria e dall’Iraq, come già fatto in Afghanistan. A tal proposito, il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Vedant Patel, ha dichiarato che «Qualsiasi elezione che si svolge in Siria dovrebbe essere libera, equa, trasparente e inclusiva, come richiesto nell’UNSCR 2254, e non riteniamo che le condizioni per tali elezioni siano presenti nel nord-est della Siria al momento». Tuttavia, come sottolineato dall’Istituto per la Pace curdo, queste elezioni costituiscono un evento perfettamente in linea con gli sforzi statunitensi di lunga data di stabilizzare la regione e garantire ai locali una maggiore inclusione e rappresentanza all’interno degli organi amministrativi.

Il Rojava non è l’unico contesto nel quale i turchi stanno cercando di soffocare il controllo dei curdi. Pochi giorni fa, infatti, è stato destituito il neoeletto sindaco della città di Hakkari, nella provincia di Bakur. Mehmet Siddik Akis, del Partito per l’Uguaglianza e la Democrazia dei Popoli (DEM), è stato condannato a quasi 20 anni di carcere con l’accusa di avere collegamenti con il PKK, il Partito dei Lavoratori Curdi, considerato dal governo turco un gruppo terroristico. Nelle ultime elezioni turche, svoltesi a marzo, il DEM ha ottenuto la maggioranza in moltissimi comuni nelle province del Kurdistan turco, vittoria che Erdogan ha cercato di sabotare in ogni modo. Il tentativo di rimozione del sindaco della città di Wan, in particolare, ha scatenato rivolte popolari che hanno visto la partecipazione di decine di migliaia di persone. Si tratta di pratiche non nuove per il presidente turco, che nel 2019 aveva già sostituito 48 dei 65 sindaci eletti con il Partito Democratico dei Popoli (HDP) con propri fiduciari.

[di Valeria Casolaro]

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