L’amministrazione guidata dal presidente Joe Biden ha deciso di rimuovere il battaglione Azov dai gruppi a cui è vietata la vendita di armi statunitensi. Lunedì, il Dipartimento di Stato USA ha infatti dichiarato che sarà consentita la consegna di armamenti al gruppo neonazista, invertendo quindi una politica di lunga data. La decisione sembra avere una portata decisamente simbolica, più che pratica: il battaglione Azov è, ormai da anni, parte integrante dell’esercito ucraino, motivo per cui sembra difficile che gli sia stato impedito di utilizzare le armi che gli Stati Uniti hanno fornita all’Ucraina nel corso di questi anni. La notizia è però rilevante se si pensa che il battaglione neonazista era stato inserito nella lista nera in base alla Legge Leahy, che vieta agli Stati Uniti di fornire aiuti alle unità militari straniere anche solo sospettate di violazioni dei diritti umani. In questo modo, gli USA tornano a legittimare un gruppo neonazista che si è macchiato di gravi crimini contro l’umanità.
«Dopo un’attenta revisione, la 12a brigata Azov delle forze speciali ucraine ha superato il controllo Leahy effettuato dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti», ha dichiarato il dipartimento in una nota ottenuta dal Washington Post. In base a questo, gli Stati Uniti consentiranno quindi alla Brigata Azov dell’esercito ucraino di utilizzare le armi statunitensi per combattere contro la Russia. La decisione ribalta quindi una politica che andava avanti da circa 8 anni, ovvero da quando il Dipartimento di Stato statunitense decise di inserire il battaglione paramilitare Azov, di chiara ideologia neonazista, nella lista nera di quelle organizzazioni che non possono ricevere aiuti o forniture militari americane a causa del loro comportamento lesivo dei diritti umani, senza però averle inserite nelle organizzazioni terroristiche. Infatti, in base alla base alla Legge Leahy, che vieta agli Stati Uniti di fornire aiuti alle unità militari straniere anche solo sospettate di violazioni dei diritti umani, l’organizzazione neonazista Avoz era stata inserita nella lista nera a causa delle varie, ed accertate, violazioni di tali diritti. Amnesty International, Human Rights Watch e persino le Nazioni Unite hanno infatti, nel corso degli anni passati, denunciato le indicibile violenze commesse dai vari gruppi neonazisti impegnati, fin dal 2014, nella guerra contro la regione orientale filo-russa dell’Ucraina, il Donbass. Tra queste, vengono elencate accuse quali detenzione arbitraria, torture, omicidi e molte altre. Anche l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), nel 2016, redasse un report sui crimini di guerra commessi dalle forze armate e di sicurezza ucraine nei confronti delle popolazioni russofone.
L’aver preso parte al conflitto ha permesso a questi gruppi di accrescere i propri consensi tra la popolazione ucraina, nonostante le loro visioni politiche razziste e intolleranti (o forse anche grazie ad esse). Negli anni, questi gruppi sono stati inoltre capaci di ampliare le loro influenze politiche: parti di queste milizie, che includono anche bambini sono state integrate nell’esercito ucraino. La legittimazione di Azov da parte della politica ha fatto sì che tale gruppo divenisse parte integrante della Guardia nazionale ucraina, che riferisce direttamente al ministero dell’Interno. Azov inoltre possiede un’ala politica (il Corpo nazionale) e tutta una rete subculturale fatta di centri sociali, palestre, scuole di addestramento e circoli, come un moderno partito di massa. Come spiegato nell’inchiesta condotta da L’Indipendente nel maggio del 2022, Azov è l’epicentro di una rete solida e strutturata che connette battaglioni ucraini ormai noti come Azov e Pravyï Sektor a centinaia di fazioni alleate in tutto il mondo, da molti Stati europei – Italia inclusa – passando per gli Stati Uniti, fino a Canada, Brasile, Hong Kong e persino Israele. Il filo che lega questi movimenti neofascisti e neonazisti in giro per il mondo forma una vasta rete che ben facilmente potremmo chiamare Internazionale Nera.
In parte, ciò è stato reso possibile anche grazie all’enorme flusso di denaro da parte dei Paesi occidentali, così come dall’addestramento fornito a tali gruppi. Secondo un rapporto dell’Istituto per gli Studi Europei, Russi ed Eurasiatici (IERES) della George Washington University, pubblicato nel settembre 2021, Canada, Stati Uniti, Francia, Regno Unito e altri Paesi occidentali avrebbero aiutato a formare estremisti di estrema destra in Ucraina. Il rapporto ha rilevato che i membri di Centuria (organizzazione di estrema destra intenzionata a rimodellare l’ideologia dell’esercito ucraino) hanno ricevuto addestramento dai Paesi occidentali sia quando si trovavano all’estero, sia mentre erano all’Accademia dell’esercito nazionale di Hetman Petro Sahaidachny (NAA). La NAA riceve e ha accesso a finanziamenti e formazione da numerosi Paesi occidentali, finanziamenti che, a seguito delle tensioni con la Russia, sono notevolmente aumentati. Europa e USA, di fatti, al fine di indebolire il nemico russo, non pare si siano fatti problemi non solo ad accettare, ma anche a cooperare con gruppi neonazisti. Centuria si descrive come un ordine militare di «tradizionalisti europei» che mirano a «difendere» la «identità culturale ed etnica» dei popoli europei contro «politici e burocrati di Bruxelles». Il gruppo è guidato da persone che hanno stretti legami con il battaglione Azov e alcuni dei suoi membri avrebbero sostenuto corsi di addestramento all’estero. Nel report vengono infatti citate l’Accademia militare di Sandhurst, Regno Unito e l’Accademia degli ufficiali dell’esercito tedesco (Die Offizierschule des Heeres, OSH) a Dresda, in Germania.
Insomma, visti i fatti storici, risulta difficile che Azov non abbia, nel corso di questi anni, continuato a beneficiare delle armi che gli Stati Uniti hanno inviato copiosamente in Ucraina, nonostante il ban imposto dal Congresso statunitense. L’annuncio però da certamente un segnale politico forte, tornando a legittimare un gruppo neonazista che si è macchiato di gravi crimini contro l’umanità.
[di Michele Manfrin]