martedì 3 Dicembre 2024

Una ricerca rivela come l’inquinamento farmaceutico marino influisce sulla psiche dei pesci

Da pesci che perdono la paura dei predatori e diventano meno attraenti per i potenziali compagni fino a trote “dipendenti” dalla metanfetamina e persino a popolazioni ittiche al collasso per colpa del principio attivo della pillola contraccettiva: l’inquinamento causato da farmaci e droghe è un fenomeno che non può più essere ignorato. L’allarme è stato lanciato sulla rivista scientifica Nature da un gruppo di scienziati del settore, i quali hanno avvisato che tali contaminazioni si verificano anche negli organismi che spesso finiscono sulle nostre tavole. Una buona strategia per combattere l’emergenza – spiegano i ricercatori – sarebbe impegnarsi per riformare la produzione dei farmaci, fornire maggiori informazioni riguardo alle potenziali ricadute sugli ecosistemi e preferire lo sviluppo di medicinali progettati per degradarsi più rapidamente dopo l’uso.

Dalla caffeina agli ansiolitici, agli antidepressivi e antipsicotici fino a particolari principi attivi come quello della pillola contraccettiva, troppe sostanze contenute all’interno dei farmaci stanno entrando negli ecosistemi, accompagnate perlopiù da droghe come cocaina e metanfetamina. È così che, come riportano diversi studi sottoposti a revisione paritaria e pubblicati in questi anni, alcune trote sono diventate “dipendenti”, altri organismi hanno perso la paura dei predatori a causa dell’assunzione di determinate sostanze contenute negli antidepressivi e alcune popolazioni ittiche hanno registrato il fenomeno dell’inversione del sesso – ovvero lo sviluppo di organi femminili nei maschi – portando ad enormi collassi demografici e ad estinzioni locali. Per questo motivo un team di ricercatori ha lanciato l’allarme riportato sulla rivista Nature e citato da The Guardian chiedendo di «progettare farmaci più ecologici». Michael Bertram, professore presso l’Università svedese di scienze agrarie e coautore, ha spiegato che il problema è aumentato negli ultimi decenni e che ora si tratta di una “questione globale per la biodiversità” che merita maggiore attenzione: «I principi attivi farmaceutici si trovano nei corsi d’acqua di tutto il mondo, compresi gli organismi che potremmo mangiare. Ci sono alcuni percorsi attraverso i quali queste sostanze chimiche entrano nell’ambiente. Se i farmaci rilasciati durante la produzione vengono trattati in modo inadeguato, questo è un modo. Un altro è durante l’uso. Quando un essere umano prende una pillola, non tutto il farmaco viene scomposto nel nostro corpo e quindi, attraverso i nostri escrementi, gli effluenti vengono rilasciati direttamente nell’ambiente».

Quindi – scrivono i ricercatori – c’è bisogno di progettare farmaci più ecologici che mantengano l’efficacia ma minimizzino l’impatto ambientale, in quanto la contaminazione degli ecosistemi data dai principi attivi sta diventando «sempre più persuasiva», causando cambiamenti significativi ed inaspettati nel comportamento e nell’anatomia di alcuni animali. «Viviamo in un mondo sempre più medicalizzato. I prodotti farmaceutici sono indispensabili nell’assistenza sanitaria moderna, avendo rivoluzionato la prevenzione e il trattamento delle malattie, e rimarranno cruciali anche in futuro», scrivono gli scienziati, aggiungendo però che il prezzo da pagare è notevole: «Gli scarichi nell’ambiente durante la produzione, l’uso e lo smaltimento dei farmaci stanno riversando miscele di ingredienti farmaceutici attivi, nonché di loro metaboliti, e di additivi, adiuvanti, eccipienti e prodotti di trasformazione». Di esempi, purtroppo, ce ne sono fin troppi e tra questi Bertram ha citato il caso del Diclofenac, ovvero un antinfiammatorio somministrato al bestiamo dell’Asia meridionale che ha causato una diminuzione di popolazione di avvoltoi in India di oltre il 97% tra il 1992 ed il 2007. Altri esempi includono casi di contaminazione dal principio attivo della pillola contraccettiva come quello registrato in un lago nell’Ontario in Canada, pesci che hanno registrato ansia dopo essere stati esposti a caffeina ed inquinamento da antibiotici e quelli riportati da un altro studio recente, il quale ha misurato ben 61 farmaci diversi provenienti da fiumi in oltre mille località dove nel 43,5% dei casi i livelli registrati superavano quelli considerati sicuri.

Gli autori hanno concluso suggerendo diverse strategie per contrastare il fenomeno: il ciclo di vita della produzione dei farmaci dovrebbe essere completamente riformato e farmacisti, medici, infermieri e veterinari dovrebbero essere informati e informare gli utilizzatori riguardo ai potenziali impatti ambientali. Inoltre, i medicinali dovrebbero essere progettati per degradarsi più facilmente dopo l’uso e il trattamento delle acque reflue dovrebbe essere ampliato per impedire che l’inquinamento di determinati principi attivi intacchi l’ecosistema. «I farmaci più ecologici riducono il potenziale di inquinamento durante l’intero ciclo. I farmaci devono essere progettati non solo per essere efficaci e sicuri, ma anche per avere un rischio potenziale ridotto per la fauna selvatica e la salute umana quando presenti nell’ambiente», ha concluso Gorka Orive, scienziata e professoressa di farmacia presso l’Università dei Paesi Baschi e coautrice del documento pubblicato su Nature.

[di Roberto Demaio]

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1 commento

  1. Fa sorridere il passaggio “farmacisti, medici, infermieri e veterinari dovrebbero essere informati e informare gli utilizzatori riguardo ai potenziali impatti ambientali”: già si trascurano gli effetti collaterali globali sull’organismo di chi li assume, figuriamoci se ci potrà essere informazione sui potenziali impatti ambientali…per fare cosa poi, per suggerire di fare i propri bisogni in Natura, limitando la concentrazione di quelle molecole nei corsi d’acqua? Poi sembra un postulato che i farmaci debbano necessariamente fare parte di uno stile di vita sano e rispettoso dell’ambiente, come che sia naturale cibarsi di carne da allevamenti intensivi. Senza parlare delle droghe o delle pillole contraccettive, che ancora nel 2024 qualcuno di ostina ad utilizzare nonostante le evidenze di tossicità e cancerogenicità.

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