Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istat, la produzione industriale italiana registra il 15° calo consecutivo su base tendenziale: ad aprile 2024, infatti, l’indice destagionalizzato della produzione è diminuito dell’1% rispetto a marzo e del 2,9% su base annua. Nella media del periodo febbraio-aprile, invece, si registra un calo del livello della produzione dell’1,3% rispetto ai tre mesi precedenti. Le flessioni tendenziali più ampie si registrano nelle industrie tessili, nei settori di abbigliamento e di pelli e accessori (-13,3%), nella fabbricazione di mezzi di trasporto (-9,3%) e nella fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-8,1%). I settori che registrano incrementi tendenziali maggiori, invece, sono la produzione di prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici (+4,4%), le industrie alimentari, bevande e tabacco (+2,1%) e la fabbricazione di computer e prodotti di elettronica (+1,4%). A risultare stabili, invece, sono i beni di consumo.
Il Codacons, l’associazione per i diritti dei consumatori, riferisce che l’industria italiana sta attraversando una «crisi nera»: il 15° calo consecutivo su base tendenziale della produzione, infatti, si traduce in una contrazione che investe tutti i settori, ma che – secondo il presidente del Codacons, Carlo Rienzi – è più marcata se si analizza l’andamento dei beni di consumo, che sono scesi ad aprile del -3,9% con un vero e proprio tonfo per quelli durevoli, in calo verticale del -8,5%. «Sull’industria italiana si fa ancora sentire l’onda lunga del caro-prezzi che ha imperversato negli ultimi due anni, e che ha avuto effetti negativi diretti sulla spesa e sui consumi delle famiglie. Per questo ribadiamo la necessità di intervenire in maniera più efficace sui prezzi, perché solo calmierando i listini sarà possibile tutelare la capacità di acquisto delle famiglie, sostenere i consumi e aiutare industria, commercio ed economia», ha affermato Rienzi. Da parte sua, invece, la banca Intesa San Paolo ha sottolineato in un report che «La produzione industriale italiana non cresce da quattro mesi e la variazione tendenziale è negativa da 15 mesi. Di conseguenza, il livello di produzione è ora -8,8% al di sotto del picco raggiunto ad aprile 2022. Il calo mensile è stato generalizzato […]».
A pesare sulla flessione dell’industria italiana vi sono vari fattori, tra cui i principali sono imputabili alle congiunture internazionali e alle scelte dei Paesi del blocco atlantico rispetto a queste ultime: il rallentamento economico dei Paesi europei è cominciato con la lunga e dispendiosa sostituzione del gas russo che ha impattato in primo luogo sulla Germania, già in recessione tecnica. Gli effetti del rallentamento della produzione economica tedesca non possono che avere effetti a catena sugli altri Stati orbitanti intorno all’industria teutonica, tra cui l’Italia: Berlino, infatti, è il primo partner commerciale di Roma e l’industria manifatturiera italiana è legata a doppio filo a quella tedesca. L’industria europea si è strutturata, infatti, secondo uno schema che vede la Germania (e in parte la Francia) direttamente sul mercato, e diversi altri Paesi nel ruolo di fornitori: in certi settori, tantissime aziende italiane, soprattutto al Nord, ricoprono questa posizione. «In generale, noi siamo per lo più un Paese di terzisti, non siamo direttamente sul mercato e quindi ci ritroviamo in una posizione di particolare debolezza: siamo in balia dell’andamento degli altri Paesi, soprattutto della Germania, ma non solo», ha affermato Giovanni Costa, professore emerito di Strategia d’impresa e Organizzazione aziendale all’Università di Padova. La stessa cosa vale per l’industria meccanica del Nord Italia, fortemente integrata nelle filiere produttive tedesche. A incidere sul rallentamento economico e in particolare sui consumi, c’è poi l’aumento dei tassi d’interesse messo in atto dalla BCE, che ha avuto l’effetto di ridurre la domanda interna, ma anche la frenata del settore edilizio, causata in buona parte dall’interruzione dei bonus edilizi che ha disincentivato gli investimenti.
Nonostante il forte calo industriale, l’Istat prevede una crescita del Pil quest’anno pari all’1% e all’1,1% nel 2025. Tuttavia, l’Istituto di statistica avverte che lo scenario resta incerto per il quadro internazionale su cui pesano le ben note tensioni geopolitiche. Tuttavia, il taglio dei tassi d’interesse a giugno da parte della BCE dovrebbe determinare una riduzione del deflatore di spesa per le famiglie (+1,6% dal +5,2% del 2023) a cui seguirà un moderato incremento nel 2025 (+2,0%), con una potenziale ripresa dei consumi.
[di Giorgia Audiello]