La multinazionale americana dell’elettronica Intel ha deciso di sospendere un mega progetto da 15 miliardi di dollari in Israele per la costruzione di un nuovo centro per la produzione di chip. Lo scorso dicembre, mentre il massacro israeliano su Gaza era già in corso, Intel aveva annunciato l’intenzione di ampliare i piani per un impianto di chip a Kiryat Gat, nel sud di Israele, attualmente in costruzione, aumentando l’investimento da 10 miliardi a 25 miliardi di dollari. Ma lunedì è arrivato improvviso l’annuncio della sospensione del progetto, senza nessuna motivazione ufficiale. L’azienda si è affrettata a specificare in un comunicato che «Israele continua ad essere uno dei nostri principali siti di produzione, ricerca e sviluppo a livello globale e rimaniamo pienamente impegnati nella regione». tuttavia va annotato come la decisione di sospendere l’investimento arrivi al culmine dell’azione di boicottaggio internazionale lanciato dal movimento BDS (Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni) proprio per sanzionare le aziende che supportano finanziariamente l’occupazione e i crimini israeliani in Palestina. Un boicottaggio che era stato lanciato ufficialmente anche contro la multinazionale dei microprocessori attraverso la campagna #BoycottIntel!.
Il gigante tecnologico statunitense Intel ha bloccato l’espansione di un importante progetto di fabbrica in Israele, a Kiryat Gat, noto come “Fab 28”, per il quale avrebbe investito altri 15 miliardi di dollari, in aggiunta ai 10 miliardi di dollari annunciati già nel dicembre scorso. Intel ha spiegato che «la gestione di progetti su larga scala, soprattutto nel nostro settore, spesso comporta l’adattamento a tempistiche mutevoli». La società statunitense ha poi precisato: «Le decisioni si basano sulle condizioni aziendali, sulle dinamiche di mercato e sulla gestione responsabile del capitale». Secondo il rapporto annuale di Intel, Israele è il terzo paese operativo di per dimensione delle attività, dopo Stati Uniti e l’Irlanda. Il colosso dei semiconduttori è presente in Israele da cinquant’anni e dal 2010 Intel è diventata il principale datore di lavoro nel settore tecnologico israeliano.
Il movimento BDS aveva lanciato la campagna #BoycottIntel! nel marzo scorso, invitando i sostenitori a boicottare il gigante tecnologico per i suoi piani di investimento in Israele, in quanto ritenuto complice del genocidio a in corso a Gaza. La campagna ha anche cercato di fare pressione azionarie su Intel e sulle principali istituzioni per indurle a escludere Intel dalle loro gare d’appalto. «Intel ha aiutato e favorito l’apartheid di Israele per decenni, e ora sta alimentando direttamente il suo forziere di guerra mentre continua il suo indicibile genocidio contro 2,3 milioni di palestinesi nella Striscia di Gaza occupata e assediata. Intel è complice del genocidio di Israele e del suo sistema di apartheid. Il moto di Intel sembra essere: Make Apartheid Great Again!», ha detto un portavoce del BDS al momento del lancio della campagna di pressione sull’azienda statunitense.
L’ultima mossa di Intel segue quella del gigante tecnologico Samsung Next, ramo dell’innovazione della società coreana Samsung, che ad aprile ha annunciato di aver chiuso le sue operazioni in Israele e di aver spostato le sue attività all’estero. «A parte la responsabilità etica e il diritto internazionale, insistendo nell’investire decine di miliardi di dollari in Israele, una zona di guerra, a pochi chilometri di distanza da Gaza occupata. Intel sta mettendo l’impegno ideologico fanatico dei suoi leader nei confronti di Israele rispetto alla responsabilità finanziaria e fiduciaria. Perché altrimenti Intel dovrebbe congelare i piani per espandere la sua produzione di chip in Ohio mentre getta quei miliardi in Israele, uno Stato che sta commettendo un genocidio?», ha detto il portavoce di BDS.
Sebbene non vi possano essere certezze, non avendo l’azienda comunicato alcunché, se non appunto che intende interrompere la costruzione del nuovo impianto, le tempistiche della decisione presa da Intel, sulla scia di altre defezioni proprio nel settore tecnologico, come quella di Samsung, permettono quindi di ipotizzare che la campagna di boicottaggio internazionale stia producendo risultati, costringendo diverse multinazionali a mettere in discussione l’opportunità di generare profitti sul sangue del popolo palestinese. Un movimento dal basso che nelle scorse settimane ha colpito pesantemente anche la corporation degli hamburgers McDonald’s, che proprio a causa del boicottaggio in supporto alla Palestina ha subito perdite in borsa per sette miliardi di dollari.
[di Michele Manfrin]
La gestione responsabile del capitale. Esatto, la valutazione del rischio è cambiata con le proteste interne, la credibilità dello status quo vacilla, l’incertezza detta lo stop, o meglio, la pausa.
Bene aumentiamo ulteriormente i boicottaggi che sono una grande forma di lotta in comune.