L’eco-design non è cosa nuova. Se ne parlava già negli anni settanta, dove il ruolo del designer e della progettazione conteneva già al suo interno tutti i principi della sostenibilità ambientale e sociale. Scriveva così Victor Papanek nel suo Design for the Real World: «Il designer deve essere consapevole della sua responsabilità sociale e morale. Perché il design è lo strumento più potente che l’uomo abbia mai avuto con cui plasmare i suoi prodotti, i suoi ambienti e, per estensione, se stesso. Il designer deve analizzare il passato oltre che le conseguenze future prevedibili dei suoi atti». Negli anni questi sani insegnamenti sono stati opportunamente dimenticati, fagocitati da un sistema produttivo sempre più rapido, dominato da scarsa qualità e orientato alla quantità. Alle conseguenze future poi, non ci hanno pensato in molti. Ecco perché, per riportare tutti sulla retta via, è arrivato l’ennesimo regolamento (Ecodesign for Sustainable Product Regulation, ESPR) che sostituisce la direttiva 2009/125/CE sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti. Se la normativa prima era limitata ai prodotti connessi all’energia, adesso la portata si fa più ampia, con lo scopo di ottimizzare gli aspetti dedicati alla circolarità, prestazioni e sostenibilità ambientale di un’ampia gamma di prodotti.
Il regolamento stabilisce alcune norme per la progettazione eco-compatibile, andando a contrastare quelle pratiche di obsolescenza programmata, appositamente introdotte dalle aziende per consentire una rapida rotazione dei prodotti (che vengono progettati per durare poco ed essere sostituiti interamente, grazie anche alla scarsa reperibilità di pezzi di ricambio o al costo talmente alto che comprarli ex-novo risulta più conveniente che farli aggiustare). Durabilità, riparabilità, efficienza energetica e possibilità di riciclo. Questi i punti chiave, oltre a ribadire il discorso sul passaporto digitale come strumento di tracciabilità ed il divieto di distruggere le merci invendute.
I prodotti devono essere così ri-pensati per durare a lungo, essere riutilizzabili, aggiornabili e riparabili, con possibilità di manutenzione e ristrutturazione; particolare attenzione anche al “come” vengono prodotti, privilegiando efficienza energetica, idrica e di tutte le risorse impiegate nei processi, oltre a monitorare le sostanze potenzialmente pericolose, limitandone l’uso. Il fine vita, con la possibilità di riciclo ed il recupero del materiale, sono altri aspetti toccati dal regolamento, compreso il calcolo dell’impatto ambientale, l’impronta di carbonio e la produzione (prevista) di rifiuti. Una visione a tutto tondo che idealmente si applica a tutti prodotti immessi sul mercato dell’Unione Europea, anche se sono stati realizzati all’estero. Le prime categorie merceologiche ad essere messe sotto torchio sono quelle di ferro e acciaio, alluminio, prodotti tessili (abbigliamento e calzature), mobili, pneumatici, detersivi, vernici, lubrificanti, prodotti chimici, prodotti connessi all’energia e prodotti delle tecnologie dell’informazione, della comunicazione e dispositivi elettronici.
Ma come funzionerà in concreto? Come in ogni regolamento europeo che si rispetti, l’immediatezza non è contemplata. Per entrare in vigore si dovranno aspettare i 20 giorni tecnici a seguito della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale europea, ma per essere attuato concretamente il cammino è ancora lungo. Si tratta di un regolamento “quadro”, che richiede ulteriori atti delegati per ciascun gruppo di prodotti e, una volta definiti i requisiti specifici per l’eco-progettazione, i Paesi avranno ancora un anno e mezzo per potersi conformare. In pratica ci sono ancora un paio di anni per allinearsi a norme non ancora ben definite.
Il piano di lavoro, infatti, non è ancora attivo (ci sono nove mesi di tempo dalla pubblicazione dell’ESPR), ma prevede di procedere per passi successivi, andando a dare la priorità a quei gruppi di prodotti che, grazie all’eco-progettazione, permetteranno di raggiungere più rapidamente gli obiettivi UE su clima e ambiente. I requisiti saranno elaborati dal Forum sulla progettazione ecocompatibile, un consesso composto da esperti identificati dagli stati Membri, tra cui appartenenti all’industria, PMI, sindacati, commercianti, rivenditori e le organizzazioni ambientaliste e dei consumatori. Questo per capire se e come potranno essere applicate concretamente le regole degli atti delegati. Come spesso succede, la teoria c’è, ma la pratica risulta sempre più macchinosa e di difficile applicazione.
[di Marina Savarese]