domenica 30 Giugno 2024

In Italia i braccianti fantasma sono oltre 230mila

In seguito alla morte del lavoratore indiano Satnam Singh, che, dopo aver perso un braccio a causa di un incidente sul lavoro nelle campagne di Latina, pochi giorni fa è stato lasciato dai suoi datori di lavoro agonizzante in strada davanti alla propria abitazione, il governo ha promesso «battaglia» contro il caporalato. Il solito refrain post-tragedia che cozza, peraltro, con quanto affermato in conferenza stampa dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, il quale ha dichiarato che il decesso di Singh sarebbe «colpa di un criminale» e non del «sistema delle imprese agricole». I numeri, però, offrono uno spaccato decisamente più problematico ed emergenziale: come fotografa, sulla base di dati ISTAT, l’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil, le vittime di sfruttamento del lavoro nelle campagne italiane, da Nord a Sud, sarebbero infatti oltre 230mila. Nel frattempo, ieri il centro-sinistra – con la presenza, tra gli altri, della leader del PD Elly Schlein – è sceso in piazza a Latina sotto lo slogan “stop al caporalato”. Eppure, il sistema dello sfruttamento del lavoro nei campi si mostra ormai collaudato e ben visibile da decenni, anche quando al timone del Paese c’erano le forze progressiste. Che, esattamente come i loro avversari ora al governo, si sono dimostrate incapaci di trovare strumenti efficaci per combatterlo.

I numeri

I dati sul fenomeno del caporalato, in Italia, sono emblematici di una criticità endemica che riguarda pressoché tutti i quadranti dello Stivale. Come si legge all’interno del Quinto Rapporto del Laboratorio sullo sfruttamento lavorativo e la protezione delle sue vittime realizzato dal Centro di ricerca interuniversitario l’Altro Diritto, in collaborazione con l’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, sono ben 834 le inchieste aperte in Italia dalla magistratura sullo sfruttamento dei lavoratori dopo l’approvazione della “legge anticaporalato” del 2016. A lavorarci sono 66 procure, circa la metà del totale. Nello specifico, rispetto a quanto attestava il precedente rapporto aggiornato al 2021, sono stati individuati 376 nuovi casi di sfruttamento, di cui 249 relativi al solo biennio 2022-2023. Nel complesso, i dati indicano come lo sfruttamento lavorativo sia distribuito sull’intero territorio nazionale, toccando tutti i settori economici e diffondendosi nella maggior parte dei comparti produttivi. Almeno 432 delle notizie di sfruttamento riguardano il settore primario, 197 il terziario e 155 il secondario.

A confermarsi come il comparto produttivo con il numero più elevato di casi di sfruttamento è l’agricoltura. 252 inchieste inerenti il settore primario – il 52% – si collocano al Sud, mentre se ne contano 93 al Centro e 87 al Nord. L’alta incidenza delle vicende di sfruttamento agricolo nel Meridione, evidenzia il rapporto, è “sicuramente coerente con il contesto economico-produttivo meridionale, dove, secondo le ultime rilevazioni ISTAT, si concentra il maggior numero di aziende agricole del Paese”. Al Nord, il maggior numero di casi è presente in Lombardia, con picchi nella provincia di Mantova, seguita da Veneto e Piemonte. Nel centro Italia, a primeggiare nella triste classifica è il Lazio, dove oltre la metà dei casi di sfruttamento del lavoro agricolo riguarda i territori della provincia di Latina. Seguono Toscana ed Emilia Romagna. Nel Mezzogiorno, invece, a contare la quantità più alta di casi di sfruttamento è la regione Puglia (due su tre solo in provincia di Foggia). Ci sono poi Sicilia e Calabria. Nel report si legge che, sulla base dell’analisi dei dati, “al Meridione si registra il numero più elevato di procedimenti in cui sono impiegati richiedenti asilo (con un totale di 25 su 65 procedimenti), ma altresì spicca l’alto impiego di manodopera agricola italiana in condizioni di sfruttamento”. Infatti, “su 32 casi complessivamente individuati nel settore agricolo che contano tra le vittime anche o solo cittadini italiani, 23 casi si collocano al Sud, 6 al Centro e solo 3 al Nord”. Un dato che mostra come la manodopera autoctona, seppur minoritaria, non sia affatto immune al fenomeno dello sfruttamento.

Le vittime

Focalizzando l’attenzione sulle vittime, è possibile evidenziare il peso del fenomeno della “profughizzazione” del lavoro in agricoltura nel Nord Italia. Qui, infatti, si registrano in totale 20 su 65 procedimenti per sfruttamento ai danni di richiedenti asilo in agricoltura, i quali vengono molto spesso “reclutati dai caporali direttamente nei centri di accoglienza (C.A.S.) − con, talvolta, la complicità degli stessi gestori delle strutture − e impiegati come braccianti nelle aziende vitivinicole del territorio”. Il report sottolinea inoltre come, nelle medesime aree, si riscontri “la tendenza di molti imprenditori stranieri ad approfittarsi dello stato di bisogno di altri lavoratori stranieri (spesso connazionali), facendo leva sulla rete migratoria di un determinato gruppo etnico sul territorio, per reperire manodopera a buon mercato, e/o sulle precarie condizioni economiche dei richiedenti asilo”. Insomma, un cane che si morde la coda.

Nel report si puntualizza inoltre che i provvedimenti in cui si riscontra una denuncia dei lavoratori “si concentrano in territori ove sono presenti sistemi di collaborazione tra le Procure ed altri attori o enti del territorio che, molto spesso, hanno intercettato situazioni problematiche e veicolato le segnalazioni dei lavoratori”. Infatti, “l’accompagnamento delle vittime da parte degli attori sociali” sembra costituire “un elemento decisivo nella promozione delle denunce”, dal momento che offre ai lavoratori “una prospettiva concreta di protezione e di inserimento socio-lavorativo che, come sottolineato, rappresenta la molla capace a spingerli a esporsi e denunciare”. Nei luoghi più poveri e soggetti all’influenza della criminalità – spesso organizzata -, dove questo network manca, denunciare è estremamente più difficile. L’Osservatorio Placido Rizzotto evidenzia inoltre che anche la componente femminile è ampiamente coinvolta dal fenomeno. Si stima infatti che siano circa 55mila le donne che lavorano in condizioni di irregolarità, essendo soggette a “un triplice sfruttamento: lavorativo, per le condizioni in cui lavorano; retributivo, perché anche tra “sfruttati” la paga delle donne è inferiore a quella dell’uomo; e, infine, anche sessuale e fisico”.

Il sistema

Rimanendo nell’area della provincia di Latina, dove è avvenuta la morte del bracciante indiano, i carabinieri hanno recentemente tracciato uno spaccato inquietante sul fenomeno del caporalato in un dossier inviato alla Procura, citato dal Sole 24 Ore. Nel documento si afferma come “lo sfruttamento dei lavoratori punjabi dalle aree di origine all’Agro Pontino, organizzato mediante catene migratorie”, sia “capace di offrire al momento del reclutamento un intero pacchetto di servizi comprensivo di costi di trasferimento, accoglienza all’arrivo, con alloggio incluso, inserimento al lavoro o perlopiù nel settore agroalimentare”. Tale meccanismo, secondo i militari, andrebbe avanti da almeno 30 anni senza soluzione di continuità. Il primo step consiste nella richiesta di denaro degli intermediari ai lavoratori che vogliono raggiungere l’Italia, a cui viene chiesto di pagare fino a 20 mila euro a persona, costringendo spesso intere famiglie a indebitarsi a vita e a richiudersi nell’omertà. I lavoratori verrebbero chiamati in Italia attraverso la creazione di società fantasma, sfruttando il clic day del decreto flussi. A reclutare in nero nella rete delle aziende agricole i lavoratori, secondo i Carabinieri, sarebbero anche gli uffici dello Stato. Del sistema, ormai collaudato, farebbero infatti parte anche “impiegati o funzionari corrotti o corruttibili appartenenti alla Pubblica amministrazione per la fornitura di atti amministrativi su richiesta di imprenditori agricoli locali disonesti”.

[di Stefano Baudino]

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4 Commenti

  1. La bruttissima verità è che chi più lucra sui braccianti siete voi attraverso le imposte Statali sui più poveri, se ci fossero dei Ticket di mezzo Euro/ora da pagare per ogni bracciante contenente l’assicurazione, uniti ad un controllo Statale non come adesso contro i piccoli produttori di prodotti agricoli, ma a favore obbligando a pagare alla fonte almeno la metà del prezzo finale del Supermercato, l’Italia tornerebbe un paese civile.

  2. Ognuno di noi può cercare di fare una scelta più consapevole nello scegliere prodotti più controllati fin dalla fonte, in modo tale da alimentare un circuito di produzione e distribuzione più sano che eviti questi meccanismi dannosi.

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