martedì 5 Novembre 2024

I retroscena sulla liberazione di Assange e l’accordo con gli USA

Julian Assange è stato liberato su cauzione dalla prigione londinese di Belmarsh ed è salito su un aviogetto all’aeroporto di Stansted a nord di Londra in direzione del suo paese natio Australia, con una tappa di due giorni (oggi e domani mercoledì) nelle Isole Marianne Settentrionali. Lì dovrà presentarsi davanti ad una corte statunitense, dichiararsi colpevole del reato di uso improprio di documenti ufficiali, ricevere una condanna a cinque anni, ovvero quelli già trascorsi a Belmarsh, ed uscire dal tribunale come uomo libero. È previsto che raggiungerà poi l’Australia mercoledì sera. Le Isole Marianne Settentrionali costituiscono, dal 1986, un “territorio non incorporato” degli USA dopo essere stato un territorio fiduciario strappato ai giapponesi nel 1944  durante la seconda guerra mondiale.  La corte marianna, che ha sede nella capitale Saipan, è la giurisdizione statunitense più lontana dalla terraferma USA e la più vicina all’Australia. Secondo Sarah Galashan, esperta legale dell’emittente canadese CBC News, il patteggiamento consisterà nell’accettazione di un documento già concordato con gli avvocati di Julian e depositato in tribunale insieme ad una lettera rivolta al giudice di Saipan. Il documento descrive in dettaglio l’asserito reato “commesso” da Assange insieme al suo informatore (whistleblower) Chelsea Manning, accettandolo Julian dovrà confessare in cambio di una condanna a 62 mesi di reclusione ma con il riconoscimento del tempo da lui già passato in carcere, con il risultato che la pena risulterà già espiata.  

Presumibilmente verranno annullate le udienze del 9 e del 10 luglio davanti all’Alta Corte del Regno Unito, che doveva decidere sulla legittimità o meno della richiesta di estradizione di Assange negli Stati Uniti.

Lo scorso agosto, l’ambasciatrice degli Stati Uniti in Australia, Caroline Kennedy (figlia del Presidente J.F. Kennedy), aveva già lasciato intendere l’esistenza di trattative in corso per un non meglio specificato patteggiamento. Tuttavia, la famiglia di Assange – la moglie Stella Moris e il padre John Shipton – avevano sempre negato decisamente l’esistenza di qualsiasi trattativa.  

La questione è infatti delicata: riconoscendosi colpevole di una serie di reati, anche se minori, Assange confermerà la tesi del Dipartimento di Giustizia statunitense secondo la quale è reato divulgare informazioni segrete, per quanto ciò sia nell’interesse generale a difesa del diritto dei cittadini di sapere gli eventuali misfatti dei loro governanti che questi cercano di celare ponendoli sotto Segreto di Stato. Si tratta di un precedente estremamente pericoloso per la sopravvivenza del giornalismo investigativo ed è in palese contrasto con una sentenza del 1971 della Corte Suprema statunitense che dichiarava perfettamente legale rivelare materiale segretato purché sia stato fatto, appunto, nell’interesse generale.  

Già due anni fa, chi scrive, aveva ipotizzato l’esistenza di trattative tra Assange e le autorità britanniche e statunitensi, interpretando la misteriosa apparizione di una lettera scritta da Julian al Re Carlo in occasione della sua coronazione. Ora tutto è chiaro: quella lettera era, infatti, un segnale lanciato da Julian all’inizio delle trattative, per dire che non avrebbe scambiato la propria libertà per una promessa di silenzio una volta liberato e un impegno a non riattivare il suo sito WikiLeaks. Oggi, invece, dopo due anni di negoziati, sembra che Julian sia arrivato ad un compromesso in grado di soddisfare sia i suoi principi, sia le esigenze della giustizia oltre atlantico. Secondo quanto trapela, almeno fino ad ora, nell’accordo non vi sarebbe nessun impegno da parte di Assange in cui assicura di non ricominciare a fare attività giornalistica. 

The Intercept, importante giornale di giornalismo investigativo, ha scritto oggi che «i difensori della libertà di stampa hanno accolto con favore la fine della saga di Assange, ma sono preoccupati per i risvolti». Il giornale cita poi Jameel Jaffer, direttore esecutivo del Knight First Amendment Institute della Columbia University: «Questo accordo prevede che Assange accetta la pena di cinque anni di carcere per attività che i giornalisti svolgono quotidianamente» e questo potrebbe risultare un pericoloso precedente.

Il condizionale è d’obbligo, però. Infatti, conosciamo i documenti in base ai quali il giudice di Saipan dovrà rilasciare Assange entro domani; ma non sappiamo le promesse fatte e gli impegni presi a monte della stipula del patteggiamento. Questo lo sapremo solo dai fatti, nei mesi a venire. Quello che conta per ora è che entro 48 ore Julian dovrebbe poter abbracciare non solo la moglie Stella, ma anche i figli Gabriel (anni 6) e Max (anni 4), i quali non hanno mai visto il loro padre in libertà. Quanti festeggiamenti gioiosi ci saranno poi in tutto il continente australiano dove la popolarità di Julian non è continuata a crescere durante la prigionia, raggiungendo l’80% della popolazione. 

Da oltre quindici anni Julian, che compirà 53 anni il prossimo 3 luglio, è stato braccato, confinato, imprigionato soltanto perché ha osato dire la verità in faccia al potere, quello che dovrebbe fare ogni giornalista. Ora il cofondatore di WikiLeaks potrà tirare un sospiro di sollievo e ripensare il suo futuro. Chissà quali sorprese ci riserverà.

[di Patrick Boylan – autore del libro Free Assange e co-fondatore del gruppo Free Assange Italia]

 

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2 Commenti

  1. Per l’appunto, la faccenda mi lascia piuttosto perplesso. Onore a Julian e buon ritorno a casa. D’altra parte la giustizia ancora una volta si rivela non veramente giusta, dato che alla fine agli atti rimarrà che lui si è dovuto dichiarare colpevole.

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