Anche nei reparti ospedalieri in cui sono presenti pazienti fragili non è più obbligatorio indossare le mascherine chirurgiche: è quanto emerge dalla circolare del Ministero della Salute pubblicata il 1° luglio che mette la parola fine anche all’ultima misura restrittiva introdotta nell’era pandemica. Nello specifico, si passa sul punto dall’obbligo alla raccomandazione, a discrezione dei singoli direttori sanitari, chiamati a «valutare le opportunità di disporre l’uso dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie nei diversi contesti della propria struttura», considerando la «diffusione dei virus a trasmissione aerea», le «caratteristiche degli ambienti (ad esempio della ventilazione)» e la «tipologia di pazienti, lavoratori o visitatori che li frequentano». Il tutto «in funzione del livello di rischio di infezione e/o trasmissione» e «del potenziale di sviluppo di malattia grave in caso di esposizione”. I direttori sanitari dovranno inoltre potenziare «le misure igieniche di precauzione» con una «adeguata informazione» ai pazienti, al personale sanitario e «a tutti coloro che, a qualsiasi titolo, sono presenti nelle richiamate strutture».
Si tratta di una circolare pubblicata «tenendo conto» dell’attuale «andamento clinico-epidemiologico dell’infezione da SARS-CoV-2 e delle sindromi simil-influenzali, la disponibilità di vaccini contro le principali infezioni respiratorie acute virali, le aumentate capacità diagnostiche e le evidenze scientifiche sulla efficacia dei dispositivi di protezione individuale per ridurre la trasmissione virale», secondo quanto riportato dal documento. A proposito di efficacia dei dispositivi di protezione, si tratta di una questione sotto i riflettori della comunità scientifica da mesi: già più di un anno fa L’Indipendente riportava che secondo uno degli studi comparati più ampi e rigorosi pubblicato per Cochrane – un’organizzazione no profit britannica considerata il punto di riferimento per eccellenza della revisione dei dati sanitari e degli studi scientifici – non vi sarebbe alcuna evidenza scientifica sul fatto che indossare le mascherine riduca la trasmissione delle malattie virali. «Non ci sono prove che [le mascherine] facciano alcuna differenza. Punto», aveva dichiarato l’autore principale dello studio. Altre ricerche, poi, confermerebbero che persino le regole imposte ai bambini sono di dubbia solidità scientifica: una revisione sistematica sottoposta a revisione paritaria e pubblicata sul British Medical Journal ha analizzato oltre 22 studi da una selezione di 600 concludendo che solo 6 sembravano suggerire una protezione ma con un alto tasso di rischio di bias, concludendo che “l’efficacia dell’obbligo di indossare mascherine nei bambini non è ancora stata dimostrata con prove di alta qualità”.
Infine, risulta impossibile ignorare il fatto che il documento arrivi in seguito alle ammissioni di Fauci fatte proprio il mese scorso: l’immunologo ha infatti confermato che le misure che imponevano il distanziamento e l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale non erano supportate da alcun criterio scientifico davanti alla sottocommissione sulla pandemia da coronavirus della Camera statunitense. Fauci aveva inoltre detto ai legislatori repubblicani che la regola del distanziamento sociale di un metro e mezzo era «apparsa» senza che si ricordasse come, aggiungendo: «Non ricordo. In un certo senso è apparso». Inoltre, aveva anche ammesso di «non essere a conoscenza di studi» che supportassero il distanziamento sociale, sottolineando che tali studi «sarebbero molto difficili» da compiere con efficacia.
[di Roberto Demaio]