sabato 6 Luglio 2024

Le direzioni della storia

«La nostra epoca sarà segnata dal ‘fenomeno rete’. Come ogni fenomeno morfologico profondo, a carattere universale, il fenomeno rete appartiene non soltanto alla scienza ma anche alla vita sociale. Ciascuno di noi si sposta in reti, infatti ogni rete corrisponde a un certo tipo di comunicazione, di frequentazione, di associazione simbolica». Così iniziava l’articolo Rete scritto da Pierre Rosenstiehl per l’Enciclopedia Einaudi (1980, vol. XI, p. 1027).

Se circa cinquant’anni fa avevamo la percezione, soprattutto grazie all’informatica, di un orizzonte totalmente nuovo che avrebbe esteso all’uso dell’ambiente naturale, alla formazione di prodotti, alla progettazione e al funzionamento delle macchine e delle relazioni umane,  il classico sistema delle reti elettriche, potenziandolo in maniera inimmaginabile, e nascondevamo provvisoriamente tutto questo sotto il nome ‘comunicazione’, ora ci siamo resi conto che le reti di trasporto delle merci, dei messaggi e delle persone non soltanto rispondono a quest’unico criterio ma hanno reso quasi impossibile pensare a qualcosa di semplicemente lineare, che sfugga alla logica dei grafi e degli algoritmi.

Consideriamo ad esempio un temporale alluvionale e certamente pensiamo che le cause non siano soltanto metereologiche, limitate al luogo in cui si è manifestato il fenomeno, dopo una serie di variazioni lungo un fronte, ma che tutto questo dipenda da qualcos’altro di più remoto, da una rete dunque di cause magari preordinate che hanno generato, chissà dove, il tutto. Questa non è null’altro che una esasperazione, quanto fondata è difficile dire, del fenomeno rete, cioè della interdipendenza tendenzialmente planetaria a cui ormai siamo abituati a pensare qualsiasi evento. 

A un altro estremo, poniamo nella indagine psicodinamica, si è porti a credere che la felicità dell’individuo non dipenda unicamente dalle sue condizioni oggettive, dalle sue scelte o dall’ambiente in cui si trova a vivere o che ne ha determinato crescita e istruzione, ma che esistano altre cause, una volta si sarebbe detto sociali, culturali ecc., che lo hanno condizionato e portato a essere quello che è. Non è determinismo ma rete, non ricerca delle cause ma posizionamento di qualsiasi realtà in un sistema di interdipendenze. Difficile uscirne. Difficile progettare o gestire alcunché se non lo pensiamo entro un reticolo di collegamenti, tant’è vero che qualsiasi scelta economica, tecnologica, personale è subordinata ai riflessi che produce, alle ramificazioni in cui è immersa; come ad esempio mostra il funzionamento dei legami virtuali e dell’afflusso di informazione nella rete dei dispositivi mobili di cui facciamo continuamento uso.

Nello  stesso volume dell’ Enciclopedia, Jurij M. Lotman, poco più in là, dichiarava che «come sempre nell’arte, la lotta è la forma della vita e una vittoria assoluta è la fine di una data cultura»(p. 1065, nell’articolo Retorica). Il che ci porta a pensare che l’inventiva artistica sia rimasta tra le ultime spiagge, apparentemente sottratta al controllo e al funzionamento dei sistemi. Certamente, aggiungerei,  la lettura di una poesia, nonostante tutto il reticolo di associazioni, parole e pensieri che mette in moto, è strutturalmente differente dalla lettura di una mappa stradale o geografica ricavata da Google. Genera passaggi di senso che non sono completamente prevedibili e orientabili, come d’altronde avviene in ogni manifestazione artistica.

Il processo globale che si manifesta nel nuovo orizzonte è il frutto di una particolare idea di progresso declinata esclusivamente sotto il profilo tecnologico, del tutto estranea dunque alla visione secondo la quale la storia è destinata a corsi e ricorsi, oppure ha un destino inevitabile di impoverimento rispetto a una remota  età dell’oro. L’idea originaria di progresso in quanto superamento di un passato storico ingiusto e negativo, l’affermazione di nuove verità non imposte, le scoperte, invenzioni e acquisizioni di conoscenze culturali e intellettuali atte a governare il mondo in base a una incessante evoluzione storica riportata alle cause reali effettive, avevano nei secoli passati perfino portato a credere che «la grande opera sarà compiuta dalla scienza, non dalla democrazia» (E. Renan., 1876). Dopo la seconda guerra mondiale, finalmente la grande novità, nella prospettiva del progresso, fu il risveglio del Terzo Mondo, sicché abbiamo ormai acquisito l’idea che non si dia sviluppo senza trasformazione di rapporti sociali: «poiché non v’è progresso che non sia anche morale, il compito principale che si presenta oggi… è la lotta per il progresso dei diritti dell’uomo» (scrive Jacques Le Goff nell’articolo Progresso/reazione, vol. XI, p. 226).

L’affermazione riecheggia quanto aveva affermato Norbert Wiener, il fondatore della cibernetica, nel 1950, in un suo intervento su Progresso ed entropia, (in Introduzione alla cibernetica, trad.it. Boringhieri 1966, pp.34-73), dove iniziò sostenendo che uno dei modi di valutazione dei mutamenti che avvengono nel mondo  ha carattere entropico, essendo connesso alla meccanica statistica per cui la tendenza del mondo «appare nell’insieme declinante… Nell’opinione dell’uomo della strada il periodo moderno è caratterizzato da ciò che egli considera come la prospera rapidità del progresso. Non sarebbe errato affermare che il periodo moderno è l’età dello sfruttamento conseguente e illimitato: dello sfruttamento delle risorse naturali, dello sfruttamento dei cosiddetti popoli primitivi assoggettati, e infine dello sfruttamento sistematico del cittadino». 

E più avanti: «Dobbiamo trovare un meccanismo grazie al quale un’invenzione di interesse pubblico possa essere effettivamente sfruttata nell’interesse pubblico… Se l’uomo deve continuare ad esistere, non deve più essere considerato meno importante degli affari». Con la stessa forza Wiener concluderà il suo libro sostenendo che chi addosserà il problema della propria responsabilità a una macchina costruita per indicare decisioni (sia che questa possa apprendere oppure no) affiderà la propria responsabilità al  vento per vedersela tornare indietro fra i turbini della tempesta (p. 228). La stessa idea di progresso rimane, in ultima analisi, contesa giustamente fra diritti e responsabilità.

[di Gian Paolo Caprettini]

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