domenica 17 Novembre 2024

Elezioni in Francia: vince il Fronte Popolare, ma non c’è nessuna maggioranza

Dopo una rocambolesca seconda tornata elettorale dall’affluenza più alta del ventunesimo secolo, le elezioni legislative in Francia sono finalmente arrivate al termine. Il risultato finale risulta a tratti inaspettato: ha vinto la sinistra del Nuovo Fronte Popolare, guidata da La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon. Eppure, al di là delle sorprese, le vere domande sorgono guardando al futuro. Di fronte a una nuova Assemblea Nazionale divisa in tre blocchi, pare infatti particolarmente difficile capire a partire da dove si potrà formare un nuovo governo. La strategia di contenimento del lepeniano Rassemblement National attuata dal cosiddetto “fronte repubblicano” ha funzionato, e il ritiro dei candidati dai triangolari si è rivelato vincente, ma ha lasciato il Parlamento senza una autentica possibilità di formare una maggioranza: la sinistra è intenzionata a governare, ma pare per ora coesa nel rifiutare coalizioni di manica larga, mentre dall’altra parte il centro macroniano ne è uscito troppo ridimensionato per raggiungere una maggioranza. Davanti a questo scenario le opzioni sul tavolo delineano un futuro tanto inedito quanto incerto nella Quinta Repubblica francese, e non è chiaro chi a conti fatti siano i veri vincitori e chi i vinti.

Ieri, in occasione del secondo turno delle elezioni legislative, si è presentato alle urne circa il 66% degli aventi diritto, percentuale che, come quella del primo turno di domenica scorsa, risulta la più alta del nuovo millennio. Nonostante il podio delle coalizioni per numero di seggi sia ormai certo, la composizione precisa della nuova Assemblea Nazionale risulta ancora poco chiara: la sinistra del Nuovo Fronte popolare è prima con circa 182 parlamentari, il centro macroniano secondo con circa 150 e la destra di Le Pen terza con 143; seguono i repubblicani neogollisti con una quarantina di seggi. Di fronte a questa inedita divisione parlamentare è difficile tirare una linea e fare un bilancio di chi, posti in Parlamento esclusi, abbia davvero guadagnato cosa: Mélenchon ha certamente vinto, ma non sembra avere prospettive né di governo né politiche; nonostante la sinistra paia infatti ancora coesa, si deve vedere se reggerà il colpo e se qualche partito – primi fra tutti i socialisti – non cederà alla tentazione di separarsi dalla coalizione per governare con il centro di Macron. Lo stesso Macron ha perso ed è finito particolarmente ridimensionato, ma risulta molto meno sconfitto di quanto non lo dessero a inizio elezioni e dopo il primo turno. Nell’eventualità di un esecutivo centrista, inoltre, finirebbe per governare, forse addirittura con più seggi degli altri. Paradossalmente, pur senza la possibilità di governare, a risultare propagandisticamente vincitrice parrebbe la destra radicale, che ora si potrà fregiare di uno storico risultato, ottenuto in seguito a un epocale tutti contro uno, come dichiarato dallo stesso braccio destro di Le Pen e candidato premier Jordan Bardella.

Questa variegata nuova composizione parlamentare risulta senza precedenti nella storia della Quinta Repubblica francese e in tanti si stanno chiedendo come il Paese possa uscire dall’impasse politico che pare prospettarglisi davanti: indire nuove elezioni non è infatti una opzione, perché secondo la Costituzione, l’Assemblea si può sciogliere una sola volta all’anno e almeno un anno dopo l’ultimo scioglimento, che significa che salvo inaspettati stravolgimenti giudiziari la Francia è destinata a tenere questo Parlamento fino a luglio 2025. Gli scenari per formare un esecutivo, però, risultano pochi e di prospettiva ridotta. A ora le opzioni che sembrano essere sul tavolo parrebbero sostanzialmente tre: la prima è quella di formare un esecutivo di minoranza, che sarebbe con ogni probabilità a guida del Nuovo Fronte Popolare, essendo esso uscito vincitore a livello di seggi; la seconda, quella di istituire un governo tecnico privo di colori politici che traghetti il Paese fino a data da destinarsi, quando le forze saranno distribuite in maniera più netta per formare un esecutivo politico; la terza è quella di formare un governo di unità nazionale, nonostante la Francia sia priva di una figura che possa riunire la maggior parte delle forze e metterle d’accordo. Similmente a quest’ultima opzione c’è anche quella di riunire una grande forza di centro, che escluda da una parte l’estrema destra di Le Pen e dall’altra l’estrema sinistra di Mélenchon. A ora, stando alle dichiarazioni dei politici, pare impossibile capire quale delle tre opzioni sia la più praticabile: i macroniani sono solidi nel rimarcare che non vogliono avere nulla a che fare né con Le Pen né con Mélenchon, ma dall’altra parte lo steso Mélenchon si dice intenzionato a governare e sostiene che Macron debba «inchinarsi ai risultati»; anche il suo alleato socialista Olivier Faure, che tra gli esponenti di sinistra è sulla carta il più papabile alleato di Macron, sembra volere tenere la linea della coalizione per non «tradire il voto dei francesi».

[di Dario Lucisano]

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8 Commenti

  1. non è neanche tanto difficile prevedere come finirà: macaron con i gollisti al governo, e avanti tutta sulla linea atlantista e asservita a israele e agli usa. del resto avevano arruolato pure i calciatori, facendogli dire a favor di giornalisti di votare “ contro gli estremismi “…ma che schifo, ragazzi!

  2. Insomma, alla fine macaron ha preso più seggi della le pen con meno dei due terzi dei voti di quest’ultima…con i giochetti degli avversari per guadagnare più seggi, pure con milioni di voti in meno…ma che razza di democrazia sarebbe questa?

  3. Scusatemi, sarebbe necessario fare una riflessione sull’elettore francese. Vi pare possibile che un cittadino consapevole e che abbia un po’di testa possa cambiare in sette giorni il proprio voto tanto da far passare l’ultimo al primo posto ed il primo all’ ultimo con un divario di voti che farebbe pensare in altri paesi extraeuropei ad un broglio elettorale ? Non parliamo poi del guerrafondaio e tecnocratico secondo che si gonfia in una settimana a dismisura. Se questa è democrazia…

    • L’elettore francese non ha cambiato il proprio voto.
      (Quasi) nessuna testata ha riportato le percentuali di voto, ma sul sito governativo francese dove le ho trovate al secondo turno il RN è accreditato del 32,05%, la sx del 25,68%, “centro” macroniano del 23,14% poi tutti gli altri dal 5% a scendere.
      A fare la differenza è stata l’altissima “desistenza” nei triangolari, grazie ai quali molti elettori di centro hanno permesso l’elezioni del candidato di sx e viceversa, a seconda di chi s’era ritirato.
      SE HO CAPITO BENE, perché non è facile districarsi in questo bailame…
      Come ho scritto sotto, se la gauche ed i macroniani han deciso di mettersi d’accordo e far “desistere” quasi 300 candidati pur di non far andare al governo la dx radicale, che “si turino il naso” vicendevolmente e facciano un accordo di governo, anche se è chiaro che essendo (teoricamente) su posizioni antitetiche in merito a diversi temi strategici (stato sociale ed Ucraina in primis, per dirne un paio) sarà ben difficile presentare un programma comune.
      Altrimenti si beccheranno un governo tecnico o di unità nazionale che non sarà altro che l’espressione dell’establishment, cioè molto vicino a Macron ed ai “poteri forti”.
      La gauche di Mélenchon che con gli altri di sx può arrivare a 200 seggi può anche provare a mettere in piedi un governo di minoranza, ma per ogni provvedimento dovrebbe contrattare l’astensione di qualcun altro (una volta i macroniani, un’altra quella di Le Pen e soci), finirebbero per non andare da nessuna parte.

    • Se ho capito bene come ha funzionato la desistenza di tanti candidati di sx e centro attuata dai due schieramenti pur di battere la Le Pen, direi che gli elettori hanno premiato tale “accordo” (non saprei se proprio di accordo si sia trattato…) ed a questo punto, al di là dei proclami, le due forze in questione dovrebbero stilare un programma comune (per quanto le posizioni siano davvero molto distanti su diversi temi fondamentali) e provare a governare, almeno per i dodici mesi che dovranno trascorrere per poter indire nuove elezioni.
      Altrimenti governo tecnico o di unità nazionale, sempre almeno per dodici mesi.

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