giovedì 21 Novembre 2024

Burundi: il cuore dell’Africa nelle mani della Cina

È innegabile che da anni sia in atto una nuova, moderna, Scramble for Africa, un rimpasto delle carte in tavola che ricorda molto quella conferenza che nel 1884-’85 a Berlino cambiò sensibilmente le sorti del Continente Nero. La corsa all’Africa del XXI secolo vede però di diverso l’introduzione di nuovi attori e un cambio dei ruoli di quelli già presenti in campo. Il quadro è quello di attuali grandi potenze del mondo, tra cui Russia e Cina, che scalzano sempre più le antiche potenze coloniali dai loro ex territori africani.

Antiche potenze tra cui la Francia che, soprattutto nella fascia subsahariana, è risultata più o meno sempre essere leader geopolitico indiscusso fino a tempi recenti, ma per la quale la situazione, specie a seguito di colpi di stato, riaccensione di conflitti interni e cacciata delle forze armate francesi in vari paesi dell’area saheliana e subsahariana, è ora in fase di rapido cambiamento.

Se la Russia punta ad espandere la sua area di influenza africana concentrandosi soprattutto sulla fascia del Sahel attraverso il lavoro del Gruppo Wagner, la Cina punta più a sud est, sulla costa dell’Oceano Indiano, punto strategico per rafforzare un suo futuro posizionamento commerciale e anche militare in competizione con quello statunitense nell’Indo-Pacifico. Un piano diventato particolarmente evidente con la costruzione, nel 2017, della sua prima base militare in un paese estero, a Gibuti, e destinato a portare investimenti anche in altre aree della costa orientale africana.

Partendo dal porto di Mombasa e arrivando fino al cuore dell’Africa centro-orientale, ho attraversato una delle aree africane di maggior interesse per Pechino, toccando Kenya, Uganda, Rwanda e Burundi. Il viaggio inizia da una ferrovia, la ferrovia SGT Mombasa-Nairobi, molto moderna se comparata agli standard del continente, che parte da uno dei porti storicamente più importanti d’Africa e che attraverso una rinnovata linea prossima all’elettrificazione porta fino alla capitale kenyana. Le due stazioni capolinea sono state inaugurate nel 2017 e costruite al 90% con fondi del governo cinese. Il progetto della ferrovia vedrebbe come fine ultimo l’allungamento fino al Rwanda e al Sud Sudan attraverso il Lago Vittoria e Kampala, la capitale dell’Uganda.

In foto: Mombasa Terminus SGT, la stazione della ferrovia Standard Gauge Railway di Mombasa, costruita e inaugurata al 90% grazie a fondi del governo cinese

Proprio in Uganda la Cina starebbe rinnovando, tramite prestiti bancari dalle condizioni altamente coercitive per lo stesso governo ugandese, il primo scalo aeroportuale del paese, l’aeroporto di Entebbe. Si passa poi per l’introduzione dello studio del cinese come seconda lingua alternativa al francese, all’inglese o al tedesco nelle scuole secondarie di secondo grado in Kenya, Uganda e Rwanda e si arriva infine al Burundi, un piccolo Paese di 12 milioni di abitanti un tempo unito con il Rwanda sotto il dominio belga e chiamato a volte, ironicamente, “cuore d’Africa” anche per la forma dei suoi confini, che ricorda proprio quella di un cuore umano. 

Il Paese è da lungo annoverato nella lista dei più poveri al mondo assieme al vicino Sud Sudan, ma nonostante questo dispone di ricche riserve di minerali preziosi come oro, cobalto, nickel, rame e altri. La sua posizione è poi strategica nella regione, a sud di uno dei paesi più in rapida crescita d’Africa (il Rwanda) e al confine con una delle aree più instabili del continente: la Repubblica Democratica del Congo orientale, a sua volta ancor più ricca di cobalto e rame. In Burundi, passando con il bus in diversi villaggi rurali capita di notare il solito manifesto di collaborazione con la bandiera di questa piccola repubblica affiancata a quella cinese su di edifici completamente restaurati e tinteggiati di blu che presentano la scritta – vagamente distopica – “Enjoy digital life“, con sotto un rimando: “Progetto per l’implementazione di strutture per la TV via cavo in 10.000 villaggi africani“.

Non è difficile capire che questo paese, come molti altri nel continente, abbia preso parte alla famosa “Belt and Road Initiative” della Repubblica Popolare Cinese. Le stesse Nuove Vie della Seta da cui l’Italia si è ritirata nel dicembre scorso e grazie alle quali nel paese africano la Cina ha implementato nuovi mezzi per la produzione agricola e fornito finanziamenti e supporto tecnico per la costruzione di una centrale idroelettrica. Infine la nuova Casa Presidenziale del Burundi, inaugurata nel 2019 e regalata a Gitega dalla Cina, è un tipo di edificio che il Burundi non aveva mai visto nella sua storia: l’ufficio del presidente del paese era prima un locale preso in affitto in centro nella ex capitale Bujumbura.

Ogni persona burundese che si incontra e che sia dotata di uno smartphone ne avrà uno di marca cinese, unica alternativa disponibile per un abitante medio di uno dei paesi più poveri del mondo grazie ai prezzi mediamente più bassi di quelli dei telefoni a marchio occidentale. Questo non è irrilevante se si considera il ruolo che le multinazionali del tech hanno nel raccogliere i dati personali di popolazioni del mondo potendo anche, eventualmente, fornirle ai governi del proprio paese per ragioni di spionaggio e di intelligence.

Infine il burundese medio, come risulta facilmente parlando con la popolazione comune, sogna oggi di andare a lavorare o ad acquisire conoscenze tecniche in Germania oppure in Cina: il paese asiatico comincia a inserirsi nell’immaginario comune e a contrapporsi alle grandi potenze economiche europee come scelta di destinazione per un’eventuale migrazione di un giovane che cerca ricchezza e realizzazione.

Permane però un ambito in cui sembra molto difficile nel prossimo futuro una efficace penetrazione della Cina a scapito della supremazia francese: l’ambito antropologico. Centinaia di anni di dominazione francese e franco-belga di quest’area hanno modificato la mentalità dei gruppi che abitano questa parte di Africa in maniera non trascurabile. Una mentalità che, nonostante tutti gli investimenti che la Cina farà e tutti gli sviluppi economici che cercherà di portare nel medio termine alle economie africane, sarà difficilmente rimpiazzabile nel giro di pochi decenni. È vero che il cinese ha cominciato ad essere introdotto nelle scuole di alcuni paesi est africani, ma di tutti i giovani che si incontrano in Kenya, la maggior parte parlano inglese e swahili, quelli in Uganda solamente il luganda (lingua nazionale del paese) e più raramente l’inglese, mentre in Rwanda e Burundi la maggior parte parla inglese e francese e gli adulti in media parlano molto bene, delle due, solo il francese.

A dimostrazione – e a rinforzo – della supremazia non solo linguistica ma anche culturale nella sua interezza della Francia vi è la presenza de L’Institut Français di Bujumbura. Già Centre Culturel Français (CCF) prima del 2013, si tratta di un edificio qui presente fin dal 1962, anno dell’indipendenza dal Belgio, in cui, in un locale molto curato e accessibile solamente previo controllo attraverso metal detector nel quale si trova anche un bar molto frequentato ogni sera da giovani, si tengono corsi di lingua e di formazione in francese, serate a tema, musica dal vivo e proiezioni cinematografiche esclusivamente in lingua francese, grazie all’organizzazione di un istituto che vanta standard di efficienza pari ad un’istituzione del continente europeo, non certo facilmente riscontrabili altrove nel piccolo e povero “Cuore d’Africa”.

La sua architettura ed il senso di sicurezza dato dalle guardie al suo accesso non è presente – oltre che presso gli edifici governativi e presso un paio di night club frequentati dalla ristretta élite cittadina – in nessun altro luogo del paese. È un luogo quindi sicuramente invitante per la gioventù burundese, a cui il governo francese assicura standard cosiddetti “europei” (posto che questi davvero esistano) in cambio della continua impartizione della lingua e della cultura francofone attraverso media, corsi e interscambi socio-culturali.

Un modello di scambio “equo” che per i francesi sembra aver sempre funzionato: vita sociale con standard da Métropole in cambio dell’inevitabile influenza culturale sulle frange più giovani e più istruite della popolazione. Prendere o lasciare.

Chi pensa che anche i cinesi potranno applicare una simile forma di dominio di stampo prettamente culturale, dovrà prima fare i conti con i diversi stereotipi ed imitazioni sarcastiche della lingua cinese – con un’evidente sfumatura razzista – che si sentono spesso fare da diverse persone proprio in Burundi come in altri paesi dell’area, ed infine con il fatto che proprio qui mi è capitato più di una volta di essere scambiato per strada per un asiatico orientale, sia cinese che giapponese, avendo però tratti facciali evidentemente mediterranei.

Molti burundesi, anche della città, non hanno idea di che aspetto fisico abbia davvero una persona dell’estremo oriente, e quindi, un cinese. Se il livello di conoscenza e di contatto con quella regione del globo arriva ad essere tale da non riconoscere neanche i tratti somatici distintivi di chi lo abita, nel caso della Cina mediamente molto diversi da quelli di un europeo, la Cina non avrà gioco facile a spazzare via gli effetti di secoli di dominio francese/francofono ed eurocentrico su questa parte d’Africa e a penetrare, quantomeno per mezzo del famigerato “soft power“, nella mentalità collettiva est africana.

[di Giacomo Casandrini]

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2 Commenti

  1. Articolo interessante. Nel 2019 ho attraversato in lungo ed in largo il Botswana ed il Kalahari con un fuoristrada e dormito in tenda. Savana a vista d’occhio e l’ Okawango e lo Zambesi con pochissima acqua. Anche qui, in mezzo ad un’ area inospitale e torrida ma con un sottosuolo ricchissimo di diamanti e soprattutto terre rare già apparivano i segni concreti dell’ “invasione cinese” con la costruzione di megastrade. Qui la cultura prevalente è anglofona anche se la distribuzione del reddito è (ancora) abbastanza equilibrata: scuola e sanità gratis per tutti i cittadini. Penso che una “neocolonizzazione” in un senso o nell’ altro dipenda esclusivamente da quanto lungimiranti, oneste e se vogliamo illuminate siano le persone al governo. Staremo a vedere. Una puntatina oltre confine nello Zimbabwe ci ha fatto vedere cosa ha comportato una dittatura come quella di Mugabe che ha ridotto la moneta nazionale a carta straccia.

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