martedì 16 Luglio 2024

Concessioni balneari: la Corte UE dichiara legittimi gli espropri senza indennizzo

La Corte di Giustizia europea ha stabilito ieri con una sentenza che, alla scadenza delle concessioni balneari, lo Stato italiano può acquisire le opere inamovibili costruite sugli arenili – come bar, piscine spogliatoi o altre strutture – senza dover indennizzare il concessionario uscente, secondo quanto previsto dall’articolo 49 del Codice della navigazione risalente al 1942. La Corte ha stabilito, infatti, che l’articolo non è in contrasto con il diritto europeo. Fino a quando è rimasto in vigore il procedimento delle proroghe automatiche delle concessioni, la norma in questione non aveva preoccupato i balneari, ma dal momento in cui – in seguito all’entrata in vigore della Direttiva Bolkestein – le spiagge verranno messe ai bandi di gara, i gestori dei lidi hanno iniziato a rivendicare l’illegittimità di tale norma pretendendo un risarcimento economico. Con il pronunciamento del tribunale di Lussemburgo salta anche il blocco parziale che sino ad ora aveva impedito i bandi di gara, causato dalla mancata chiarezza delle norme, tra cui la compatibilità del citato articolo 49 con il TFUE (Trattato di Funzionamento dell’Unione europea) e la possibilità di prevedere, nel bando di gara, un indennizzo a carico dell’eventuale concessionario entrante diverso da quello uscente. Secondo gli esperti del settore, «oggi i Comuni hanno gran parte delle coordinate che servirebbero per imbastire le procedure selettive». Tuttavia, ciò non significa che il governo non possa abrogare l’articolo 49 e disporre il diritto agli indennizzi economici ai concessionari uscenti: la sentenza della Corte UE, infatti, non lo vieta.

Il tribunale europeo si è recentemente espresso in materia perché interpellato dal Consiglio di Stato italiano, il quale si trovava a dover risolvere un contenzioso di lunga data tra il comune di Rosignano Marittimo, in Toscana, e lo stabilimento balneare Bagni Ausonia gestito in concessione dal 1928 dalla società SIIB (Società italiana imprese balneari). La società gestisce una serie di manufatti che si trovano sotto incameramento dal 1958. Nel 2007, il Comune di Rosignano aveva riqualificato alcune di queste opere sul demanio, ritenendole di difficile rimozione e reputandole acquisite ex lege, e nel 2008 aveva comunicato alla Siib l’avvio dell’iter per l’incameramento di altri manufatti non ancora acquisiti. Dopo una temporanea sospensione del procedimento, nel 2014 la società concessionaria aveva dichiarato al Comune di opporsi all’iniziativa sostenendo che le opere presenti nell’area erano da considerare di «facile rimozione», in quanto il loro sgombero era effettuabile in 90 giorni. La stessa si era quindi rivolta prima al Tar, che aveva respinto i ricorsi presentati, e poi al Consiglio di Stato, il quale, a sua volta, ha fatto appello alla Corte Ue, la cui pronuncia è arrivata ieri con importanti conseguenze sulle concessioni e i bandi di gara. Secondo i giudici della Corte Ue, l’articolo 49 del Codice della navigazione si applica «a tutti gli operatori esercenti attività nel territorio italiano» e per questo «non costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento». Inoltre, il tribunale di Lussemburgo ha stabilito che la norma in oggetto (l’articolo 49) «costituisce l’essenza stessa dell’inalienabilità del demanio pubblico».

Il pronunciamento della Corte Ue è strettamente collegato alla Direttiva Bolkestein riguardante la liberalizzazione dei servizi e delle concessioni demaniali in nome della concorrenza e del libero mercato, cardini dell’impostazione liberista propugnata dalle istituzioni comunitarie. Recepita da Roma nel 2010 mediante decreto legislativo, la direttiva è stata applicata per la prima volta relativamente alle concessioni degli arenili con la legge sulla Concorrenza del 2021 del governo Draghi, la quale imponeva di riassegnare le concessioni tramite bandi pubblici entro la fine del 2024. Tuttavia, il governo Meloni ha deciso di prorogare di un anno la scadenza, non varando quindi il decreto che avrebbe dovuto disciplinare i bandi di gara. Nonostante la decisione del governo, secondo quanto dichiarato da alcuni esponenti governativi, la magistratura avrebbe fatto pressione sui comuni per disapplicare la proroga e indire i bandi, con il risultato che – non essendoci una normativa che li disciplina a livello nazionale – i comuni avrebbero proceduto in ordine sparso, ossia adottando criteri arbitrari. In generale, la direttiva europea, in nome della concorrenza, tende a favorire le grandi società di capitali, stravolgendo il modello turistico balneare a dimensione familiare che da sempre caratterizza le coste italiane, rappresentandone peraltro il punto di forza e un elemento di unicità territoriale. Grazie alla disciplina europea, già alcuni tratti di litorale sono finiti nelle mani di grandi aziende o multinazionali: è il caso della vicenda di Jesolo, dove il proprietario di Geox ha vinto un lotto di tre concessioni e della multinazionale delle bibite RedBull che aveva sborsato nove milioni di euro per ottenere 120.000 metri quadri di litorale nel golfo di Trieste.

A questo punto, anche per mantenere fede agli impegni presi in campagna elettorale, il governo potrebbe cancellare la norma contenuta nel Codice della navigazione, dato che la sentenza della Corte Ue non lo impedisce, limitandosi solo a dichiarare che l’articolo 49 è compatibile con il diritto europeo. I deputati di Fratelli d’Italia, Riccardo Zucconi e Gianluca Caramanna, hanno già presentato un disegno di legge (Ddl) alla Camera che propone proprio l’abrogazione dell’articolo in questione. Mentre finora la discussione sulla proposta di legge era stata rimandata in attesa del verdetto della Corte, ora il provvedimento potrà essere portato in Aula. Si capirà, dunque, nelle prossime settimane come intende agire il governo e se difenderà le rivendicazioni dei balneari come i partiti di maggioranza hanno da sempre dichiarato.

[di Giorgia Audiello]

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