Il massacro di Gaza va avanti da 10 mesi, i civili ormai corrono da una parte all’altra seguendo gli avvisi dell’esercito israeliano, ma non basta per considerarsi salvi. Siamo arrivati a 38.000 morti, 87.000 feriti, praticamente tutte le infrastrutture mediche e non sono distrutte. Ma Gaza non è l’unico campo di battaglia. In Cisgiordania, 5.860 chilometri quadrati, l’occupazione illegale e violenta di Israele ha accelerato la sua avanzata. Con gli occhi giustamente puntati su ciò che accade nella Striscia, la Cisgiordania rimane nel cono d’ombra, quasi invisibile all’opinione pubblica internazionale. Se dal 1993, anno in cui venivano firmati i trattati di Oslo, gradualmente la Cisgiordania sarebbe dovuta diventare il futuro Stato palestinese, oggi queste terre vengono giornalmente, con violenze di tutti i generi, sequestrate a chi sarebbe dovuto esserne il cittadino di diritto.
L’Ong israeliana anti coloniale Peace Now, in un report pubblicato mercoledì, ha dichiarato che «il 2024 segna il picco dell’estensione delle dichiarazioni di terreni statali» da parte del governo di Tel Aviv. Dall’inizio dell’anno il governo di Netanyahu, secondo quanto riportato da Peace now, avrebbe dichiarato 2.373 ettari di terre, sulla carta palestinesi, come terre statali israeliane. Ma se con lo scoppio del conflitto a Gaza la predazione di terre in West Bank si è accelerata, è vero anche che il programma di espansione delle colonie è un piano portato avanti dal governo ben prima del 7 ottobre. Il ministro delle Finanze israeliano, Bezalel Smotrich, da quando più di un anno fa ha acquisito la totale autorità sulla pianificazione degli insediamenti nella Cisgiordania occupata, ha velocizzato il riconoscimento delle colonie e incitato i coloni presenti in West Bank a prendere ancora più terre, anche grazie al massiccio rifornimento di armi, avvenuto dopo il 7 ottobre. Oggi in Cisgiordania vivono 700 mila coloni divisi in quasi 200 tra avamposti e colonie. Questi numeri però sono in drastico aumento. Infatti Smotrich a maggio ha avvisato i ministri del governo di prepararsi all’arrivo di ulteriori 500mila coloni tramite lo sviluppo di infrastrutture e servizi nelle colonie. Ed è proprio giovedì, dopo la pubblicazione del report di Peace Now, che il governo israeliano ha approvato 5.295 nuove unità abitative negli insediamenti illegali in Cisgiordania e ha riconosciuto tre nuovi avamposti come colonie. Il mese scorso durante una conferenza del suo partito Smotrich ha detto chiaramente che Israele sta portando avanti un piano per occupare l’intera Cisgiordania. Ma se le mire espansionistiche del ministro, anche lui cresciuto in una colonia, non sono un segreto, la posizione ufficiale del governo israeliano è che lo status della Cisgiordania rimane aperto ai negoziati tra i leader di Tel Aviv e quelli palestinesi.
Come accordato a Oslo nel 1993, il territorio della West Bank sarebbe dovuto nel tempo diventare lo stato palestinese, e invece la superficie di territorio controllato da Israele è sempre più ampia. Ma la Corte Suprema israeliana ha stabilito che il controllo di Israele sul territorio equivale a un’occupazione militare temporanea supervisionata da generali dell’esercito, non a un’annessione civile permanente amministrata da funzionari israeliani. Una condizione che non sembra nemmeno lontanamente aderire alla realtà delle cose. Addirittura il piano del governo di Netanyahu prevede anche il cambio di composizione del potere nella zona B della Cisgiordania, quella che oggi è a controllo condiviso: militare israeliano, civile palestinese, rendendo anche questo quinto del territorio della West Bank sotto il completo controllo di Israele.
Come sostiene Ilan Pappè, storico israeliano e strenuo critico di Israele, la marcia che lo stato ebraico ha iniziato a compiere fin dal 1948, con il chiaro obbiettivo di eliminare l’intera popolazione “nativa”, come i poteri coloniali di un tempo avevano sempre fatto, è stata, fin dal principio, sostenuta dalla retorica della difesa: Israele fa quello che fa per difendersi dai nemici che tutti intorno vogliono la sua disfatta. Ma se questo ragionamento valeva per i palestinesi e il mondo arabo in generale sembrerebbe che oggi i nemici di Israele siano anche al di fuori del Medio Oriente e che anzi siano proprio in quel mondo occidentale che sempre ha sostenuto Tel Aviv. Quindi l’avanzamento rapido e violento dell’occupazione militare è stato più volte giustificato dall’esecutivo israeliano come una mossa contro quegli Stati occidentali o non che hanno deciso di riconoscere lo stato di Palestina e contro i comportamenti ritenuti offensivi dell’Autorità palestinese nei consessi internazionali. Poi l’attacco di Hamas del 7 ottobre ha dato la possibilità di giustificare come un atto di difesa, non solo il massacro di donne, anziani e bambini a Gaza, ma anche l’occupazione armata della Cisgiordania, infatti secondo Peace now nel 2023 sono stati 26 i nuovi insediamenti israeliani in West bank, ma più di 16 sono nati dopo il 7 ottobre. Ma per conquistare questi territori bisogna, come dice Pappé, eliminare i “nativi”, i palestinesi.
Dal 7 ottobre sono state arrestate più di 9.000 persone in West Bank, sono morti più di 560 tra minori, donne e uomini e sono state ferite più di 5.000 persone. L’avanzata dei coloni è incessante ed estremamente violenta. Negli ultimi 10 giorni nel sud della Cisgiordania, nella zona conosciuta come Masafer Yatta, dove la resistenza palestinese è da sempre non violenta, gli attacchi dei coloni si sono moltiplicati in numero e aggravati in termini di violenza. Sono stati dati alle fiamme interi campi coltivati intorno ai piccoli villaggi palestinesi, gang di giovani coloni armati di mitra e mazze hanno più volte assaltato pastori, donne e bambini, sono state tagliate le linee idriche dei villaggi. Addirittura la scorsa settimana un attivista e fotografo italiano, sul campo con Mediterranea insieme all’organizzazione pacifista Operazione Colomba, è stato picchiato a sangue. La presenza di operatori internazionali in questi luoghi è, fino ad oggi, il più importante e forse unico deterrente contro gli attacchi selvaggi dei coloni contro i palestinesi. Sabato nel villaggio di Al-Tuwani sono stati arrestati 4 palestinesi di cui un bambino di 14 anni e 3 attivisti, solo perché hanno denunciato la presenza di coloni sulle loro terre. L’esercito di occupazione e la polizia israeliana, chiamata dai palestinesi, ha preso per vere solo le accuse mosse dai coloni e dopo una giornata di fermo e interrogatori gli arrestati sono stati rilasciati con l’obbligo di dimora. Ma tutto questo non succede solo dal 7 ottobre.
Sono 78 anni che la popolazione palestinese è perseguitata, uccisa, arrestata con la sola colpa di voler vivere nella propria casa. Poi a fianco dei coloni i militari e la polizia non fanno nulla per impedire che le violenze e i soprusi avvengano, anzi coprono e aiutano i giovani israeliani insediati in Cisgiordania a perpetuare queste azioni. A Masafer Yatta, che si torva nella zona C della West Bank e quindi sotto il completo controllo, militare e civile israeliano, l’amministrazione civile decide se e cosa si può costruire e cosa si deve abbattere. Due settimane fa nel villaggio di Umm al-Kheir sono state distrutte 10 abitazioni lasciando senza casa più di 30 persone di cui la metà bambini. Dal 7 ottobre a seguito delle demolizioni sono state cacciate più di 18 comunità palestinesi, quasi 300 persone.
Nonostante l’occupazione di questo territorio vada contro gli accordi di Oslo e contro il diritto internazionale, Israele continua e rafforza la sua espansione tramite la «pulizia etnica» del popolo palestinese, come ha dichiarto a Aljazeera Ayed Abu Eqtaish, attivista palestinese per i diritti umani. «Nessun colono risponde davanti alla giustizia dei propri crimini contro i palestinesi, anzi il governo israeliano li aiuta a compierli» ha continuato Eqtaish, che ha anche aggiunto che le sanzioni che alcuni paesi occidentali hanno applicato conto i coloni, «non bastano». Le ripetute condanne e intimazioni al governo di Tel Aviv da parte di molti paesi, come Norvegia, Spagna, Stati uniti e dalle Nazioni unite, di smettere l’avanzata e l’occupazione della Cisgiordania, negando ogni reale possibilità alla nascita di uno Stato palestinese, non bastano a evitare la catastrofe, una seconda Nakba.
[di Fiippo Zingone]