martedì 16 Luglio 2024

Le idee di J.D. Vance: il vicepresidente “ultra-radicale” scelto da Trump

Dopo mesi di attesa per sapere il nome del candidato Vicepresidente per i repubblicani, Donald Trump ha annunciato la figura che lo affiancherebbe nei prossimi quattro anni nel caso in cui dovesse spostare nuovamente la residenza alla Casa Bianca: si tratta di James David Vance, meglio noto come J.D., trentanovenne già senatore repubblicano e, dopo un primo periodo di forte ostilità nei confronti del tycoon, trumpiano di spicco dal 2018. L’annuncio è arrivato all’apertura della convention nazionale del Partito Repubblicano iniziata lunedì 15 luglio a Milwaukee, nel Wisconsin, ma era già nell’aria da tempo. La sua candidatura a Vicepresidente risulta particolarmente interessante: nonostante infatti di solito la scelta del Vicepresidente abbia almeno in parte anche una valenza elettorale, e serva insomma a coprire territori, ambiti, potenziali elettori, aree e microaree politiche in cui il candidato Presidente è scoperto, J.D. Vance non parrebbe essere la persona più adatta a svolgere il compito di portare voti. Egli, piuttosto, sembra essere il vice ideale per promuovere un’idea di trumpismo radicale, e giocare ancora di più sulla frattura con il resto della politica statunitense.

J.D. Vance ha trentanove anni, quasi quaranta, ed è nato a Middletown, in Ohio, Stato in cui è stato eletto senatore nelle cosiddette Midterm Elections (elezioni di metà mandato) del 2022. Capitalista di ventura di stampo conservatore e neo-reazionario, Vance finisce al centro dei riflettori nel 2016, dopo la pubblicazione della sua autobiografia Hillbilly Elegy, in cui descrive degli Stati Uniti spezzati e in crisi, attribuendo – da repubblicano – allo stesso Trump una buona parte delle responsabilità. Col tempo si fa sempre più strada all’interno del mondo intellettuale di destra, portando avanti una fervente campagna anti-trumpiana, arrivando a definire il tycoon «l’Hitler americano». Nel 2018, tuttavia, cambia radicalmente opinione, e, dopo avere avanzato le proprie scuse all’allora Presidente, diventa uno dei suoi più convinti sostenitori. Teorico politico dalle grandi doti comunicative, Vance inizia a dominare i dibattiti pro-Trump, difendendo il proprio Presidente a spada tratta, e finisce così sotto l’ala del tycoon venendo riaccolto da figliol prodigo.

Le posizioni politiche di Vance sono molto simili a quelle di Trump, anche se su alcune questioni vi si discostano ponendosi sulla scia di un repubblicanesimo alternativo per certi versi opposto all’ortodossia di partito, e più vicino a una sorta di destra sociale: sul fronte della politica interna, proprio in ambito sociale, Vance è a favore di un aumento dei salari minimi, di una maggiore presenza delle rappresentazioni sindacali, ed è a favore di un interventismo statale in ottica antimonopolistica. Egli risulta invece ben più allineato nella maggior parte delle questioni di natura civile, specialmente per quanto riguarda l’aborto, le questioni di genere e l’immigrazione: in materia di interruzione volontaria di gravidanza, Vance ritiene che la legiferazione sull’ambito dovrebbe spettare ai singoli Stati, anche se in passato si era detto a favore di una legge federale che vietasse la pratica dopo le 15 settimane di gravidanza; in merito ai diritti LGBT, egli si oppone al matrimonio tra omosessuali e agli interventi di affermazione di genere nei minori; per quanto riguarda l’immigrazione, Vance ha sostenuto l’idea di Trump di costruire un muro tra USA e Messico, ed è contro l’idea di concedere l’amnistia legale agli immigrati irregolari.

In politica estera, Vance si oppone all’interventismo statunitense, specialmente per quanto concerne la questione Ucraina. Egli si è detto a più riprese assolutamente contrario a fornire aiuti militari a Kiev, ed è stato spesso critico nei confronti della gestione del conflitto da parte di Biden. Vance non mette in discussione la presenza statunitense nella NATO, ma ritiene che gli Stati Uniti dovrebbero concentrarsi maggiormente sull’Asia e che le questioni relative all’Europa dovrebbero essere lasciate in mano agli europei. Proprio sul fronte orientale, risultano infatti differenti le sue posizioni in merito al conflitto israelo-palestinese: dall’escalation del 7 ottobre, Vance ha promosso con forza una politica filo-israeliana, criticando svariate volte Biden per la sua eccessiva morbidezza nella fornitura di aiuti a Tel Aviv, tanto da sostenere che il Presidente abbia «impedito a Israele di finire il lavoro». Egli incolpa Hamas di tutte le morti civili e sostiene – similmente allo stesso Trump – Israele in tutto e per tutto.

Piuttosto che riunire il fronte repubblicano scegliendo un candidato capace di tirare a sé gli elettori meno convinti, Trump ha preferito proporre come Vicepresidente il suo più strenuo difensore e portavoce nei dibattiti politici. La scelta di Trump di candidare una figura di spessore nell’elaborazione politica di destra che tuttavia non si discosta troppo dalle sue posizioni, pare configurarsi come una ferma riaffermazione dei principi del trumpismo. Le elezioni statunitensi si terranno a novembre, e per ora Trump viene dato favorito dalla maggior parte dei giornali e dei sondaggi. Contro di lui, per i democratici, correrà l’attuale Presidente Joe Biden, mentre l’ex democratico Robert Kennedy Jr. ha preferito presentarsi come indipendente. A fine giugno si è tenuto il primo dibattito tra i due principali candidati alla Casa Bianca, in seguito al quale Biden è uscito clamorosamente sconfitto. Di contro Trump ha rischiato di venire escluso dalla corsa per i fatti di Capitol Hill del 2021, ed è recentemente stato oggetto di un attentato, dal quale si è salvato venendo colpito all’orecchio da un colpo di arma da fuoco.

[di Dario Lucisano]

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