giovedì 21 Novembre 2024

In Bangladesh gli studenti sono in rivolta contro le politiche del lavoro

Sono almeno cinque le persone morte nel corso delle proteste che stanno agitando da ormai due settimane il Bangladesh, dove i cittadini (molti dei quali studenti) stanno manifestando contro il sistema di quote per i posti di lavoro statali. In tutto il Paese, le forze dell’ordine hanno risposto alle migliaia di persone scese in piazza per bloccare strade e ferrovie con il lancio di lacrimogeni e cariche. In varie città, tra le quali la capitale Dacca, la polizia è entrata nei campus in rivolta e ha sparato proiettili di gomma contro gli studenti per rispondere al lancio di pietre. Ieri sera, il ministero dell’Istruzione ha comunicato che «tutte le scuole superiori, le università, i seminari islamici, i politecnici rimarranno chiusi fino a nuovo ordine, a tutela della sicurezza degli studenti», mentre i manifestanti hanno annunciato nuove iniziative e cortei.

Le proteste in Bangladesh sono scoppiate in seguito alla reintroduzione del sistema di quote riservate ai familiari dei reduci della guerra di indipendenza dal Pakistan del 1971 nell’ambito degli impieghi pubblici. Tale sistema, in vigore dal 1972, era stato precedentemente sospeso nel 2018 in seguito ad analoghe proteste, ma è stato reintegrato con una decisione dell’Alta Corte del Paese, che con una sentenza ha dichiarato illegale l’ordine del 2018 e stabilito che il 30% dei posti di lavoro nel pubblico spettasse proprio ai familiari dei reduci di guerra. In seguito alla decisione della Corte, migliaia di studenti provenienti dalle maggiori università del Bangladesh sono scesi in piazza per protestare, e le manifestazioni si sono accese tra lunedì e martedì, quando i dimostranti si sono scontrati con esponenti del ramo studentesco della Lega Popolare Bengalese, il Partito di maggioranza. In seguito agli scontri, estesisi poi anche alle forze dell’ordine, centinaia di persone sono state ferite e almeno cinque persone sono morte. Visti i sempre più frequenti episodi di violenza, il Governo ha deciso di chiudere le scuole e le università fino a data da destinarsi. Un portavoce del movimento studentesco ha invece dichiarato che le marce e le manifestazioni continueranno fino a che il Governo non soddisferà le richieste degli studenti, riformando il sistema delle quote.

Nello specifico, le proteste sono partite con maggiore intensità nella capitale Dacca, ma hanno coinvolto sin da subito tutte le maggiori città universitarie del Paese. Proprio Dacca è stata sede dell’escalation di lunedì, in cui i due gruppi studenteschi hanno ingaggiato una serie di scontri armati di pietre, bastoni, e spranghe di ferro; nella capitale, molti studenti avrebbero lasciato i dormitori per paura di venire attaccati dai colleghi filogovernativi; sempre a Dacca, la polizia ha assaltato la sede del principale partito di opposizione, arrestando sette attivisti, tra cui un leader del movimento studentesco; in seguito al raid, il capo della sezione investigativa della polizia ha inoltre detto di aver recuperato 100 bombe grezze e diverse bottiglie di benzina, e che un autobus era stato dato alle fiamme vicino allo stesso ufficio del partito di opposizione. Nella capitale, la polizia si sarebbe infine schierata davanti allo stesso campus universitario, e uno studente sarebbe inoltre stato trovato morto disteso in una pozza di sangue. Le altre aree del Bangladesh non sono state risparmiate dalle rivolte: a Rangpur, nel nord-ovest del Paese, gli studenti hanno lanciato pietre contro le forze dell’ordine, che hanno risposto con proiettili di gomma, uccidendo uno studente; tre persone, tra cui due studenti, sono state uccise nella città portuale di Chittagong, anche se non sono ancora chiare le dinamiche della loro morte; vista l’intensità degli scontri, a venire impiegata è stata anche la forza paramilitare della Guardia di frontiera del Bangladesh, attiva in tutto il Paese.

In Bangladesh i posti pubblici sono molto ambiti a causa delle condizioni di lavoro precarie e stagnanti a cui la popolazione va incontro nel settore privato. Il pubblico, di contro, garantisce un impiego stabile e sicuro, e un’entrata fissa ed equilibrata. La maggior parte dei posti pubblici, tuttavia, sono regolati attraverso il sistema delle quote, contro cui gli studenti, i più colpiti dalla disoccupazione, si scagliano da anni. Questo è stato introdotto nel 1972 e riserva il 56% dei posti di lavoro pubblico a categorie protette: il 30% è appunto riservato ai figli dei reduci di guerra, il 10& alle donne, il 10% a persone provenienti da determinati distretti, il 5% alle minoranze etniche e l’1% alle persone con disabilità. I manifestanti dicono di non volere smantellare completamente il sistema delle quote, ma di avere l’intenzione di riformarlo: il loro obiettivo, infatti, sarebbe quello di tenere solo il 6% delle quote riservate a minoranze e persone con disabilità.

[di Dario Lucisano]

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