domenica 17 Novembre 2024

Oristano: sgomberi e denunce al presidio dei cittadini contro la speculazione energetica

La polizia è intervenuta per sgomberare con la forza il presidio permanente nel porto di Oristano, organizzato dai cittadini per protestare contro il transito di mezzi speciali che trasportano le pale eoliche. Gli agenti hanno sgomberato con la forza le decine di cittadini che erano accampati in tenda, sequestrando tutti i materiali utilizzati per l’accampamento. Non solo, secondo quanto si apprende dai media locali sardi, almeno 12 manifestanti sarebbero stati identificati e denunciati per possesso di “oggetti contundenti” e fumogeni. In Sardegna, nelle ultime settimane, si stanno moltiplicando le proteste contro il proliferare di grandi progetti di energia rinnovabile, eolico e fotovoltaico, al fine di fermare quello che è stato definito “assalto speculativo delle multinazionali” al suolo sardo.

Lo sgombero del presidio è iniziato ieri attorno alle 14.00, quando un folto gruppo di forze dell’ordine composto da guardia costiera, carabinieri, capitaneria di porto, polizia, e finanza è arrivato presso l’ingresso dell’area portuale di Oristano-Santa Giusta, dove era allestita la manifestazione. Come ci spiega Alessandro Mereu del Gruppo per la Tutela del Territorio Sardo, le forze dell’ordine avrebbero iniziato il sequestro dei cinque gazebi presenti sul posto, in piena esposizione del sole, motivandola con il fatto che essi si trovassero sul suolo di pertinenza della capitaneria di porto. Una scusa, secondo Alessandro, visto che, da quel che comunica, i gazebi si trovavano all’interno degli «spazi del consorzio industriale». Nonostante i sequestri dell’attrezzatura, il presidio persiste, e ha anzi chiesto l’autorizzazione per diventare permanente. Nella sera i manifestanti – circa una sessantina – hanno infatti continuato a provare a fermare i convogli trasportanti le pale, ma sono stati ostacolati dalla presenza di «un centinaio» di agenti della polizia.

La speculazione dell’eolico è da tempo contestata dal popolo sardo per gli ingenti danni ambientali ed economici che colpirebbero direttamente il territorio. Abbiamo sentito l’agronomo Maurizio Fadda, che ci ha spiegato, dal punto di vista di un tecnico e di un abitante sardo, che cosa potrebbe causare la creazione di questi maxi-parchi eolici sul suolo della regione. I problemi principali che ha rilevato Maurizio sono due: quello «paesaggistico» e quello «rurale-agricolo». Sul lato paesaggistico l’impatto delle pale risulta devastante «e ‘devastante’ è un termine efuemistico»: le pale già presenti in Sardegna sono alte 40-70 metri, ma quelle di cui si discute nell’ambito del nuovo potenziamento energetico raggiungono fino a 240 metri di altezza. I progetti presentati per l’approvazione sono inoltre 860, e avranno effetti sulla flora e sulla fauna a dir poco considerevoli, «come succede ad esempio, in Spagna, dove la prima causa di morte dei rapaci sono le pale eoliche». Tra l’immensa quantità di suolo occupato e la mastodontica altezza delle opere, l’impatto sul paesaggio risulterebbe enormemente gravoso. Questo porterebbe a due principali conseguenze: la prima sul lato turistico, poiché la presenza di simili eco-mostri nell’entroterra sardo sposterebbe tutti i visitatori della regione sulle già affollate spiagge, e la seconda sulla stessa identità del popolo dell’isola; «noi sardi non facciamo distinzione tra il ‘dentro’ e il ‘fuori’. Se ci distruggono il paesaggio esterno, distruggono la nostra stessa essenza», fondata sull’equilibrio e la sintonia con l’intero territorio sardo, sottolinea Maurizio.

Sul versante rurale-agricolo, Maurizio sottolinea che per quanto sia «vero che l’agricoltura in Sardegna non sia particolarmente florida», non si può dire lo stesso per quanto riguarda il reparto zootecnico: la Sardegna è una regione dalla grande produzione agropastorale e dotata di una stessa «cultura agropastorale». Quei pochi terreni definiti come marginali che verrebbero rubati dalle pale, «sono i nostri pascoli», e sono le case degli alberi di ulivo e di quercia da sughero che costellano il territorio e sostengono l’economia locale. La presenza di simili opere allontanerebbe il bestiame, che risulterebbe «perlomeno disturbato» dal fragoroso rumore delle pale, consumerebbe il suolo, danneggerebbe le falde idriche sotterranee, e – oltre al danno la beffa – scaricherebbe la responsabilità dello smaltimento sugli stessi proprietari terrieri. A tal proposito, Maurizio ci spiega come le compagnie incaricate di costruire le pale, non acquistino direttamente il terreno, ma si limitino piuttosto a ottenere i diritti di superficie per costruire e gestire le opere: questo scade dopo trent’anni, al termine dei quali (forse) le stesse compagnie si opererebbero per togliere le pale; destino diverso invece sarebbe riservato agli enormi basamenti in cemento armato, dai costi di smantellamento particolarmente onerosi e «grandi quanto mezzo campo di calcio», che rimarrebbero lì, nelle mani del proprietario della terra fino a data da destinarsi «e quindi per sempre, perché nessuno affronterà quei costi».

In Sardegna è mesi che la popolazione lotta contro la speculazione delle multinazionali dell’eolico: il presidio presso il porto di Oristano è iniziato circa una settimana fa, e già lunedì si erano registrate le prime tensioni con le forze dell’ordine. Poco più di una settimana fa, nell’entroterra cagliaritano, alcuni cittadini hanno dato il via alla Rivolta degli Ulivi, una sollevazione popolare spontanea che risponde agli espropri coattivi dei terreni dei contadini (dove dovranno sorgere i parchi eolici) piantando ulivi e altre specie vegetali. Nel frattempo, è ufficialmente partita la raccolta firme per fermare i progetti di parchi eolici e fotovoltaici nell’isola in assenza di un adeguato piano energetico regionale.

[di Dario Lucisano]

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