sabato 21 Dicembre 2024

Fare società altrove: la comunità filippina di Milano e la pallacanestro come mezzo culturale

Secondo il censimento del 1° gennaio 2023 la seconda popolazione extracomunitaria più numerosa nella città di Milano è quella filippina, che conta all’incirca 37.000 individui ed è seconda solo alla comunità egiziana. La cultura filippina in Italia e a Milano ha ottenuto gradualmente un suo spazio espressivo, grazie alla nascita di festival, luoghi d’aggregazione, ristoranti ed eventi. Però, uno dei punti distintivi di questa comunità in tutto il mondo è senza ombra di dubbio la pallacanestro.

Il basket nelle Filippine

Dopo l’ottenimento dell’indipendenza dalla Spagna nel 1896, le Filippine, con il trattato di Parigi del 1898 e dopo tre anni di conflitto tra popolazione locale e forze coloniali, passarono ufficialmente sotto la sfera d’influenza statunitense, la quale, nonostante l’indipendenza ufficiale del 1946, perdura ancora oggi a causa del ruolo fondamentale del paese nel contesto geopolitico del Mar Cinese. Fu in questa maniera che il basket giunse sull’arcipelago filippino nei primi anni del XX secolo e da allora, divenne parte integrante della cultura pinoy. Inizialmente considerato come sport prettamente femminile e fortemente osteggiato dalla Chiesa cattolica filippina, nel 1913 la prima selezione maschile nazionale del paese, la Gilas Pilipinas, vinse il suo primo titolo internazionale e nel 1936, oltre a far parte dei paesi membri nella fondazione della FIBA (Federazione Internazionale Pallacanestro), si posizionò al quinto posto al torneo di basket dei Giochi Olimpici di Berlino. Attualmente l’ordinamento cestistico del paese prevede sette tornei professionistici, tre dilettantistici e nove collegiali, e, in ambito internazionale, l’arcipelago è stato la sede di due coppe del mondo FIBA, la prima nel 1978 e la seconda, in condivisione con Giappone e Indonesia, nel 2023. 

Milano e i basketball court

«Questa tripla la metto per te» mi dice con non poca spavalderia Mila, un ragazzo di 28 anni, nato a Milano e originario della zona di Manila. Alla proposta di uno contro uno, la sfida che vede due persone affrontarsi su chi fa più punti, non si tira indietro. «Ormai non gioco più come prima, tu sei più allenato, io sto sempre a lavorare» Siamo al campetto adiacente alla linea verde della metropolitana di Milano, in zona Cimiano, uno dei luoghi più frequentati dai giovani cestisti filippini. Generalmente, durante i lunghi pomeriggi primaverili ed estivi, questo campetto ospita numerosi giocatori di tutte le età, che aumentano considerevolmente di numero durante i fine settimana. A causa del maltempo degli ultimi giorni, oggi finalmente hanno potuto riorganizzare uno dei tanti pickup game, le partitelle nello slang anglofono. Una decina di persone siedono lungo le ringhiere e osservano i movimenti degli altri dieci in campo. Uno mette della musica da un altoparlante portatile e gli altri, pronti per ricominciare a giocare, commentano goliardicamente le azioni più emblematiche del match. Tra gli spettatori, uno siede sulla cima di una scala, mentre fuma una sigaretta. «Perché lui sta sulla scala?» Chiedo, incuriosito. «Abbiamo aggiustato le retine prima di iniziare». Il campetto diventa infatti un’occasione d’impegno civico; in una città che si apre sempre di più alle privatizzazioni e, come è avvenuto in altri campetti, alla brandizzazione, la cura di chi lo frequenta, attraverso la pulizia dei rifiuti e l’attenzione verso i canestri è una forma di resistenza a difesa di uno spazio libero e pubblico. Poco prima del tramonto la partita volge al termine, i giocatori calzano delle più comode ciabatte e si muovono, chi verso casa, chi verso altri campetti dotati di illuminazione, per continuare a giocare. 

È comune vedere famiglie intere in queste occasioni, con numerosi bambini che fin dai primi anni di vita si avvicinano alla pallacanestro, dimostrando notevoli abilità nel palleggio, o ball handling. «Tu quanti anni hai?» Chiedo a un bambino che si diverte a prendere i rimbalzi dei ragazzi più grandi che tirano, circondando la linea da tre punti. «Undici», mi dice, dopo essersi riappropriato finalmente di un pallone e pronto per tirare a canestro. Alle altre domande che gli rivolgo non risponde. «Non parla l’italiano» interviene Mila, il quale, quasi come un fratello maggiore, gli mostra qualche trucco e la meccanica migliore per tirare da lontano.

Pickup game nel campetto di Cimiano, foto di Armando Negro

«Qua fa freddo in confronto a casa sua, gli mancano le Filippine» mi racconta Mila, mentre osserva il frutto dei suoi insegnamenti. «È nato a Milano, ma subito dopo si è trasferito a Santa Rosa – nelle Filippine – con la sua famiglia. Sono tornati qui da poco più di due mesi». Mark, come molti giovani filippini, segue prevalentemente la NBA e tifa i Boston Celtics, finalisti dell’attuale stagione 2023/24, e il suo giocatore preferito è Jayson Tatum, stella della franchigia nordamericana. La lega statunitense è sempre stata un punto di riferimento per i giovani filippini, sono i playmaker statunitensi, più bassi e rapidi nel palleggio, i giocatori ai quali vogliono aspirare. Difatti molto spesso le canotte sfoggiate nei campetti sono dei rifacimenti delle più famose jersey NBA, delle quali usano il lettering e i colori per le divise delle proprie squadre; le scarpe sono un altro dei tratti peculiari delle giornate trascorse al campetto: utilizzate esclusivamente per giocare, sono le scarpe di giocatori come Kyrie Irving, Kobe Bryant o Steph Curry quelle più viste sul cemento e sul parquet. Sul calar del sole, il campetto si svuota definitivamente. Mark torna correndo dalla sua mamma che insieme ad altre famiglie, una cinquantina di persone in tutto, trascorre la domenica al parco, ballando e mangiando in un contesto festoso, organizzato all’aria aperta nel parco. Solo un ragazzo continua a tirare incessantemente, provando e riprovando i movimenti dei grandi campioni oltreoceano.

Summer Madness, quando la passione si organizza

Oltre ai lunghi pomeriggi passati nei campetti all’aperto, la comunità italo-filippina ha dato vita a numerosi eventi legati alla pallacanestro, primi fra tutti i tornei durante i quali si sfidano varie squadre composte da italiani di origine filippina e persone di prima generazione. Fra questi spicca la Summer Madness, che ha luogo nella polisportiva comunale di Pero, nell’hinterland milanese. Durante i fine settimana di maggio e giugno, diverse squadre suddivise in categorie in base all’età, dai più giovani Under 13, ai senior, si affrontano in un contesto vivace, una festa alla quale la comunità filippina accorre numerosa. Gli spalti della palestra sono pienissimi e già dalla strada adiacente alla struttura si possono sentire le urla della tifoseria dopo un canestro.

La partita fra Tiger e Universal Basket, foto di Armando Negro

Non appena si entra si viene accolti da un banchetto allestito dalle famiglie dei giovani cestisti, che, per pochi euro, danno la possibilità di rifocillarsi con snack tipici della tradizione culinaria filippina. Dalle 9 di mattina fino a tarda sera, i giocatori si danno il cambio incessantemente, dedicando l’intera giornata alla pallacanestro. Tra i cestisti che compongono le squadre, prevalentemente italiani di origine filippina, è possibile vedere qualche ragazzo italiano di prima generazione. «Un mio compagno di scuola mi ha invitato a partecipare» mi racconta Stefano, il centro degli I’m a Baller U15 «Avevo iniziato a giocare in un’altra squadra prima del Covid, ma poi ci siamo dovuti fermare. Con loro mi trovo bene». Le ultime partite vedono impegnati i giocatori più grandi, tra queste, il primo match ha visto giocare i Tiger, la selezione U25 degli I’m a Baller, contro l’Universal Basket di Milano; l’atmosfera si fa immediatamente più intensa, il livello sale e la partita si risolve, dopo quattro quarti punto a punto, solo nell’ultimo minuto di gioco. È la Tiger ad avere la meglio, chiudendo la partita con un vantaggio di sei lunghezze. «Ho portato mio figlio a giocare, lui è piccolo, io mi godo la partita» mi dice Domingo, seduto al mio fianco sugli spalti. Nato a Batangas, nelle Filippine, vive in Italia da vent’anni. «Nelle Filippine giocavo a basket, adesso non più; ho 50 anni, le ginocchia mi fanno male».

Stream, un ponte fra comunità

Con il fine di diffondere la cultura filippina ed aprirsi al tessuto sociale milanese, nel 2021 due giovani italiani, Germelyn e Luca, hanno fondato Stream, un’associazione culturale che, attraverso lo sport, sta gradualmente permeando nella comunità filippina. «La nostra idea è quella di far conoscere la cultura filippina nella città di Milano» mi racconta Germelyn, «attraverso i nostri progetti cerchiamo di unire le varie comunità filippine della città; vogliamo fare da ponte, che è sicuramente meglio che costruire muri. Questa è la nostra missione». La lotta contro gli stereotipi e contro il rischio di ghettizzare una comunità, per lungo tempo tenuta ai margini del tessuto sociale, è il nucleo fondante del progetto; con il tempo, Stream è riuscita a raccogliere l’entusiasmo di giovani italo-filippini di seconda generazione, inserendosi in contesti istituzionali, come l’Arch Week e ottenendo l’appoggio del consolato filippino a Milano.

Lo sport rappresenta uno dei mezzi principali di diffusione culturale e unione sociale, grazie ai vari tornei, l’associazione sta vedendo aumentare la partecipazione di giovani con alle spalle numerose eredità culturali differenti. Inoltre, organizzano corsi di italiano e stanno pensando di proporre corsi di tagalog. «La seconda generazione parla generalmente in italiano, anch’io, per esempio – mi spiega Germelyn – se mia madre mi parla in tagalog, le rispondo in italiano. Purtroppo, in alcuni casi il tagalog si sta perdendo». La pallacanestro è parte attiva di questo processo; Luca, dopo aver intercettato il desiderio di molte ragazze di giocare a basket, ha deciso di allenare una squadra, le Proudly Pinoy Lady Warriors. «Nelle Filippine sono ancora un po’ indietro su questo» lamenta Germelyn «lo stereotipo è ancora presente; già a tre anni avevo la palla in mano, ma quando ho iniziato a fare basket i miei genitori non volevano». 

Un’altra problematica che questa comunità deve affrontare è il limite imposto dalla Federazione Italiana Pallacanestro sulla presenza di stranieri in squadra. Purtroppo, tutte queste squadre non possono andare oltre l’amatorialità. «Si parla di livello amatoriale perché la legge permette di far giocare in una squadra solo due persone straniere». Anche se nate e scolarizzate in Italia e nonostante parlino l’italiano come prima lingua, finché queste persone non raggiungono i diciotto anni d’età, non possono fare richiesta per ottenere la cittadinanza italiana. Chiunque abbia il sogno di giocare professionalmente, non può farlo e non ha altra opportunità che rimanere nei circuiti UISP o CIS. 

Partita fra Tiger e Universal Basket, foto di Armando Negro

«La comunità di prima generazione forse non capisce a fondo il nostro progetto» mi svela Germelyn. «Loro adesso vivono bene, hanno il loro gruppo e per quanto non si oppongano, non capiscono la ragione del nostro impegno». La pallacanestro, sport che spesso finisce in secondo piano nei media italiani, all’interno di questa comunità occupa un ruolo principale. La palla a spicchi non rappresenta solo l’opportunità di veicolare i valori dello sport, ma è capace di preservare l’eredità di una comunità giunta in Italia a partire dagli anni Settanta, di trasmettere una cultura ai figli nati a migliaia di chilometri di distanza, i quali si impegnano a condividerla nel tessuto sociale al quale appartengono. È così che la pallacanestro diventa un baluardo dell’identità filippina, attraverso la voglia di farsi conoscere, nelle grida del pubblico sugli spalti di un torneo, nell’incessante rimbalzare di una palla in un campetto.  

[di Armando Negro]

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