mercoledì 24 Luglio 2024

L’eterna arte della propaganda di guerra

Sono passati più di ottant’anni da quando George Orwell nel lontano 1938 diede alle stampe il suo personalissimo Omaggio alla Catalogna, un libro che oltre ad essere un reportage vissuto in prima persona della guerra civile spagnola, di «treni fatiscenti carichi di soldati coperti di cenci che avanzavano a fatica verso il fronte», è un’analisi di quel particolare fenomeno che si chiama propaganda di guerra. Omaggio alla Catalogna offre al lettore un’anatomia delle strategie messe in atto della propaganda in tempo di guerra. Orwell lo afferma in maniera lapidaria: «Scrivo perché c’è qualche menzogna che voglio smascherare, qualche fatto su cui voglio attirare l’attenzione, e la mia prima preoccupazione è quella di farmi ascoltare».

La propaganda è un meccanismo antico quanto la guerra stessa, non esiste guerra senza propaganda, anzi si potrebbe perfino affermare che non sarebbe possibile nessuna guerra senza una robusta ed efficiente propaganda che la sostenga. L’obiettivo della propaganda è di persuadere i cittadini della necessità della guerra, sorvolando e minimizzando davanti all’opinione pubblica i costi umani ed economici che comporta. «I cadaveri puzzano e gli uomini esposti al fuoco talvolta sono così atterriti da pisciarsi addosso», ecco un piccolo, fulmineo ritratto che Orwell farà nella sua autobiografia, parole che chissà perché non trovano mai spazio nelle opere di propaganda che parlano sempre di grandi principi e idee astratte, ma non si soffermano mai a descrivere la realtà fisica, concreta della guerra.   

La guerra del Golfo del 1991 ad esempio è stata caratterizzata dalla narrazione di una «guerra chirurgica», una guerra senza vittime tra i civili dato che i missili, se e quando usati, avevano il solo scopo di colpire «obiettivi militari». Ma ogni guerra ha la sua propaganda. Dalla guerra in Ucraina, chiamata convenientemente «missione speciale» con Putin che si mostra al centro di un enorme stadio gremito di una folla inneggiante per suggerire implicitamente l’idea di un grande consenso fino alla «guerra in Palestina» che sarebbe più opportuno chiamare il genocidio della Palestina, la propaganda non di rado riesce a giustificare l’ingiustificabile. La falsificazione e la manipolazione delle informazioni è un tema caro ad Orwell, aleggia in ogni riga di 1984, ma mentre 1984 è un’opera di fantasia sebbene ispirato da fatti e da situazioni reali, Omaggio alla Catalogna di romanzesco non ha nulla. 

Nel dicembre del 1936 Orwell  raggiunge la Catalogna e si arruola come volontario nelle milizie del POUM, le truppe dei combattenti spagnoli che si oppongono al colpo di stato dei generali e di Francisco Franco. Furono numerosi gli intellettuali che si unirono al Fronte Popolare spagnolo, composto da varie forze di sinistra: repubblicani, comunisti, socialisti, anarchici che vedevano nel conflitto spagnolo l’occasione di costruire un modello alternativo rispetto a quello borghese.

George Orwell all’epoca ha trentatré anni e per la prima volta si ritrova «in una città dove la classe operaia teneva le redini del potere. (…) Ogni edificio, grande o piccolo che fosse, era stato occupato dagli operai che avevano issato ovunque delle bandiere rosse, o quelle rosse e nere degli anarchici; su ogni muro erano disegnate la falce col martello e le iniziali dei partiti rivoluzionari».

Dopo l’addestramento alla caserma Lenin, Orwell viene spedito al fronte, finché durante un assedio viene ferito alla gola e rimandato a Barcellona. Ma nel giro di pochi mesi la città si è radicalmente trasformata: il Fronte Popolare si è spaccato in due, lo scontro fra il POUM, tacciato di avere pericolose tendenze trotskiste e di complottare con i fascisti, e i comunisti si trasforma in una vera e propria guerriglia. 

Gli organi di stampa controllati dal Partito comunista danno inizio a una lenta, inesorabile azione di propaganda contro i membri del POUM e gli «altri traditori al soldo dei fascisti», i volontari cioè che morivano al fronte per difendere la Spagna dalle truppe di Franco. Il controllo e la manipolazione delle informazioni è ovviamente la conditio sine qua non di ogni propaganda. La propaganda passa attraverso la deformazione e la manipolazione linguistica, si appropria delle parole, le amministra, le arbitra, si assegna il privilegio di assegnare nomi, modificarli e alterarli a suo piacimento; ecco perché ancora oggi le armi di distruzioni di massa prendono il nome di «missili intelligenti» mentre alle guerre si applica la dicitura di «missioni speciali».

Ai tempi di Orwell invece i combattenti del POUM vengono opportunatamente chiamati «fascisti». I nemici della propaganda sono sempre dei traditori, rappresentano il male assoluto (salvo averci fatto affari o averci combattuto assieme fino a poco tempo prima). Orwell testimonia come al controllo delle informazioni e delle parole, la propaganda ha un altro elemento interessante che la caratterizza: la capacità di ritrattare e di smentire senza sé e senza ma quanto affermato in precedenza, di riscrivere il passato per farlo combaciare con le direttive e gli interessi del momento. Merita di essere letto per intero il brano contenuto all’interno di Un’Autobiografia involontaria che sebbene descriva uno scenario diverso, evidenzia lo stesso meccanismo. 

«Se c’era un punto su cui tutti gli intellettuali britannici s’erano trovati d’accordo era nel distruggere l’immagine gloriosa della guerra, nel sostenere che la guerra era solo cadaveri e latrine e che non conseguiva mai alcun risultato degno di nota. Ebbene, quelle stesse persone, che nel 1933 vi avrebbero incenerito con uno sguardo di sarcastica compassione se dicevate che, in certe circostanze, eravate pronto a combattere per il vostro paese, nel 1937 vi avrebbero denunciati come fascisti trotzkisti se vi fosse venuto in mente di insinuare che forse erano un tantino esagerate le storie sui soldati che, appena feriti, reclamavano ad alta voce il diritto di tornare al fronte. Gli intellettuali di sinistra passarono da «La guerra è un inferno» a «La guerra è gloriosa» non solo senza alcun senso dell’implicita contraddizione, ma senza ombra di pudore».

Nuove ondate di bellicismo hanno attraversato come una miccia il nostro paese allo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina, ma la cosa sorprendente di questo ritrovato «interesse e amore per l’elmetto» è che tali posizioni sono state portate avanti da chi fino a un attimo prima sosteneva una posizione diametralmente opposta. Intellettuali di primo piano si sono lanciati in odi roboanti in favore del patriottismo e dell’eroismo ucraino, mentre sul fronte opposto la teoria della «rappresaglia infinita» di Netanyahu ha riscosso se non un consenso incondizionato neanche una dura opposizione. Mutamenti fulminei dell’opinione pubblica, improvvisi, immediati, privi di qualsiasi gradualità, lasciano sempre intuire un’azione mirata di propaganda. Dopotutto, ed è questo che mette in evidenza Omaggio alla Catalogna, la falsificazione della propaganda non passa soltanto attraverso la falsificazione di fatti ed eventi passati, ma attraverso la falsificazione delle idee, portata avanti da intellettuali capaci di sostenere che «due più due fa cinque». E sono proprio gli intellettuali, a detta di Orwell, gli artefici, i principali collaboratori, i più ferventi sostenitori di ogni propaganda ben riuscita. 

«Si avvicina il tempo (non sarà l’anno prossimo, non accadrà in dieci o venti anni, ma il tempo si avvicina) quando ogni scrittore sarà obbligato a tacere o a produrre i narcotici richiesti da una minoranza privilegiata».

Alla fine Orwell riesce a sfuggire alla polizia, che dà la caccia ai membri del POUM e si mette in salvo varcando la frontiera. Tornato a Wellington scrive Homage to Catalonia con l’intento di fissare sulla pagina le speranze disilluse della rivoluzione e di riscattare la memoria di tanti combattenti accusati di essere dei traditori da quella stessa intellighenzia di cui ne avevano sposato i principi.

[di Guendalina Middei, in arte Professor X]

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