La Corte Costituzionale si è espressa con due pronunce sul controverso sistema del payback sanitario, giudicandolo legittimo. Il payback, meccanismo di controllo della spesa pubblica nell’ambito dei dispositivi medici che prevede un contributo economico da parte delle imprese produttrici per ripianare gli sforamenti ai limiti di spesa, nell’ultimo anno è stato oggetto di una pioggia di ricorsi da parte delle aziende. Il sistema prevede infatti che le imprese produttrici o distributrici di dispositivi e accessori sanitari, in relazione al quadriennio 2015-2018, debbano complessivamente restituire oltre un miliardo di euro allo Stato: secondo la Consulta, esso «presenta di per sé diverse criticità», ma «non risulta irragionevole» o «sproporzionato», anche per il fatto che un decreto legge del 2023 ha ridotto della metà la quota richiesta in origine.
Il payback prevede che le aziende farmaceutiche che producono e forniscono materiale sanitario, come garze, siringhe, ferri chirurgici, protesi, dispositivi per dialisi e valvole cardiache, siano tenute a restituire una parte del fatturato ottenuto dalla vendita dei loro prodotti al Sistema Sanitario Nazionale ove la spesa complessiva superi determinati tetti di spesa prestabiliti. Fino ad ora il meccanismo dei rimborsi era rimasto sospeso per via dei ricorsi che le imprese produttrici avevano sollevato ai giudici amministrativi, che a loro volta avevano chiamato in causa la Consulta per risolvere la controversa questione. Le due sentenze con cui si è espressa la Corte Costituzionale sono la n.139 e la n.140. Nella prima pronuncia la Corte ha vagliato, su ricorso della Regione Campania, le disposizioni del 2023, dichiarandole incostituzionali nella parte in cui condizionavano la riduzione dell’onere a carico delle imprese alla loro rinuncia al contenzioso. A tutte le aziende fornitrici è stata quindi riconosciuta la riduzione dei pagamenti al 48%. Con la pronuncia n.140, la Consulta ha poi dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9-ter del decreto legge n. 78 del 2015 in relazione al periodo 2015-2018, sottolineando che il legislatore dettò una apposita disciplina con l’obiettivo di ripianare lo sforamento dei tetti di spesa e che, su questa scia, con provvedimenti propri le regioni hanno richiesto alle imprese le somme dovute per legge. Pur evidenziando che il meccanismo presenti diverse criticità, la Corte Costituzionale ha sancito che non risulta irragionevole in riferimento all’art. 41 Cost., avendo posto a carico delle imprese nella fase 2015-2018 un contributo solidaristico, correlabile a ragioni di utilità sociale, nella cornice di una situazione economico finanziaria di grave difficoltà. Secondo i giudici, alla luce della riduzione del 48% dell’importo posto in prima battuta a carico delle imprese, il meccanismo non è nemmeno sproporzionato.
Tra i vantaggi del payback sanitario c’è, almeno sulla carta, quello del contenimento della spesa pubblica e l’incentivo all’efficienza per il settore, che viene spinto a trovare soluzioni innovative per la gestione dei prezzi e la distribuzione dei farmaci. Molto forte risulta però l’impatto economico sulle aziende, che oltre a subire conseguenze negative sui profitti potrebbero essere indotte a ridurre gli investimenti in ricerca e sviluppo di nuovi farmaci. Tale sistema può inoltre creare una certa disparità tra le imprese, penalizzando, in particolare, quelle che vendono prodotti più costosi e innovativi rispetto a quelle che vendono prodotti più economici e comuni. Può essere inoltre intaccata la pianificazione economica e la gestione delle risorse da parte delle aziende, che, non conoscendo in anticipo le somme che saranno chiamate a restituire al SSN, corrono il rischio di trovarsi in una condizione di incertezza dal punto di vista finanziario.
[di Stefano Baudino]
Avendo lavorato nel servizio sanitario pubblico in un settore in cui venivano acquisite apparecchiature di alto impatto economico , posso asserire che uno dei motivi per cui le stesse apparecchiature avevano un prezzo diverso per il settore pubblico e privato . Perchè ? Perchè il privato stipulava contratti con scdenze ben precise per il saldo dell’acquisizione , cosa che non avveniva per il pubblico dopo la prima trance a 90 giorni dalla consegna. Le gare dapprima regionali poi nazionali in nome del risparmio non hanno migliorato la cosa , anzi si sono verificate acquisizioni di apparecchiature sovradimensionate rispetto all’utilizzo standardizzato. Solo una politica bastarda poteva concepire una legislatura tanto iniqua. Ma sorgono anche dubbi sulla magistratura . Non era più semplice ed utile acquisire e saldare negli stessi tempi del privato?
Solo lo stato italiano può partorire simile legislazione