sabato 23 Novembre 2024

Tornano in servizio sei agenti accusati delle torture nel carcere di Santa Maria Capua Vetere

Sono ufficialmente tornati in servizio venerdì sei membri della polizia penitenziaria finiti sotto processo per le violenze consumatesi all’interno del carcere di Santa Maria Capia Vetere nell’aprile del 2020, nella fase della prima ondata pandemica. La notizia è stata comunicata dal Garante dei detenuti della Campania, Samuele Ciambriello, che per primo avanzò alla Procura della città campana la denuncia dei pestaggi e delle torture che le persone detenute all’interno del reparto “Nilo” avrebbero allora subito. I sei agenti riammessi in servizio, i quali erano stati sospesi nel giugno 2021, raggiungono dunque all’interno della struttura altri 22 agenti coinvolti nel processo che erano stati reintegrati nell’agosto dell’anno scorso. A spingere per la riammissione era stato, con numerose richieste, il sindacato di polizia penitenziaria Uspp, che in queste ore ha espresso soddisfazione per l’ulteriore reintegro dei sei imputati.

In tutto, tra agenti, medici e funzionari, al processo per le torture di Santa Maria Capua Vetere sono attualmente alla sbarra 52 imputati. I sei poliziotti penitenziari che da venerdì hanno ripreso il loro servizio dopo 3 anni di sospensione sono il capo e il vice capo della Polizia Penitenziaria della casa circondariale, ovvero i dirigenti Gaetano Manganelli e Anna Rita Costanzo, oltre a due ispettori e due assistenti capo. Già l’anno scorso l’ondata di reintegri era stata fortemente criticata dalle associazioni in favore dei detenuti, che avevano a più riprese evidenziato come molte persone recluse potranno ritrovarsi di fronte agli stessi agenti accusati di essere responsabili delle violenze della primavera del 2020. «Non entro nel merito del provvedimento di riammissione in servizio del comandante della polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere e degli altri 5 agenti, perché immagino sia stato legittimamente emesso dall’amministrazione – ha commentato il Garante dei detenuti della Campania –. Va però sottolineata l’assoluta autonomia di questo provvedimento rispetto al merito delle singole responsabilità per i gravissimi fatti avvenuti oltre 4 anni fa nel carcere ancora al vaglio della locale Corte di Assise». «Le sconcertanti immagini dei pestaggi ai danni di inermi detenuti – ha aggiunto Ciambriello – hanno indignato l’opinione pubblica. Il mio auspicio è che giunga in tempo ragionevole la sentenza della Corte».

Nella primavera del 2020, durante le prime settimane di lockdown a causa della pandemia da Covid-19, nel centro di detenzione campano scoppiarono violenti tafferugli sfociati delle proteste dei detenuti per la difficile situazione sanitaria e il sovraffollamento delle celle, che rendevano impossibile il distanziamento sociale. Le telecamere di sicurezza ripresero la reazione brutale della polizia penitenziaria, che utilizzò manganelli, calci, pugni e testate contro i detenuti, spesso inermi e barcollanti. In seguito a questi eventi, diversi agenti furono sospesi dal servizio. Il sindacato di Polizia Penitenziaria Uspp chiese ripetutamente il loro reintegro, sostenendo che la sospensione avrebbe causato gravi difficoltà economiche agli agenti, soprattutto a quelli con posizioni considerate meno gravi. Giuseppe Moretti e Ciro Auricchio, rispettivamente presidente nazionale e segretario campano dell’Uspp, giudicarono “inutile” il provvedimento ai danni degli agenti della polizia penitenziaria. Grazie all’intervento del Sottosegretario alla giustizia Andrea Delmastro, 22 agenti furono infine riammessi in servizio. Il processo avviato dall’inchiesta della Procura ha ipotizzato il reato di tortura per circa cinquanta pubblici ufficiali. La specifica fattispecie che viene contestata agli imputati, introdotta nel 2017, è però sottoposta al fuoco di fila dei principali azionisti della maggioranza di governo. Fratelli d’Italia, partito del capo dell’esecutivo Giorgia Meloni, ha infatti presentato un progetto di legge alla Camera per abrogare il reato di tortura e istigazione alla tortura, proponendo invece l’introduzione di una nuova aggravante comune per adempiere agli obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione contro la tortura (CAT). Il leader della Lega Matteo Salvini ha più volte promesso ai poliziotti del Sap l’abrogazione del reato, lamentando che molte denunce di violenza o tortura da parte dei detenuti fossero infondate.

[di Stefano Baudino]

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